L’ufficiale e la spia: recensione del film di Roman Polanski #Venezia76

L'ufficiale e la spia César 2020

In un clima ostile e denso di polemiche, che esulano purtroppo dalla libera espressione cinematografica, arriva al Lido l’opera di uno dei più grandi autori contemporanei, L’ufficiale e la spia di Roman Polanski, un grido potente e determinato contro l’ingiustizia, l’abuso di potere, la persecuzione e la discriminazione.

 

L’ufficiale e la spia racconta in maniera originale, personale e appassionata, ma al tempo stesso con un’estrema fedeltà storica, una storia che coinvolse e divise l’opinione pubblica in Francia alla fine del diciannovesimo secolo, ovvero quella di Alfred Dreyfus, un giovane ufficiale dell’esercito francese, che il 5 gennaio del 1895, venne condannato, pubblicamente degradato con disonore École militaire di Parigi e deportato a vita nella colonia penale sull’Isola del Diavolo, uno scoglio inospitale nell’oceano atlantico, al largo delle coste della Guyana Francese.

Dreyfus fu accusato di spionaggio e di essere un informatore dei servizi segreti tedeschi. Dopo la sua condanna, George Picquart venne nominato capo dei servizi segreti e del controspionaggio, avendo modo di accedere a tutti i documenti del caso Dreyfus,  scoprendo così casualmente che le informazioni continuavano a passare in mano nemica e che il giovane ufficiale era solo il capro espiatorio di una perversa rete di inganni, fatta di bugie, omertà, razzismo e classismo. Picquart si rese conto che  dietro la limpida ed effimera bandiera dell’onore, venivano commesse ingiustizie e sacrificati innocenti. Iniziò a indagare e a opporsi, mettendo a repentaglio la posizione, la brillante carriera militare e anche la sua stessa vita.

Polanski afferma che “in questo scandalo di vaste proporzioni, forse il più clamoroso del diciannovesimo secolo, si intrecciano l’errore giudiziario, il fallimento della giustizia e l’antisemitismo. Il caso Dreyfus divise la Francia per dodici anni, causando una vera e propria sollevazione in tutto il mondo, e rimane ancora oggi un simbolo dell’iniquità di cui sono capaci le autorità politiche, nel nome degli interessi nazionali.”

L’ufficiale e la spia, il film

Il titolo originale J’accuse giunge da quello che Émile Zola decise di dare al suo famoso articolo che pubblicò per denunciare il caso Dreyfus e sostenere Picquart e che gli costò un anno di prigione e tremila franchi di multa.

L’ufficiale e la spia di Roman Polanski è un film poderoso, elegante, spiazzante, che racconta con chiarezza e dovizia di dettagli una storia che tutti hanno sentito nominare o che magari hanno studiato a scuola superficialmente, ma che in realtà non conoscono affatto. Polanski imbastisce l’ennesimo complotto della sua smisurata vena creativa e, lasciando da parte fantasie, visioni e allucinazioni, lo fa appoggiandosi a fatti reali ormai sperduti nelle paludi della storia. Come aveva già fatto ne Il pianista, racconta le sue paure, tradisce le sue ossessioni, denuncia le iniquità, le prepotenze e le sopraffazioni e invoca giustizia e libertà. È emozionante scoprire come la claustrofobia, la reclusione forzata, la profanazione della propria casa e del proprio intimo, l’osservare il mondo esterno attraverso finestre sempre più anguste, l’impossibilità di tenere sotto chiave segreti e pensieri, irrompano prepotentemente in ogni fotogramma, riportando le emozioni indietro alle tante opere che hanno dettato gli stilemi della sua complessa poetica cinematografica. Si avvertono le pulsioni emotive che i tanti accadimenti tragici hanno fatto emergere nel corso della sua vita e soprattutto in questo ultimo periodo. Complice del fido scenografo Jean Rabasse, Polanski gioca abilmente con gli spazi chiusi, con i cassetti, le casseforti, le chiavi e le serrature. Il suo occhio si muove come uno scarafaggio kafkiano alla disperata ricerca di un piccolo spazio intimo e sicuro dove poter essere al riparo dai giudizi e dall’iniquità, dove non sentirsi accusati o dileggiati per una presunta diversità.

Non è la prima volta che la dolorosa vicenda di Alfred Dreyfus viene trasposta sullo schermo. Iniziò addirittura George Melies, nel 1899, con un cortometraggio muto intitolato L’Affaire Dreyfus. Il primo lungometraggio venne realizzato invece nel 1958, da José Ferrer e poi, dopo altre versioni per il cinema e per la televisione, si arrivò a Prigionieri dell’onore, diretto da Ken Russell nel 1991 e interpretato per caso dal quasi omonimo Richard Dreyfuss.

Alfred Dreyfus è interpretato da un sorprendente  Louis Garrel, smagrito e privato della sua folta chioma, per restituire al meglio il patimento del suo personaggio. George Picquart invece ha il volto di Jean Dujardin, perfetto e misurato nel restituire il temporale di emozioni che lo investì una volta invischiato nello sconvolgente caso. Il personaggio vestito da Emmanuelle Seigner, l’amante di Picquart, merita un plauso, per la delicatezza e l’eleganza che l’attrice ha saputo regalare all’unico personaggio femminile della vicenda. E infine, come non ammirare e gustare il criminologo ed esperto calligrafico, dipinto da Mathieu Amalric, che tra scheletri e compassi craniometrici si esibisce tronfio della sua scienza in una riuscita caricatura lombrosiana di un pioniere della nascente investigazione criminologica.

L’ufficiale e la spia di Roman Polanski è un film prezioso, che permette di comprendere dettagliatamente un fatto increscioso della storia europea e che sottolinea come l’intolleranza e la discriminazione siano sempre incombenti. Sicuramente è un opera di non facile fruibilità, che richiede concentrazione e approfondimento, ma che non nega emozioni e descrizioni intime che restituiscono umanità a personaggi divenuti ormai fredde pagine di storia.

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Stefano Bessoni
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Stefano Bessoni
Stefano Bessoni è un regista, illustratore e animatore stop-motion italiano.
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