L’ultima volta che siamo stati bambini: recensione del film di Claudio Bisio

La pellicola è l'esordio alla regia dell'attore e comico, e si basa sull'omonimo romanzo di Fabio Bartolomei

L'ultima volta che siamo stati bambini recensione

Il mondo visto attraverso lo sguardo di un bambino, è un mondo fatto di infinite e diverse possibilità. È un mondo intessuto di colori, vivacità, spesso deformato dalla sua visione edulcorata della realtà, che gli arriva in maniera diversa poiché filtrata dalla fantasia. Nell’esordio alla regia di Claudio Bisio, L’ultima volta che siamo stati bambini, succede esattamente questo. L’attore sceglie di debuttare dietro la macchina da presa facendo suo il romanzo omonimo di Fabio Bartolomei, dal quale fiorisce una commedia dolceamara, piena di sguardi incantati, sogni, semplicità, ma anche tanto dolore. Perché sullo sfondo della fanciullezza, rappresentata dai quattro piccoli protagonisti, c’è una pagina di Storia che ancora oggi sconvolge, e di cui dovremmo sempre avere memoria: l’Olocausto. Con L’ultima volta che siamo stati bambini, Bisio vuole anche commemorare il rastrellamento del ghetto di Roma, avvenuto ottanta anni fa, di preciso il 16 ottobre del 1943. Nel cast, un gruppo di giovanissimi: Vincenzo Sebastiani, Alessio di Domenicantonio, Carlotta de Leonardis, Lorenzo Mc Govern Zaini. La sceneggiatura è scritta a quattro mani da Fabio Bonifacci e lo stesso Claudio Bisio, L’ultima volta che siamo stati bambini è in sala dal 12 ottobre distribuito da Medusa Film.

 

L’ultima volta che siamo stati bambini, la trama

Roma, 1943. Italo (Vincenzo Sebastiani), Vanda (Carlotta de Leonardis), Cosimo (Alessio di Domenticantonio) e Riccardo (Lorenzo Mc Govern Zaini) sono amici inseparabili. Sono quattro bambini spensierati, che passano le giornate a giocare a fare i soldati o, nel caso di Vanda, a curare le loro immaginarie ferite di guerra. Ognuno di loro ha però alle spalle una situazione ben diversa. Italo è cresciuto con la mente pre-impostata al fascismo a causa del padre, che è il Federale. Cosimo invece è povero, ed ha il padre al confino poiché fa parte dei dissidenti. Vanda è orfana, ma soprattutto molto religiosa grazie al suo essere cresciuta con le suore. E infine c’è Riccardo, che proviene da una benestante famiglia ebrea. I quattro sono legati da un patto di sputo, da una lealtà indistruttibile, nonostante li separino a livello sociale ed economico enormi differenze.

Ma cosa importa quando c’è l’amicizia, quella vera e sentita, e la condivisione di giochi e spensieratezza, a tenerli uniti? A cambiare la loro vita sarà però una giornata in particolare, il 16 ottobre: Riccardo è scomparso, portato via insieme alla sua famiglia da qualche parte per lavorare. Italo, grazie al lavoro del padre, crederà di aver scoperto dove è stato portato l’amico, e per onorare il loro patto di sputo i tre amici decideranno di partire per la Germania con l’intenzione di chiedere ai tedeschi di lasciarlo andare. Non appena scopriranno il loro viaggio, in cui seguono i binari del treno che suppongono essere andato in Germania, Vittorio (Federico Cesari), il fratello di Italo, insieme a suor Agnese (Marianna Fontana), si metteranno sulle loro tracce per ritrovarli.

L'ultima volta che siamo stati bambini Film 2023
Foto di Paolo Ciriello

Dentro un insieme di racconti

Sin dai primi minuti di L’ultima volta che siamo stati bambini è chiaro quali siano state le influenze di Claudio Bisio mentre, con impegno, edificava la struttura narrativa del film (che comunque non gli fa perdere la sua originale identità). Nella devozione di Italo al Duce, nel suo idolatrarlo e idealizzarlo, ritroviamo il patriottismo di Jojo in Jojo Rabbit. Italo, proprio come Jojo crede, con l’ingenuità che caratterizza la sua età, che gli ebrei non siano meritevoli di avere la stessa posizione sociale di coloro che hanno sangue puro. Addirittura si chiede perché scelgano di essere ebrei, come se diventarlo fosse un’opzione, poiché cresciuto in ambiente fascista che lavora solo sul fare il lavaggio del cervello. Non sa però da cosa parta davvero il suo pensiero, sa solo che deve essere così, come accadeva a tutto il popolo italiano nell’era della Seconda Guerra Mondiale.

Ed è proprio nel modo di affrontare la guerra, con spensieratezza e inconsapevolezza, giocando ai soldati, illudendosi di poter vincere medaglie o riconoscimenti, o credendo che basti “solo” andare in Germania a chiedere ai tedeschi di liberare il loro amico Riccardo, in realtà deportato, che ritroviamo Giosuè di La vita è bella. Rimanendo in silenzio, giocando a nascondino, pensando al campo di concentramento come ad un’area di intrattenimento perché poi, se fa il bravo, vince il carro armato. E infine, nel tema del viaggio, dell’avventura, del salvataggio in cui è insito tutto il senso dell’unione, della lealtà e dell’amicizia che spingono Italo, Cosimo e Vanda a partire, troviamo il riferimento a I Goonies, e quasi possiamo sentire in sottofondo, o addirittura nel sottotesto, la frase “Goonies never say die”.

Una commedia semplice, ma toccante

Ciò che però colpisce di più di L’ultima volta in cui siamo stati bambini è la semplicità del racconto. Sia a livello di sceneggiatura che di regia non ci sono slanci particolari, c’è solo il desiderio di voler essere chiari, limpidi, calibrati, perché si vuole arrivare dritti al punto, al cuore dell’intera opera. I dialoghi scritti sono per l’appunto semplici, genuini; le dinamiche divertenti, in grado di strappare sempre un sorriso. È una storia che non ha bisogno di specifiche operazioni o di virtuosisimi, perché si affida alla sua essenza, al suo significato più intimo. Vuole, anzi quasi ha bisogno, di essere scanzonata, intrisa di buoni sentimenti ed emozioni. I piccoli protagonisti si esprimono in modo sempre molto diretto, quasi comico, sono pieni di desideri.

Ma anche molto ingenui. L’ingenuità, l’inconsapevolezza, l’infantilità, li muove a svolgere quell’operazione di salvataggio che per loro si trasforma nella missione della vita. Eppure, dietro quell’ atmosfera bambinesca, si respira un’aria pesante, minacciosa. Come dice lo stesso Bisio, questo è un film che non è né una favola né una narrazione puramente realistica. Viaggia in una terra di mezzo, in cui è facile lasciarsi trasportare dalle simpatiche situazioni in cui si ritrovano i bambini, mal tempo stesso cerca di rammentarci quale sia lo sfondo e l’atroce contesto in cui esse si svolgono. Quello messo in campo è un dolore percepito a ondate, e come spesso accade nel gioco dei contrasti, fruire una storia che ha un livello così alto di comicità, rende ancora più traumatici gli inserti drammatici quando si presentano, seppur consumati nell’arco di poche inquadrature.

L'ultima volta che siamo stati bambini personaggi

Crescere, per diventare grandi

L’ultima volta che siamo stati bambini si sistema dunque sulle spalle, piccole, dei suoi protagonisti. Affrontando il tipico road movie, in cui si stabilizza il doppio tono del film, commedia e dramma, rintracciamo il percorso di crescita di Italo, Cosimo e Vanda, che alla fine del loro cammino non saranno più gli stessi che erano quando lo hanno intrapreso. C’è sempre un momento in cui si smette di essere bambini, ed è la vita che ad un certo punto ci impone di diventare quell’adulto che non vorremmo mai essere, perché inevitabilmente si cessa di vedere il mondo con gli stessi colori di prima. Diventa più grigio e più spento. E la realtà, in particolare quella raccontata nel film ma di cui ancora sentiamo “la scossa” con l’attuale situazione Ucraina, inizia a fare davvero paura.

Ma se percepiamo così tanto la trasformazione dei protagonisti, è solo merito dei suoi interpreti. Vincenzo Sebastiani, Alessio di Domenicantonio e Carlotta de Leonardis restituiscono una performance autentica, credibile, sincera, quasi come se non avessero dovuto fare il minimo sforzo per calarsi nei panni di quei bambini un po’ sperduti. Reggono il racconto e il suo intreccio dall’inizio alla fine con disinvoltura e verità. Tanto da superare i loro colleghi adulti, come Federico Cesari che per il ruolo di Vittorio, fratello di Italo, non sembra essersi ben adattato. L’ultima volta che siamo stati bambini diventa, in conclusione, un esordio efficace, in cui traspare tutto l’amore di Claudio Bisio verso le pagine di Bartolomei. Che, nelle battute finali, porta a chiederci: quando è stata l’ultima volta che siamo stati bambini?

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
lultima-volta-che-siamo-stati-bambiniIl debutto alla regia di Claudio Bisio risulta efficace: l'attore porta in scena una commedia pura e semplice, esente da virtuosismi, ma che punta ad arrivare dritta al cuore del racconto attraverso l'atmosfera fanciullesca dei suoi piccoli protagonisti. Nonostante l'opera si setti più sul tono della commedia, l'atmosfera drammatica derivante dal contesto della Seconda Guerra Mondiale è comunque presente, svolgendo l'operazione del “per non dimenticare.”