Magnifica Presenza: recensione del film di Ferzan Ozpetek

Magnifica Presenza

Ritorna al cinema Ferzan Ozpetek, dopo il suo ultimo Mine Vaganti, e lo fa nuovamente con una storia dalle tinte grottesche, al limite del teatrale; un film, Magnifica Presenza che mescola divertimento, lacrime e dramma. Nel cast del film Elio Germano, Margherita Buy, Beppe Fiorello, Paola Minaccioni, Maria e Vittoria Puccini.

 

Magnifica Presenza vede protagonista Pietro, 28 anni, che arriva a Roma dalla Sicilia con un unico grande sogno, fare l’attore. Tra un provino e l’altro sbarca il lunario sfornando cornetti tutte le notti. E’ un ragazzo timido, solitario e l’unica confusionaria compagnia è quella della cugina Maria, apprendista avvocato dalla vita sentimentale troppo piena. Dividono provvisoriamente lo stesso appartamento legati da un rapporto di amore e odio in una quotidianità che fa scintille. Ma arriva il giorno in cui Pietro trova, finalmente, una casa tutta per sé, un appartamento d’epoca, dotato di un fascino molto particolare e Pietro non vede l’ora di cominciare la sua nuova esistenza da uomo libero. La felicità dura solo pochi giorni: presto cominciano ad apparire particolari inquietanti. E’ chiaro che qualcun altro vive insieme a lui. Ma chi?

Magnifica Presenza, il film

Nonostante le buone premesse e un discreto coinvolgimento iniziale, Magnifica Presenza è l’ennesima occasione persa per il nostro cinema, che rimane confinato negli evidenti limiti di racconto, che ormai, fatte pochissime eccezioni, attanagliano un po’ tutta la produzione italiana. Le buone intenzioni di Ozpetek non bastano a far decollare un film che ha nello sviluppo centrale della storia i suoi problemi più grossi. Quello che di primo acchito sembra essere un coinvolgente film dall’intricata trama e dalle innumerevoli contaminazioni di genere, via via discorrendo risulta essere l’ennesima farsa di un cinema che diventa un pretesto per raccontare se stessi ed una realtà completamente teatralizzata di una vita di disagio interiore.

Quella del regista di origine turche è inoltre l’ennesima occasione per dispiegare un cinema autoreferenziale che ripete la propria formula all’infinito, esasperandone il significato e banalizzandone i concetti. Il tutto amalgamato con un’idea un po’ presuntuosa di voler parlare di troppi temi in un’unica rappresentazione che inevitabilmente finisce per diventare un brodo dalle tinte riscaldate e mai veramente originali. L’affresco che viene fuori è quello di un’occasione troppo ghiotta per essere sprecata in malo modo, e seppur rimangono di buona fattura le ambientazione e l’atmosfera, la grande assente è proprio la capacità del regista di raccontare una storia semplice e completa, che arrivi con immediatezza allo spettatore senza appesantirne il senso e la portata. Sembra che il nostro cinema abbia in un certo senso dimenticato la capacità di sintesi e di racconto che può avere una magica sequenza, una sottile smorfia di un viso o anche un elegante piano sequenza rivelatore.

Il difetto più grande di Magnifica Presenza, è proprio quello di sottovalutare la capacità di comprensione dello spettatore e di anteporre, a sequenze e inquadrature, l’interminabile farsa di dialoghi “spiegoni” lunghi un giorno che non fanno altro che appesantire il racconto, portandolo su binari morti e difficilmente risollevabili. Su questo scenario nulla può il cast di attori di tutto rispetto, dal protagonista Germano che contribuisce all’occasione persa con una recitazione sempre enfatizzata e mai sincera, fino alla Buy, Fiorello e Puccini, che ahimè rimangono sullo sfondo, non certo aiutati da una sceneggiatura che li accenna, limitandone la comprensione e l’approfondimento.

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