Mank, recensione del film di David Fincher

La piattaforma di streaming offre di nuovo ai suoi abbonati il grande cinema, lo fa questa volta con la nuova fatica registica del regista di The Social Network.

Mank migliori film del 2020

A sei anni dal suo ultimo film, L’Amore Bugiardo – Gone Girl, David Fincher si siede di nuovo sulla sedia di regia e regala al mondo Mank, la sua undicesima fatica disponibile direttamente su Netflix a partire dal 4 dicembre 2020. Ed è paradosso che un lavoro del genere, di tale scopo e grandezza, arrivi direttamente sulla piattaforma, confinato sugli schermi di casa o, peggio, dei pc degli abbonati. Certo, Fincher ha un rapporto privilegiato con il colosso dello streaming, alla luce della sua produzione seriale, eppure come Martin Scorsese, che ha trovato spazio solo su Netflix per il suo The Irishman, così il regista di Seven ha trovato il suo spazio per raccontare la sua storia.

 

Mank è il nomignolo di Herman J. Mankiewicz, brillante sceneggiatore e personaggio scomodo, alcolista e avversario del golden boy di Hollywood, quell’Orson Welles a cui, a soli 24 anni, la RKO offrì carta bianca per realizzare il suo debutto al cinema, Quarto Potere. Il film ripercorre il processo creativo di Mankiewicz per realizzare la sceneggiatura che conquistò il premio Oscar nel 1942. Il lavoro di Fincher, che si avvale di una sceneggiatura firmata dal padre Jack Fincher molti anni fa e che lui ha certamente rimaneggiato pur non comparendo nel credits, non si può assimilare né al biopic su Mank, né al racconto del making of del più grande film della storia del cinema.

Ficher racconta il presente attraverso la contemporaneità di Mank

Mank film 2020Ammantando la storia che vuole raccontare di nostalgia, David Fincher utilizza lo spazio del film per mettere in scena il suo Paese, le difficoltà che esso affronta sia da un punto di vista politico sia da quello dell’informazione, attraverso un lavoro che percorre tanti punti di vista, tanti personaggi, tante situazioni, scegliendo la forma del flashback per giustificare e raccontare qual è il mondo, la Hollywood nella quale Mank stesso vive a dalla quale attinge il materiale che riverserà nella storia di Charles Foster Kane. Le writers room, la crisi economiche, le elezioni in California, la nube che si addensa sull’Europa, William Randolph Hearst (magnate della comunicazione su cui varrà modellato il Kane immaginario), la dolce Marion Davies, l’alcol, la devozione di e per Sara, ma soprattutto l’impossibilità di tacere qualsiasi pensiero, anche il più scomodo, che passa per la testa del protagonista.

L’humus in cui prospera Mankiewicz è ricchissimo e David Fincher lo racconta con un occhio clinico, mai schierato, sebbene venga il sospetto, a vedere confronti aspri tra il protagonista e il bimbo prodigio, che l’ago del regista penda dalla parte del primo. Tuttavia non viene mai messa in scena solo la sua voce, ma un insieme di punti di vista, di personaggi, che danno spessore alla storia, rendendola viscosa da attraversare.

La mente di Mank è la nuova Rosabella

Gli omaggi a Quarto Potere si sprecano, nelle inquadrature, nelle scelte estetiche, nella disposizione degli oggetti in scena, tuttavia il vero punto di contatto tra Mank e il film del 1941 sembra essere il forte parallelismo costruito tra la mente di Mank stesso e la misteriosa Rosabella. La funzione dello slittino di Kane, quell’oggetto misterioso che dà il via alla narrazione e che in qualche modo contiene la soluzione dell’enigma sulla vera natura e identità del protagonista del film di Welles, è la stessa che per Fincher ha la mente del protagonista, intorno alla quale si costruisce una storia polifonica, rivolta all’attualità, al mondo in cui vive il regista di Denver. In questo parallelo si esplica al meglio l’amore per il cinema thriller che ha Fincher e che in più di un’occasione ha declinato nelle maniere più differenti nei suoi racconti per il grande schermo.

La dicotomia tra racconto contemporaneo e ricostruzione storica si rivela anche nello stile che Fincher adotta per raccontare. La fotografia in bianco e nero, le lenti scelte per inquadrare i suoi attori, le angolazioni, i costumi, persino la ricostruzione musicale certosina dei soliti ottimi Trent Reznor e Atticus Ross ci raccontano un film girato 80 anni fa. Di contrasto le interpretazioni, le battute affilate, i concetti che il film mette in scena sono modernissimi e ne svelano l’effettiva contemporaneità. In particolare le interpretazioni di Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Tuppence Middleton, Tom Burke e di tutto il cast del film regalano uno spessore e una polifonia di punti di vista degni del miglior racconto corale.

Il lavoro svolto sull’immagine, che sfarfalla e gracchia, è un messaggio d’amore profondo ad un immaginario che non esiste più, tanto potente e attuale proprio perché sarà fruito su schermi piccoli, casalinghi. Mank è dunque un film che potrebbe rappresentare un vero e proprio spartiacque per il futuro della sala, di fronte ad una situazione contemporanea in cui l’istituzione stessa del cinema è messa in pericolo.

MankIl grande cinema su Netflix

Da un punto di vista distributivo, Mank è la prosecuzione di un lavoro organico e continuo che Netflix ha cominciato ormai più di un paio di anni fa con Roma di Alfonso Cuaron, e che ha portato avanti con grande successo con titoli del calibro del citato The Irishman, ma anche Storia di un matrimonio e il recente Il processo ai Chicago 7. La casa del grande cinema resta la sala, sicuramente, ma la piattaforma si offre sempre più come un porto franco per quei cineasti che non si piegano alle logiche degli studios, quelle figure ormai eroiche non vogliono assoggettarsi alla logica che “l’unica vera star è Leo il leone” (come dice in Mank un rampante Louis B. Mayer riferendosi al logo della MGM), quegli artisti del nostro tempo che vogliono ancora il loro spazio per raccontare la contemporaneità, attraverso la propria lente.

Il decennio del 2010 era stato inaugurato da David Fincher con uno dei migliori film del cinema contemporaneo, The Social Network, che ancora oggi dice moltissimo del mondo in cui viviamo. In apertura del nuovo decennio, Fincher prova di nuovo a regalarci un titolo che potrebbe accompagnarci per i prossimi dieci anni, un’altra opera attuale, ricca, intelligente e personale.

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Chiara Guida
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
mank-david-fincher-2Il decennio del 2010 era stato inaugurato da David Fincher con uno dei migliori film del cinema contemporaneo, The Social Network, che ancora oggi dice moltissimo del mondo in cui viviamo. In apertura del nuovo decennio, Fincher prova di nuovo a regalarci un titolo che potrebbe accompagnarci per i prossimi dieci anni, un’altra opera attuale, ricca, intelligente e personale.