The Irishman: recensione del film di Martin Scorsese

A oltre 20 anni da Casino, Scorsese torna a dirigere De Niro e Pesci, e, per la prima volta nella sua carriera, anche Al Pacino.

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È l’evento cinematografico dell’anno, il nuovo film di Martin Scorsese, vecchio maestro della settima arte, che però si rivolge a Netflix, simbolo della modernità del cinema, per realizzare la sua visione: The Irishman è attesissimo, e a buon diritto!

 

La storia tocca il mondo della mafia italo-americana, ambiente caro allo Scorsese cinematografico, e si concentra sulla vita di Frank Sheeran (a sua volta raccontata nel libro I Heard You Paint Houses scritto da Charles Brandt). Frank è un veterano di guerra, che ha imparato ad uccidere nella campagna in Italia e che riesce ad entrare nelle grazie dei vertici della mafia, diventando “l’uomo che imbianca case”, ovvero il killer deputato a fare pulizia. Efficace, preciso, servizievole, Frank è l’impiegato modello, che esegue gli ordini e non fa domande, un vero soldato.

Leale e rispettoso del codice “d’onore” che vige tra quella gente, Frank viene nominato guardia del corpo di Jimmy Hoffa, carismatico leader sindacale, con il quale stringe una fraterna amicizia. Ma il mondo degli adulti, e quello della mafia, non è posto per i sentimenti e la lealtà assume forme inaspettate. E poi, che senso ha tutto questo, quando diventa solo una storia che nessuno ricorda, raccontata da un vecchio solo in una stanza di un ospizio?

The Irishman, un film con gli amici

Martin Scorsese ha fatto un film con i suoi amici, ha scelto  Robert De Niro per il ruolo principale, ha regalato un’altra grande parte a Joe Pesci, ha ingaggiato per la prima volta Al Pacino, regalandoci finalmente quel confronto tanto agognato (e un paio di volte sfiorato) tra gli attori più grandi e rappresentativi degli anni ’50. È tornato nel mondo della mafia, a raccontare le gesta di quei bravi ragazzi, solo che adesso non sono più ragazzi. Sono rallentati, invecchiati, resi goffi nei movimenti dall’età e dall’artrite.

Scorsese ha scelto la strada più lunga e difficile per realizzare questo film, la strada che attraverso la tecnologia del de-aging gli ha permesso di lavorare per tutto l’arco della storia con De Niro e compagnia, senza ricorrere ad un attore più giovane, perché per lui non avrebbe avuto senso, ora, raccontare quella storia senza Bob. Voleva un film con e per i suoi amici, e Netflix gli ha dato questa possibilità (e i fondi necessari).

Il senso di The Irishman potrebbe essere rintracciato tutto nelle motivazioni del regista: è un film senile ma non vecchio, malinconico ma non triste. Racconta la fine di una storia personale, quella di Frank, la fine di un impero mafioso in cui i boss erano guardati come un mito (nel film i bambini non sono quelli che ne Il Padrino facevano da sfondo, ma sono i primi giudici severi dei genitori), la fine di un periodo storico negli Usa che ha ferito profondamente il Paese e che adesso a stento si ricorda.

The IrishmanLa presa di coscienza della nostra mortalità

The Irishman è la presa di coscienza della nostra mortalità e del fatto che il tempo, con il suo fluire, priva di significato ogni gesto, ogni avvenimento, lasciando soltanto spazio a una profonda e meditabonda solitudine, dove non c’è spazio nemmeno per il pentimento. Pentirsi di cosa, poi? È passato così tanto tempo che le brutture sono state dimenticate, e la nostalgia, quasi confortevole, del passato si trasforma in un sollievo perché davanti a noi c’è solo un’altra cosa da fare: morire.

The Irishman ha la stessa potenza narrativa e trascinante di C’era Una Volta in America, è a suo modo un’epopea meno romantica ma altrettanto emozionante sulla vita di un uomo che ha sempre agito. I mafiosi, gli assassini, i criminali raccontati da Sergio Leone hanno avuto dei figli, che sono diventati questi mafiosi di Scorsese, molto diversi da quelli che raccontava negli anni ’70. Questi personaggi sono riflessivi, quasi paterni, non hanno più quella rabbia e frenesia, e nel raccontare questa sorta di distorta dolcezza degli ultimi di una stirpe, Scorsese fa un grande regalo al suo pubblico: dà a Joe Pesci un ruolo inedito, delicato, affettuoso, così in contrasto con quanto aveva fatto con i suoi film del passato. E così l’attore diventa l’emblema perfetto del senso della storia.

Scorsese realizza una lettera d’amore a un tempo che non c’è più, a un cinema che non c’è più, un film per molti versi testamentario, che mette fine a una parte della sua carriera e che sembra inaugurarne un’altra, pervasa dalla malinconia di un mondo scomparso, ma anche dalla consapevolezza che il tempo “guarisce” e che la morte fa parte della vita. Lo stile si appiana, il montaggio si “calma”, lo spettacolo è lasciato fuori campo, Scorsese mette al centro i suoi attori e il loro talento e nient’altro gli interessa se non raccontare la sua storia con i suoi amici. E il suo mestiere, il suo occhio, la sua sensibilità danno vita alla meraviglia di The Irishman.

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Chiara Guida
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
the-irishman-martin-scorseseLo stile si appiana, il montaggio si “calma”, lo spettacolo è lasciato fuori campo, Scorsese mette al centro i suoi attori e il loro talento e nient’altro gli interessa se non raccontare la sua storia con i suoi amici. E il suo mestiere, il suo occhio, la sua sensibilità danno vita alla meraviglia di The Irishman.