Mon Garcon, presentato all’interno della Selezione Ufficiale della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, è scritto e diretto da Christian Carion ed è un dramma famigliare dai toni noir.
In Mon Garcon Julien è un geologo ed è spesso in viaggio per lavoro. Le sue numerose assenze da casa hanno causato la fine del suo matrimonio con Marie. Durante un suo breve ritorno in Francia viene a sapere dalla ex-moglie che il loro figlio Mathys è scomparso durante un campo scuola. Da quel momento Julian si mette alla ricerca del figlio e pur di trovarlo è disposto a fare qualsiasi cosa.
Carion ci mostra subito la volontà di far dialogare ambienti esterni (montagne e boschi) e interni (baite, una rimessa e un hotel abbandonato) sia con carrellate sia con inquadrature più serrate. Oltre agli ambienti, il regista fa comunicare anche passato e presente, attraverso flashback e ricordi dai toni certamente più vivaci rispetto allo stato attuale delle cose, quando il dramma si è già consumato. Anche l’aspetto sonoro del film sottolinea la desolazione e la sofferenza, prediligendo il silenzio.
Mon Garcon, il film
Il film si concentra sulla figura del protagonista che immediatamente, appena subisce la sua perdita, si trasforma nel padre attento che fino a quel momento non è stato. Diventa un cane da caccia e fiuta ogni pista e ogni luogo per cercare informazioni e stanare i responsabili della scomparsa del figlio. Guillaume Canet si dimostra ancora una volta capace di transitare da lucidità a pazzia e viceversa come in L’homme qu’on aimait trop in cui interpreta sia un serial killer che il poliziotto che indaga sul killer stesso. Il personaggio di Marie, interpretato da Mèlanie Laurent, è alquanto marginale e non ha una caratterizzazione definita. Più interessante e sfaccettato è il personaggio del compagno della madre che all’inizio sembra essere coinvolto nella vicenda soprattutto per il fatto che sembra manipolare la compagna e volersi sbarazzare del piccolo.
Mon Garcon si caratterizza per una produzione alquanto breve e l’utilizzo naturalistico di luce naturale che esalta l’interpretazione di Canet, che si è tenuto lontano dallo script, prediligendo l’improvvisazione: in base alle sue azioni e reazioni, hanno dovuto gestire il proprio personaggio.
Carion confeziona un prodotto denso di drammaticità e colpi di scena, dimostrando di essere molto abile a gestire silenzi. Il film conserva una logica molto solida che ci permette di raccogliere le informazioni necessarie per completare il puzzle: alla fine ritorniamo al punto di partenza ma, come in tutti i racconti, la situazione non è più la stessa.