Mr. Beaver

In Mr. Beaver Walter Black (Mel Gibson) è il presidente di un’azienda di giocattoli, ha una vita apparentemente perfetta, con una bella famiglia. Un giorno però cade in profonda depressione, finendo per minare i rapporti con i propri cari. Spossata dai cambi di umore del marito la moglie Meredith (Jodie Foster) lo allontana da casa, causandogli una profonda crisi, che lo porterà ad adottare un castoro di pezza come alterego attraverso il quale ricominciare a vivere e comunicare con il mondo.

 

Che Mel Gibson avesse una testa particolare lo avevamo capito; aldilà delle vicissitudini personali, divorzi, liti con i fotografi, ubriachezza molesta e poco felici uscite antisemite, anche da uno degli ultimi film in cui figurava come attore: in Cosa vogliono le donne, ultima commedia interpretata dal nostro, poco prima di dedicarsi alla regia e al genere drammatico, lo vedeva nei panni di un manager che grazie ad un incidente guadagna il potere di sentire i pensieri delle donne, con conseguente miglioramento della propria relazione con il gentil sesso di cui riesce a prevedere e assecondarne ogni comportamento.

In Mr. Beaver, che segna anche un altro ritorno, quello di Jodie Foster alla regia dopo quasi 20 anni dall’ultima prova, la commedia A casa per le vacanze, del 1995, a Gibson viene affidato un ruolo che viaggia sul limite tra la tragedia e la commedia; un uomo profondamente depresso che trova una cura autoindotta per uscire dal tunnel della malattia.

Il suo personaggio è potenzialmente un uomo felice: benestante, con una bella moglie professionista affermata, dettaglio confermato dai numerosi Mac presenti sui tavoli e dagli schemi da architetto che vengono mostrati in un paio di situazioni, un figlio tanto genio da poter scrivere il discorso di diploma alla più brava dell’istituto e un altro figlio amorevole. Tutta questa situazione non lo protegge però da un male molto diffuso e con cure molto lunghe e difficili oltre che non ancora definite.

Il film ha dalla sua alcuni momenti di commedia molto riusciti, soprattutto legati all’interpretazione di Gibson, per poi spostarsi sul dramma cupo, come a seguire la linearità della malattia che caratterizza il protagonista. La  sceneggiatura è molto curata anche nei personaggi secondari, oltre che avere spazio per  un cameo molto godibile del comico/anchor Jon Stewart, presentatore di The late show, molto popolare negli Stati Uniti.

L’unica nota decisamente stonata sono i tre discorsi di automotivazione, di stampo tipicamente e trionfalmente americano, presenti in tre momenti diversi del film, accuratamente divisi per generazione e uno dei quali proferito nientemeno che dal castoro di pezza.

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