Ninjababy, recensione del film di Yngvild Sve Flikke

La recensione di Ninjababy, film della regista norvegese Yngvild Sve Flikke, dal 13 ottobre nei cinema italiani.

Un frame di Ninjababy

Crescere, che fatica! Se lo deve essere ripetuta spesso Rakel, la protagonista di Ninjababy, dal 13 ottobre nelle sale italiane. Il dramedy norvegese della regista Yngvild Sve Flikke, presentato al TIFF 2021 e al Festival di Berlino e tratto dalla graphic novel Fallteknikk, illustra tutti gli spettri delle gravidanze inaspettate da una prospettiva arguta e comica al punto giusto, collegando all’enfasi fumettistica il conflitto di una mamma in divenire e di una protagonista a cui deve essere ricordato che è padrona della propria storia.

 

Ninjababy: dialogare con la nostra creatura

Un bambino si è depositato inaspettamente nel ventre di Rakel (Kristine Kujath Thorpe) e se c’è una cosa che questa sa della sua vita è che non lo vuole. Sotto ai vestiti ingombranti e al disordine apparente di un’esistenza che non padroneggia, Rakel è una sognatrice dalla fervida immaginazione, aspirante fumettista che disegna sempre la sua quotidianità. Forse è proprio la matita, il segno, il mezzo perfetto per cercare di stabilire un contatto con questa figura inafferrabile, un Ninjababy che vuole continuare a lottare per stare nella pancia della mamma.

Parlare con chi non conosciamo ancora è quasi impossibile ed è per questo che l’unico modo che Rakel ha per instaurare un dialogo con l’inaspettato è tramite la sua creatività. Proiettando sull’effetto figurativo un’idea a cui non siamo in grado di dare forma, riusciamo quantomeno a pensare di poterne avere il controllo. La verità con cui presto dovrà però confrontarsi Rakel è che la creatura è sì figlia di una madre che rinnova la propria coscienziosità, ma è illustratrice a suo modo: vaglia assieme a lei le scelte che potrebbe effettuare, suggerisce ciò che sarebbe meglio per lui/lei, avanza proposte di collaborazione, quasi come se si stesse prefigurando un dialogo tra colleghi.

Chi è la vera ninja?

Con il proprio Ninjababy, piccolo ma impavido lottatore, linfa creativa che Rakel ha sempre portato con sè ma si è probabilmente assopita in una quotidianità che ha lasciato il passo alla negligenza, la giovane madre (ri)vive in maniera inusuale un’infanzia di cui non ci viene detto niente: l’unico tratto della backstory di Rakel che conserviamo è il fatto che studiasse design ma si sia ritirata dall’università e, al di là di una sorellastra che conosceremo lungo il corso del film, non sappiamo nulla sui suoi genitori. Partendo già dall’idea di un personaggio dal passato frammentato, Ninjababy fa egregiamente i conti con la destrutturazione ulteriore del nucleo famigliare, ormai scevro delle categorie genitoriali archetipiche, e che ha assunto un’idea di fluidità, più legata allo scegliere chi vogliamo lungo il nostro cammino.

Nel passaggio di testimone tra la bambina che (non) è stata e che diventa durante il film, Rakel assume consapevolezza dello scambio, dialogico ed emotivo, necessario per dare forma a un mondo disordinato, con la comicità sottile tipica del cinema nordico ma un ritmo da vero e proprio coming-of-age statunitense. Kristine Kujath Thorp è la vera ninja del film: ipnotica e abilissima nel costruire la caratterizzazione di Rakel partendo dallo sguardo, fulcro vero e proprio dei conflitti che ne attraversano l’interiorità.

Cosa succede quando ci troviamo faccia a faccia con la creatura che, fino a pochi secondi prima, era solo una nostra proiezione? Ninjababy sfrutta ogni svolta di trama per fare entrare lo spettatore sempre più nella mente di Rakel, favorendo il processo empatico anche con le parti più astruse del suo dialogo con il feto, che si rivelano essere i frangenti in cui in realtà riusciamo a scorgere molto più a fondo le crepe di una donna che, forse, non è stata abbastanza bambina.

Ninjababy: ti regalo un libro

Forse Rakel non ha mai imparato veramente il linguaggio dell’affetto, quasi certamente fatica a essere anche madre di se stessa. Allora, la scoperta della maternità passa attraverso la percezione idiomatica del suo, particolarissimo, linguaggio. Il figlio che aspetta deve diventare libro, l’idea deve assumere contorni e forma visuale per fare comprendere a Rakel che madre e figlia si sono fatte a vicenda, che i confini tra creatore e creatura sono estremamente labili quando di mezzo c’è un legame indissolubile.

NinaBibbi: nell’atto del nominare, nello scegliere chi si vuole essere e dove ci si rincontrerà, assistiamo alla sinergia massima tra Rakel e il suo bimbo: nel conservare parte del nome che lo stesso Ninjababy avrebbe voluto – Angelina, per ragioni spassosissime – Rakel decide di lasciarle quello che vorrebbe le riservasse il futuro. Contemporaneamente, in questa parola-macedonia, trattiene l’impronta creativa che questo bambino porterà sempre con sè; il modo, di certo anomalo e inconsapevole in cui Rakel, sotto mille strati di vestiti sdruciti, si è sempre curata del suo piccolo ninja.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Agnese Albertini
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