Mahmood: la recensione del documentario di Giorgio Testi

Il documentario sul popolare cantautore, presentato nel corso della Festa del Cinema di Roma, sarà al cinema solo il 17, 18 e 19 ottobre.

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“Non sono mai stato bravo a parlare di me, per questo ho iniziato a scrivere canzoni”. Si apre con questa dichiarazione d’intenti il documentario Mahmood, diretto da Giorgio Testi e scritto da Virginia W. Ricci. Dedicato al celebre cantautore che a neanche trent’anni ha già vinto due volte il Festival di Sanremo, il film, che fa parte delle proiezioni speciali del Panorama Italia di Alice nella città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, ancor prima di essere un’opera celebrativa nei confronti del cantante, vuole dar prova della sua umiltà, della sua umanità e, soprattutto, della sua sensibilità.

 

Si ripercorrono dunque le principali tappe della sua vita e del suo percorso artistico, dai primi concorsi alla delusione di X Factor, dalla vittoria a Sanremo Giovani con Gioventù bruciata a quelle a Sanremo Big con Soldi e Brividi, dalle partecipazioni all’Eurovision Song Contest fino al recente tour europeo andato sold out. Quello di Mahmood è un percorso ricco di ostacoli, speranze, incidenti di percorso, cadute e ripartenze che hanno portato infine al successo tanto sperato, dietro il quale si nascondono profondi dolori personali da metabolizzare attraverso la musica e un forte amore, ricambiato, per la propria famiglia.

Mahmood: dallo sgabuzzino di casa ai palchi d’Europa

Quello dedicato a Mahmood è solo l’ultima di una serie di opere audiovisive dedicati a popolari star della scena musicale italiana. Da Ferro, documentario su Tiziano Ferro a Famoso, con protagonista il trapper Sfera Ebbasta, fino al più recente Laura Pausini: Piacere di conoscerti, che ripercorre la vita della celebre cantante in modo molto particolare. Di Mahmood non si può certo dire che proponga un approccio originale da un punto di vista narrativo. Il film è infatti costruito seguendo un ordine cronologico che se da un lato offre un ovvio e piacevole ordine, dall’altro rischia di rendere il progetto scontato e dimenticabile.

Se ciò non avviene del tutto lo si deve in particolare a due precisi aspetti, il cui “merito” di entrambi va prima di tutto allo stesso Alessandro Mahmoud. Il primo è relativo alle riprese dei concerti sostenuti nel 2022 dal cantante in alcune capitali europee. Come ormai risaputo, Mahmood ha molta cura per le immagini che lo riguardo, i look da sfoggiare, le luci e le scenografie con cui interagisce. La sua attenzione per questi dettagli fa sì che i suoi concerti risultino dei veri e propri spettacoli visivi e riproponendo alcuni frammenti di essi anche lo stesso film acquisisce un po’ per osmosi quel fascino.

Il secondo aspetto è dato dal vissuto di Mahmood. Non sono infatti tanto i retroscena dietro i suoi successi musicali a generare interesse, bensì i racconti che egli offre riguardo il suo ardente desiderio di fare musica nonostante le tante porte in faccia, riguardo il rapporto con l’amata madre, con quel padre assente e con quel desiderio di potersi sentire a casa. Di Mahmood si è detto che il suo sguardo sembra sempre rivolto altrove, come se ogni volta dovesse partire per una nuova meta o tornare a casa dopo un lungo viaggio, più nello specifico magari in quello sgabuzzino di casa dove da piccolo racconta di essersi sentito al sicuro, costruendo i propri mondi di fantasia.

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Lo sguardo di Mahmood

Il film offre dunque un maggior approfondimento della vita di Alessandro Mahmoud prima di diventare il Mahmood cantante capace di emozionare persone proveniente di contesti diversi, infrangendo barriere linguistiche e culturali. All’interno di un documentario dalla struttura canonica, dunque, si cerca di far emergere quel mondo emotivo che Mahmood non ha mai saputo esprimere se non attraverso le proprie canzoni, svelando tutto di sé attraverso queste. Addirittura la madre, che fornisce una delle testimonianze più belle del film, racconta di aver conosciuto meglio suo figlio attraverso tali testi che non tramite le loro conversazioni quotidiane.

Si può naturalmente scegliere di credere o non credere all’umiltà che il cantante mette sul piatto con questo documentario. Mahmood è notoriamente un artista molto divisivo, controverso e spesso difficile da definire (cosa, quest’ultima, non necessariamente negativa). Il film manca di essere tutto ciò, non raggiungendo dunque quella somiglianza tra artista e opera a lui dedicata che in altri casi simili si è dimostrata vincente, ma è certamente emozionante nell’offrire il racconto di un ragazzo che ha creduto talmente tanto nei propri sogni da riuscire infine a realizzarli. Un discorso che certamente toccherà l’animo di quanti, si spera molti, coltivano i propri sogni con cura e impazienza.

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RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
mahmood-recensione-documentario-giorgio-testiIl documentario dedicato a Mahmood non offre strutture narrative particolarmente originali, optando per un ordine cronologico che ha i suoi pregi e limiti. Viene dunque a mancare una maggior somiglianza tra l'artista e l'opera a lui dedicata, cosa che dispiace considerando quanto Mahmood sia attento alle immagini che lo riguardano. Emergono però affascinanti retroscena della sua vita privata, che sono ciò che più di ogni altra cosa rende interessante il documentario.