Con Nühai (Girl), Shu Qi (Millenium Mambo, The Assassin), firma un debutto registico intimo e doloroso, in cui il legame tra madri e figlie diventa il prisma attraverso cui osservare le ferite dell’infanzia e la trasmissione dei traumi familiari. Ambientato a Taiwan alla fine degli anni Ottanta, il film racconta la storia di Hsiao-lee, una ragazza silenziosa e introversa che cresce in una casa segnata dalla violenza del padre e dall’ombra di una madre assente, inghiottita dalle proprie scelte sbagliate. Un ambiente che non lascia spazio al dialogo, fatto di insulti, frustrazioni e incomunicabilità, in cui anche i gesti più quotidiani assumono un valore simbolico.
Un’eredità difficile da spezzare
Il film si apre con una frase paterna che suona come una condanna: «Non hai bisogno di studiare». Da lì in avanti, tutto il percorso di Hsiao-lee diventa una lotta per affermare un tempo e uno spazio propri. Corre, cammina veloce, sembra avere una misura diversa da chi la circonda: «Perché vai così veloce?», le chiedono, ma la velocità è l’unico modo per non farsi intrappolare dal peso di una casa che soffoca. Si occupa della sorella più piccola e tenta di sfuggire all’ira del padre ubriacone, mentre la madre emerge come figura severa e opaca, capace di ribaltare sulla figlia la frustrazione delle proprie scelte (“Se non studi abbastanza farai la mia stessa fine”). Nella vita di Hsiao-lee riaffiora anche Li-li, coetanea vivace e libera, che diventa lo specchio di ciò che lei stessa vorrebbe essere: un varco possibile verso la luce, un antidoto alla malinconia che la perseguita.
La paura dei vivi, più che dei fantasmi
Shu Qi costruisce il film come un racconto di ombre che pesano più delle presenze visibili. Non servono apparizioni o spettri, perché come dice la protagonista «sono le persone vive a fare più paura dei fantasmi». Il padre che insulta e maltratta, la madre che riversa rancore, il clima familiare fatto di rancori mai sanati: è in questo paesaggio di dolore che Hsiao-lee rischia di riprodurre, a sua volta, i comportamenti subiti. Una riflessione sul modo in cui i traumi d’infanzia si sedimentano e si trasmettono, quasi in maniera inconscia, di generazione in generazione.
Una regia tra poesia e rigore
Girato con uno sguardo sensibile, Nühai alterna momenti di forte realismo a squarci lirici. Shu Qi lavora molto sui silenzi, sui dettagli, sulla fisicità dei corpi: lo sguardo basso della ragazza, le stanze che la madre purifica senza riuscire a cambiare davvero la loro vita, il contrasto tra l’allegria luminosa di Li-li e la sua malinconia costante. L’uso della natura e degli spazi aperti – la corsa tra il fogliame, le avventure che sembrano parentesi di libertà, un palloncino che sbuca fuori da uno zainetto – si contrappone alla prigione domestica, segnalando una tensione costante tra desiderio di fuga e condanna all’appartenenza.
Nühai (Girl) è un film imperfetto ma sincero, un’opera prima che porta con sé tutta la fragilità e la forza di una regista alle prese con una storia a lungo maturata. Shu Qi non sempre riesce a bilanciare la densità simbolica con la chiarezza narrativa, ma restituisce un ritratto toccante della condizione femminile, sospesa tra eredità dolorose e voglia di rinascita. Il risultato è un racconto cupo e vibrante, che fa della corsa della sua protagonista una metafora struggente del bisogno di liberarsi da un destino imposto.
Nühai
Sommario
Con Nuhai (Girl) Shu Qi firma un debutto registico intimo e sofferto, che esplora i traumi familiari e la difficoltà di spezzare l’eredità del dolore. Un film imperfetto ma sincero, in cui la corsa della protagonista diventa metafora di un disperato bisogno di libertà.