Orlando, my Political Biography, recensione del documentario di Paul B. Preciado

Il filosofo B. Preciado aggiorna l'eredità trans di Virginia Wolf nel suo trionfale debutto come regista.

Orlando, my political biography (2023)
Fonte: The Movie Database

Il primo film da regista del più universale dei filosofi spagnoli, Orlando, my Political Biography di Paul B. Preciado, arriva oggi nelle sale italiane con Fandango. Si tratta di una profonda e al tempo stesso gioiosa riflessione sulla nuova realtà di tutti noi, che analizza i mutamenti del paradigma sociale, politico e sessuale come conseguenza del “crollo delle istituzioni e delle forme di legittimazione patriarcale, sessuale e razziale del vecchio regime“.

 

Orlando, my Political Biography è un’opera tanto resistente alle classificazioni e alle categorizzazioni quanto lo è il suo autore nel “continuare a definire la nostra sessualità, in questo tempo di soggettività, secondo le categorie della medicina del XIX secolo“. Nel progetto di Preciado, il soggetto è importante quanto la forma (labile, instabile, multipla), proprio perchè, per Preciado, il film funziona come mappa di una possibile utopia, quella di un tempo senza genere, in cui il queer invade i poteri della nostra immaginazione e diventa una forza politica di metamorfosi.

Gli Orlandos della nostra realtà

Seguendo le orme del romanzo Orlando di Virginia Woolf lo stesso regista inserisce la sua voce nella narrazione per una dichiarazione di intenti: ci dice che avrebbe voluto raccontare la sua vita, ma che in realtà questa è già stata raccontata prima di lui, un secolo fa, dalla scrittrice britannica, nel romanzo incentrato su un uomo che, all’età di 30 anni, cambia sesso, trasformandosi, nel cuore della notte e come per magia, da uomo a donna. Il viaggio di Orlando, che è anche una transizione, è lo stesso di tutti i corpi non binari, e Preciado andrà alla ricerca degli Orlandos di tutto il mondo per cercare la loro voce autentica e confonderla con la propria, creando un arazzo serrato, brillante, poetico e persino incandescente che finisce per essere la migliore rappresentazione, viva e mutevole, di una realtà che è anche una lotta. Ogni Orlando è una lotta a rischio della vita contro le leggi governative, contro la storia, contro la psichiatria, contro un femminismo “essenzialista e patriarcale”, contro l’idea tradizionale di famiglia e, se necessario, contro le case farmaceutiche.

Situato in un territorio indefinito tra autobiografia, manifesto politico, saggio letterario, attivismo sociale e gioco metatestuale, Orlando, my Political Biography traspone la storia di Woolf nel mondo reale e il suo protagonista in una trentina di personaggi chiamati Orlando; “il mondo oggi è pieno di Orlando, e noi stiamo cambiando il corso della storia“, dice la voce fuori campo di Preciado a un certo punto del film. Sia che mettano in scena estratti del testo originale, che raccontino esperienze personali dolorose o che ballino un inno techno-pop ai “trans” – pieno di battute stellari come “non lasciate che Freud e Lacan vi fottano la mente” o “Chi possiede la vostra narrativa? Dio? Lo Stato? La psichiatria? La legge?” – tutti parlano con grande umorismo e persuasività dell’assurdità delle distinzioni di genere.

Frame tratto da Orlando, my political biography
Fonte: The Movie Database

Raccontare un corpo collettivo in transizione

Il corpo trans, ci dice Paul B. Preciado, non cerca di essere osservato e conosciuto: ciò che vuole mettere in discussione è l’organizzazione dei corpi. Esattamente quello che ha fatto Virginia Woolf in “Orlando”, nel 1928, quando la rivendicazione di un’identità non binaria sembrava materia prima per un romanzo di fantascienza. Non è strano che Preciado, che ha scritto saggi rivoluzionari sulla questione trans come “Testo yonqui” o “Dysphoria mundi“, veda il romanzo della Woolf come un manifesto che funge da substrato biografico che trascende la sua individualità: quello di cui si occupano Woolf e Preciado è un corpo collettivo in transizione, che vive il suo processo come un viaggio verso la liberazione delle forme e degli orientamenti sessuali.

Questo viaggio si traduce in un film che cerca se stesso, che si trasforma, da saggio filosofico a confessione autobiografica, da documentario creativo a testimonianza politica, utilizzando il testo di Woolf come gene comune a tutta una miriade di esperienze che parlano anche dei limiti farmacocapitalistici imposti dal sistema, della difficoltà di riconoscersi in una burocrazia che continua a essere guidata da imperativi binari, dell’ansia prodotta dall’abbandonarsi a un corpo ricodificato quando il contesto insiste a rinchiudersi in codici obsoleti.

Ricerca, rappresentazione e appiglio emotivo

L’intento, spiega Preciado, è quello di modificare completamente le narrazioni su cui ci siamo costruiti come società, “di trovare modi diversi di raccontarci“, e assicura che gli spettatori ideali per il suo film sono i bambini e gli adolescenti, perché sono quelli che stanno vivendo più intensamente questa grande trasformazione e che continueranno ad approfondirla. Analogamente ai suoi testi, che combinano esperienza personale, teoria e critica socio-politica, Orlando, my Political Biography di Preciado riesce a essere ambizioso nella sua ricerca tematica, intelligente nelle sue modalità di rappresentazione visiva e, infine, emotivo nel dare volti e corpi alle persone che condividono le sue storie di vita e il suo immaginario.

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