Piggy, recensione del film di Carlota Pereda

La recensione di Piggy, film della regista Carlota Pereda e con Laura Galán protagonista, presentato ad Alice nella città.

Un frame di Piggy

Dal cortometraggio del 2018 Cerdita, Carlota Pereda ha tratto il film Piggy presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2022 e, in territorio italiano, ad Alice nella città alla Festa del Cinema di Roma 2022. Riflettendo su come il concetto di vendetta possa piegarsi a istinti diversi nella mente e nel corpo, Piggy esplora il sodalizio silenzioso tra due parti unite emotivamente, altamente distruttivo nella messa in scena di una propria verità che confonde al massimo l’antinomia tra vittima e carnefice.

 

Piggy: un nuovo capitolo dell’horror di formazione?

Sara è un’adolescente sovrappeso che assiste al rapimento da parte di uno sconosciuto di un gruppo di ragazze che la bullizzano regolarmente. Quando la polizia inizia a fare domande, Sara tace, combattuta tra il rivelare la verità e il proteggere l’uomo che l’ha salvata.

Rinnovando la collaborazione con Laura Galàn, già protagonista del cortometraggio da cui è nato Piggy, Carlota Pereda cerca di elaborare una nuova versione del coming-of-age, che ha a che fare soprattutto con la carne, la propria e quella delle persone con cui entriamo in contatto. Instradata da Raw di Julia Ducournau, vero caposaldo dell’horror di formazione, in cui il passaggio alla maturità ha a che fare necessariamente con la veracità carnale, la regista spagnola parte del successo del suo cortometraggio, a suo modo innovativo, cercando di estendere la narrazione per poter costruire un vero e proprio film attorno a Sara.

Piggy perde l’anima del suo cortometraggio

Gli ideali visivi e la parvenza di organicità della trama rimangono visibili oltre i vari difetti di Piggy ma, purtroppo, non riescono ad elevare il film di Pereda rispetto ad altri progetti indipendenti attinenti al genere horror e presentati sempre nell’ambito dei festival indipendenti americani; basti pensare a Speak No Evil di Christian Tafdrup, certamente artigianale ma affilatissimo nella scrittura. Al contrario, Piggy comprime l’arguzia del cortometraggio nelle brevi sequenze iniziali, per poi lasciare spazio alla storia del dopo, tutto quello che non vorremmo nè dovremmo sapere. Carlota Pereda opta per l’analisi delle conseguenze, di ciò che accade dopo che un singolo e silenzioso gesto di consenso ha dato via a una caccia al mostro in paese. Così facendo, tuttavia, toglie a Piggy l’angosciante atmosfera di terrore con cui avevamo lasciato Sara nel cortometraggio, chiedendoci veramente come avremmo dovuto porci nei confronti di questo personaggio.

Sara è continuamente difesa: nessuno può andare contro a una ragazza bullizzata perchè è facile credere che venga continuamente vessata. In realtà, Sara è un coniglio, come quello che viene offerto alla ragazza bionda quando fa compere all’inizio del film nella macelleria dei suoi genitori. Il come la sua paura approvi la violenza, le consenta di agire quasi “sotto copertura”, viene completamente atterrito da un ritmo incostante, che cerca in una soluzione finale visivamente impattante di accaparrarsi la comprensione dello spettatore. La verità è che, dallo sguardo interrogativo, quasi minimalista del cortometraggio, sull’horror popolare dell’Estremadura, si passa a una ricreazione più convenzionale dello slasher yankee. Pereda guarda di traverso a molteplici riferimenti (De Palma, Tob Hopper, King…) e, pur rimanendo fermo alla sua idea originale, che denuncia l’oppressione dei diversi nelle piccole società rurali, questo Piggy – meno sottile, più esplicito -, non è più come quello che ha vinto il Goya.

Un silenzio agghiacciante dall’effetto ambiguo

Pereda fa del suo personaggio il centro di una sorta di body horror che non ha bisogno di ferite o di violenza esplicita per essere inquietante. Allo stesso tempo, fa della sua vita il palcoscenico per una’esistenza spaventosa sotto molteplici aspetti. Le molestie subite da Sara sono solo il preludio di qualcosa di più cruento e lo scopriamo nell’intervallarsi tra sequenze di violenza adolescenziale e piccole fratture del quotidiano con toni sanguinosi. Da vittima propiziatoria e disumanizzata, Sara diventa testimone di una sorta di rabbia selvaggia che, in un modo o nell’altro, sembra nutrirsi del suo dolore.

Ben presto, la trama mette insieme una sorta di connessione diabolica tra la sofferenza di Sara e la crudeltà inflitta dall’assassino. A quel punto, Pereda si sforza di mostrare una sorta di legame tra la storia e il corpo del suo personaggio che provoca un profondo disagio. È possibile racchiudere due idee simili nello stesso spazio senza che una giustifichi l’altra? Il bisogno inarrestabile di essere compresi, anche attraverso la violenza, emerge prepotentemente ma, al di là di una premessa azzeccata, Piggy non riesce a tenere testa ai propri intenti.

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