Quando Dio imparò a scrivere: recensione del film Netflix

Un thriller psicologico di matrice spagnola arriva su Netflix e conquista il pubblico. Ecco la recensione di Quando Dio imparò a scrivere.

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Il regista Oriol Paulo porta su Netflix un film angosciante e vorticoso. Quando Dio imparò a scrivere è la storia anni Ottanta di una malattia mentale più presunta che assodata. Con un cast tutto spagnolo – Bárbara LennieEduard FernándezLoreto MauleónJavier BeltránPablo Derqui – nel thriller si parla di schizofrenia, manicomi, psichiatri corrotti e malasanità.

 
 

La trama di Quando Dio imparò a scrivere

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Negli anni Ottanta, Alice (Bárbara Lennie) dice di essere una detective. Con l’intento di risolvere un caso di presunto omicidio, corrompe il marito e la sanità per farsi ricoverare all’interno di un ospedale psichiatrico. Spacciandosi per una donna schizofrenica capace di avvelenare il marito, Alice inizia a indagare tra gli archivi dell’ospedale, portando a galla diversi casi di malasanità. Non appena i suoi sospetti sembrano concretizzarsi, la diagnosi da lei inventata le si ritorce contro. Come chi grida ‘al lupo, al lupo’, Alice prima si è spacciata per pazza e ora non viene creduta più da nessuno. La donna finisce così in un vortice all’interno del quale è impossibile comprendere dove si trovi la verità.

Gli anni Ottanta e gli ospedali psichiatrici

Sicuramente il regista di Quando Dio imparò a scrivere ha bene in mente il cult che più di ogni altro ha denunciato la gestione della sanità: Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew Over the Cuckoo’s Nest) di Miloš Forman. Il setting temporale, e di conseguenza le strutture, sono molto simili. Il film del 2022 è ambientano nel 1979, mentre quello di Forman è del 1975Alice è un po’ come McMurphy (Jack Nicholson ), un paziente difficilmente domabile che entra nella struttura e frantuma l’equilibrio esile con cui viene domata – o sedata – la follia. Entrambi interpretano un individuo pressoché sano di mente che, una volta finito in un ospedale psichiatrico, non viene curato ma finisce per impazzire. Il centro del discorso è lo stesso per entrambi i film e il citazionismo di Paulo è parecchio spinto.

Anche se il paragone a livello narrativo e recitativo non regge, è piacevole cogliere i riferimenti e le assonanze tra le due opere. In realtà, gli anni Ottanta non emergono troppo nelle immagini di Quando Dio imparò a scrivere e, anche le ambientazioni sono abbastanza edulcorate. Mancano nel film i classici stanzoni degli ospedali psichiatrici, le camicie di forza, i pazienti malmessi e tutti quegli aspetti inquietanti ma apprezzati dagli amanti del genere.

Indagini ai limiti della follia

Quando Dio imparò a scrivere aggiunge al discorso sulla sanità mentale la questione thriller e investigativa. Inizialmente, c’è ‘solo’ un caso di omicidio da risolvere ma, più ci si addentra nella storia, più gli aspetti indagabili aumentano. Dal direttore dell’ospedale psichiatrico, alquanto sospetto, ad altre morti non dichiarate, il centro medico ben presto si trasforma in un teatro degli orrori. Il luogo è ideale per l’Alice detective, ma non per l’Alice paziente. Tra le rappresentazioni, contorte anche a livello fotografico, i flashback, le anticipazioni e le molteplici linee narrative, Quando Dio imparò a scrivere risulta un film troppo arzigogolato che crea una matassa più grande minuto dopo minuto.

In conclusione, il film è adatto a chi, in questo periodo dell’anno, cerca un prodotto Netflix diverso dalla classica commedia natalizia spensierata. Nonostante ciò, il film non arriva alle vette di coinvolgimento che, scegliendo un tema simile, si era sicuramente preposto.

Sommario

Quando Dio imparò a scrivere è un thriller psicologico che gioca sugli intrighi della mente e su quelli della società. Un miscuglio a tratti coinvolgente, a tratti estenuante.

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