Renfield: recensione del film con Nicolas Cage

Al cinema dal 25 maggio, il film è una bizzarra commedia splatter che fa del servo di Dracula il vero protagonista del racconto.

Renfield-Nicolas-Cage

Si muove a partire da una premessa interessante il film Renfield, diretto da Chris McKay (Lego Batman, The Tomorrow War), ovvero quella secondo la quale il rapporto esistente tra il Conte Dracula e il suo assistente R. M. Renfield non è altro che, usando l’odierno modo di dire, una relazione tossica. Che le dinamiche esistenti tra questi due personaggi siano tutt’altro che sane non è certo un’invenzione di Robert Kirkman, autore della storia, né dello sceneggiatore Ryan Ridley, bensì di colui che questi personaggi li ha inventati nel lontano 1897, ovvero Bram Stoker. Tale chiave di lettura viene però qui ulteriormente esaltata, specialmente grazie al fatto di avere, per una volta, Renfield come assoluto protagonista.

 

Interpretato da Nicholas Hoult, egli continua a servire il leggendario vampiro sin dagli eventi del Dracula del 1931, di cui Renfield è un “quasi-sequel“, secondo la definizione di McKay. Dopo aver attraverso gli oceani del tempo ed essere arrivati nel mondo contemporaneo, i due continuano indisturbati le loro attività, con Renfield che procura nuove vittime al suo padrone e questi che se ne ciba per diventare sempre più forte. La vita di Dracula sembra però non avere né uno scopo né una direzione precisa, ed ecco allora che il potente vampiro decide che è giunto il momento di conquistare il mondo. Renfield inizia però ad assaporare una vita diversa da quella, con la consapevolezza che intraprenderla significherebbe tradire il suo maestro.

Un film pulp per il più famoso dei vampiri

Sin dai primi materiali pubblicitari rilasciati, Renfield lasciava intendere di essere un progetto pensato con il piede schiacciato sul pedale della follia. Con questa premessa, non ci si poteva dunque aspettare qualcosa di particolarmente elaborato da un punto di vista del racconto e l’aspettativa puntualmente non viene smentita. L’intreccio è quantomai esile e quando le varie linee narrative iniziano a convergere verso il finale ecco che diventa anche noiosamente prevedibile. Il principale interesse di Kirkman, Ridley e McKay risulta piuttosto essere quello di confezionare una serie di scene, gag o anche solo battute che possano risultare memorabili nella loro follia, intrattenendo e possibilmente reggendo l’intero film.

Naturalmente affidare un intero lungometraggio a tali elementi raramente è una buona idea. Renfield riesce però ad offrire un numero tale di momenti pulp, tra combattimenti estremamente sanguinolenti e interazioni effettivamente divertenti tra i personaggi, da riuscire a risultare – complice la sua adeguata durata di 93 minuti – un prodotto godibile e divertente, che trova il suo giusto tono tra horror, commedia ed azione splatter. Il che probabilmente è ciò che conta di più. Innegabile però che anche il citato pedale della follia appare ben presto non essere premuto fino in fondo, lasciando dunque la sensazione che se proprio doveva essere questo l’elemento su cui fondare il film, tanto valeva crederci un po’ di più.

Renfield e la sua relazione tossica

La vera arma a doppio taglio, che probabilmente farà però storcere il naso solo ai più smaliziati, è proprio la sua chiave di lettura riguardante le relazioni tossiche. Questa risulta inizialmente interessante applicata ai due protagonisti, mostrando in particolare gli effetti che ha sulla psiche di Renfield (con tanto di sua partecipazione a gruppi di sostegno). È un elemento che rimane “sullo sfondo”, che giustamente si fa percepire più per immagini che non per parole pronunciate dai protagonisti. Nel momento in cui sul finale il concetto viene però ribadito in maniera ancora più esplicita, a mo’ di lezione di vita, ecco che diventa didascalico, svuotato di valore. Un di più che spezza non solo il momento in cui è aggiunto ma fa acquisire all’intero film un che di furbo poco gradevole.

Renfield-recensione

Nicolas Cage: un magnifico Dracula

Innegabile che ad aver reso degno di particolari attenzioni questo progetto, rimasto a lungo in stand by per via dei problemi del Dark Universe, ci sia la presenza del premio Oscar Nicolas Cage nei panni del conte Dracula. L’attore, che negli ultimi anni sta vivendo una seconda vita artistica grazie a film bizzarri come Mandy, Pig o Il talento di Mr. C, aggiunge così alla sua collezione di personaggi anche l’iconico vampiro, che interpreta come suo solito con un fare sopra le righe che però, dato il personaggio, risulta particolarmente appropriato. Ancor di più, l’interprete riesce a rendere il proprio Dracula simpatico (nella sua crudeltà) ed effettivamente minaccioso quando occorre.

Non sfigurano tuttavia neanche Nicholas Hoult nei panni del protagonista del titolo e, in particolare, Awkwafina – qui nel ruolo dell’intransigente poliziotta Rebecca Quincy – dotata di una verve comica e una presenza scenica che non si smentiscono mai. Sono decisamente loro, con la notorietà ed esperienza di cui godono, la principale attrattiva del film, che può comunque vantare anche delle affascinanti scenografie ed un buon trucco per quanto riguarda le trasformazioni fisiche di Dracula. I tre reggono sulle loro spalle il film, contribuendo indubbiamente alla sua generale riuscita nonostante le pecche più su evidenziate.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
renfield-nicolas-cageCon Renfield l'attenzione si sposta sul servo di Dracula, anche se proprio quest'ultimo non manca ovviamente di rubare la scena, merito di un Nicolas Cage sopra le righe ma convincente. Al di là delle interpretazioni dei tre protagonisti (oltre a Cage, anche Hoult e Awkwafina) e di alcuni momenti ben congeniati, il film è però parzialmente frenato non solo da una narrazione piuttosto esile ma anche dalla sua stessa chiave di lettura nel momento in cui questa diventa fastidiosamente didascalica.