Sarà lo stesso Frankie hi-nrg mc, autore degli adattamenti delle canzoni originali del film, ad accompagnare il Rheingold di Fatih Akin in alcune delle sale italiane dove I Wonder Pictures lo distribuisce dal 27 luglio. Una introduzione che potrebbe vincere la curiosità di molti e rinfrescare il ricordo della presentazione all’ultima Festa del Cinema di Roma di un film duro e incredibile, come la storia vera che racconta: quella del rapper e produttore discografico – ex profugo ed ex criminale – Xatar, che ha collaborato strettamente alla realizzazione del film con il regista turco vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2004 per La sposa turca, Leone d’Argento a Venezia 2009 con Soul Kitchen e Golden Globe come Migliore film straniero nel 2017 per Oltre la notte.
Rheingold, la storia di Xatar
Dall’inferno di una prigione irachena alla Siria, per poi fuggire a Parigi con la famiglia e successivamente ad Amsterdam, Giwar Hajabi arriva in Germania ancora ragazzino a metà degli anni ’80. Sono solo le tappe principali del drammatico e avventuroso percorso del rapper oggi noto come Xatar (“pericoloso”), del quale Rheingold ripercorre la parabola esistenziale a partire dalla sua stessa autobiografia “Alles oder Nix: Bei uns sagt man, die Welt gehört dir” (“All or nothing: We say the world belongs to you”).
Dal ghetto alla vetta delle classifiche musicali, il ragazzo di origine curda vive ogni tipo di repressione e violenza, superando molte avversità e scalando la scena della criminalità locale fino a diventare uno spacciatore di riferimento. Almeno fino a quando non progetta con i suoi amici e complici di sempre un leggendario furto d’oro che gli permetterà di saldare i suoi debiti con il cartello per un carico di droga perduto e realizzare il suo sogno di fare musica.
Una vita difficile
“Qual è il tuo primo ricordo?” chiede Xatar/Giwar Hajabi (Emilio Sakraya), “qual è il nostro?” viene spontaneo pensare dopo aver a lungo assistito al crescendo di una vita spericolata e sempre al limite – come viene presentato questo biopic crime nel quale tutto sembra finzione, soprattutto i momenti più duri e veri. Una vita segnata dalla tortura e dalla persecuzione – quella dei curdi, come si vede nella prima parte della narrazione, incentrata sulle questioni familiari degli Hajabi – che troppo spesso siamo portati a giudicare a partire dalla punta di iceberg inimmaginabili.
Questo solo uno degli spunti che offre il lungo e dettagliato racconto di redenzione, o vendetta e successo, nel quale Fatih Akin ammette di aver visto “il potenziale per un film epico” e che alla fine scopriamo essere dedicato al padre del regista. Non a caso, per quanto sarebbe interessante sapere i motivi della scelta, vista l’importanza delle figure paterne, assenti o poco esemplari, almeno inizialmente. Ennesimi modelli scartati in una ricerca incessante e frustrata che il protagonista risolve come può, affidandosi ad amici faccendieri, sognatori violenti come lui o paternalistici boss dello spaccio.
Un personaggio e un film ‘larger than life’
Sono molte le figure che si succedono sullo schermo nelle oltre due ore di durata di una vicenda alla quale avrebbe certo giovato una maggior sintesi (e un maggior spazio alla eroica figura della madre e alla sua vita di sacrificio). Nonostante i temi principali emergano comunque con grande forza, Akin si dilunga molto nella costruzione del profilo criminale di Xatar, ben oltre le necessità di caratterizzazione del personaggio.