Ride: recensione del film di Valerio Mastandrea

Ride

Ride è il titolo contraddittorio dell’esordio al cinema, in veste di regista, di Valerio Mastandrea, che per la sua prima volta dietro la macchina da presa sceglie il tema del lutto (da qui il ‘contraddittorio’ di cui sopra), di come viene vissuto, di come ci si aspetta che lo vivano gli altri, insomma di come una unicità si interfaccia con un evento che la accomuna a tutti gli altri “uguali”.

 

In Ride Carlotta (Chiara Martegiani) vive con il figlio di dieci anni. È una giornata assolata e il giorno successivo si terranno i funerali di Mauro, suo compagno, morto per un incidente in fabbrica una settimana prima. Un funerale pubblico, per via delle cause della morte del giovane, un funerale che finirà in tv (“Ci saranno le telecamere?” chiede conferma il piccolo Bruno), un funerale al quale tutti si aspettano che Carlotta sia una giovane vedova affranta e inconsolabile. Il problema è che Carlotta non riesce a piangere, nemmeno una lacrima per la scomparsa improvvisa dell’amore della sua vita.

Valerio Mastandrea si dedica a un argomento che sembra essergli particolarmente a cuore, coniugando la sua attenzione all’individualità con il suo occhio sempre aperto sul mondo. E quindi, se da una parte vediamo Carlotta, il suo appartamento, l’avvicendarsi di personaggi più o meno graditi alla protagonista che svolgono il loro ruolo, come meglio credono, nella pantomima del dolore manifesto, dall’altra lo sfondo è occupato dalle circostanze della morte di Mauro. Emerge qui la figura del padre, interpretato da Renato Carpentieri, un tragico burattino nelle mani di un destino che gli ha portato via il figlio “buono” e lo mette a confronto con quello “cattivo”, uno Stefano Dionisi a cui viene affidato il ruolo più “sgradevole” e forse meno riuscito della storia, scritta dallo stesso Mastandrea con Enrico Audenino.

RideIn mezzo a queste due realtà, spicca Bruno, interpretato dall’esordiente Arturo Marchetti che in coppia con Mattia Stramazzi regala al film i suoi momenti di più alta leggerezza. Dopotutto, Ride si contraddistingue proprio per questa caratteristica, un umorismo sottile, leggero, che gravita intorno a un dolore nero che non trova parole o lacrime. E in mezzo a questo nodo di sentimenti laceranti, Valerio Mastandrea riesce a tenere in equilibrio quasi tutti gli elementi, eccellendo proprio nella regia, nella trovata scenica, nel rimanere sempre padrone dello spazio, dando il giusto tempo alle emozioni.

Ride è un dialogo tra pubblico e privato, tra sorriso e lacrima, tra ciò che viene urlato e manifestato e ciò che invece non trova parole per essere espresso; Mastandrea si conferma artista sensibile e istintivo in un cinema che può ancora dire tanto, anche sulle faccende più comuni, con un approccio personale e discreto.

Ride, il trailer

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