Rustin, recensione del film Netflix diretto da George C. Wolfe

Il film è disponibile su Netflix.

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Rustin, il biopic diretto da George C. Wolfe e dedicato all’attivista nero che diventò la “mente” dietro la storica marcia su Washington del 1963, deve essere quasi necessariamente valutato adoperando due metodi di giudizio separati, ovvero quello specifico volto alla critica del film nella sua riuscita estetica e quello che invece lo inserisce in un discorso e un contesto cinematgorafico maggiormente ampi.

 

Rustin, la trama

Partendo dalla valutazione prettamente rivolta a Rustin, bisogna scrivere che pur rappresentando un evidente passo indietro rispetto al più viscerale Ma Rainey’s Black Bottom – in quel caso molto probabilmente contava il fatto di appoggiarsi sul testo di un grande autore quale era August Wilson – questo nuovo lungometraggio di Wolfe non possiede alcun evidente difetto che ne mina la riuscita in maniera perentoria. Ogni elemento del film biografico – dalla regia al montaggio, dalle interpretazioni alla ricostruzione storica – contribuisce alla composizione di un prodotto di qualità, ideato e realizzato con attenzione ai particolari e la volontà di soddisfare le esigenze dei un pubblico ampio.

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Nel ritmo della narrazione quanto nell’esposizione filmica Rustin si sviluppa sui binari consolidati di questo tipo di produzioni, offrendo uno spettacolo sufficientemente efficace. Colman Domingo come protagonista in molti momenti regge il film sulle proprie spalle con un’interpretazione certamente istrionica ma che non sconfina mai nella forzatura. In un cast di contorno pieno di attori e caratteristi di consumata professionalità spiccano a nostro avviso un carismatico Glynn Turman, la sempre efficace CCH Pounder e Jeffrey Wright che si distingue pur avendo praticamente a disposizione una sola vera sequenza. Sono senza dubbio un gruppo di attori affiatati e capaci di rimanere sempre sulla stessa lunghezza d’onda il pregio maggiore di questo  biopic di indubbia solidità.

Una questione di contesto

Perché dunque Rustin risulta un lungometraggio che verosimilmente non lascerà tracce considerevoli nella storia del cinema di impegno civile? E questo ci porta adesso a considerare il secondo fatto di cui abbiamo accennato all’inizio della recensione, ovvero il contesto a cui appartiene e in cui è stato realizzato. Appare ormai evidente che l’establishment hollywoodiano cerca ormai il consenso di una fetta di pubblico ben precisa gratificando le esigenze con film che non problematizzano più quello che raccontano, e peggio ancora non prendono più in considerazione molti dei temi e dei problemi presenti nel passato della storia americana almeno quanto nel presente.

rustin recensione filmNon possiamo parlare di cinema agiografico, forse il termine è eccessivo, ma di certo non si tratta di un prodotto che spinge lo spettatore verso un qualsiasi tipo di turbamento emotivo o intellettuale. Se pensiamo ai film che negli ultimi anni hanno raccontato le tappe storiche della battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti, e di conseguenza la piaga del razzismo nelle sue molteplici forme, pochissime situazioni o questioni vengono realmente presentate come elemento capace, anzi desideroso di generare dibattito sul presente.

Rustin non si sforza di farsi metafora del presente

Rustin rispecchia questa univocità di visione in maniera puntuale quanto, in almeno una scena come quella dell’”addestramento” degli agenti di polizia, francamente sconfortante. Un lungometraggio che rimane nel passato e non proietta alcuno sforzo per farsi metafora di quello che non funziona oggi nella società americana. Questo tipo di cinema, ed è forse il suo peggior torto, si sta facendo sempre piû classista: si rivolge infatti – e sembra sempre piû voler compiacere – una fetta di pubblico che rappresenta un contesto socioeconomico elevato, stabile, mentre la popolazione rimasta in condizioni maggiormente disagiate, e che proprio per questo subisce le varie declinazioni del pregiudizio in maniera ancor più drammatica, non trova piú rappresentazione a Hollywood.

La lezione di Spike Lee – fino al suo ultimo, “sbagliato” ma schierato Da 5 Bloods – appare tristemente dimenticata, se non addirittura “ripudiata” al fine di dimostrare che, come Rustin appunto, il cinema nero ha raggiunto posizione di saldezza all’interno dell’industria dello spettacolo americana. Ma quale costo è stato pagato? Se vi capita di vedere o rivedere Fa’ la cosa giusta, Malcolm X o He Got game, tanto per citare alcuni titoli di Lee, allora lo capirete…

Sommario

La lezione di Spike Lee - fino al suo ultimo, “sbagliato” ma schierato Da 5 Bloods - appare tristemente dimenticata, se non addirittura “ripudiata” al fine di dimostrare che, come Rustin appunto, il cinema nero ha raggiunto posizione di saldezza all’interno dell’industria dello spettacolo americana.
Adriano Ercolani
Adriano Ercolani
Nasce a Roma nel 1973. Laureato in Storia e Critica del Cinema alla "Sapienza", inizia a muovere i primi passi a livello professionale a ventidue anni, lavorando al tempo stesso anche nel settore della produzione audiovisiva. Approda a Coming Soon Television nel 2006, esperienza lavorativa che gli permette di sviluppare molteplici competenze anche nell'ambito del giornalismo televisivo. Nel 2011 si trasferisce a New York, iniziando la sua carriera di corrispondente di cinema dagli Stati Uniti per Comingsoon.it e Cinefilos.it - È membro dei Critics Choice Awards.

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