Sing 2 – sempre più forte, la recensione del film Illumination

Sing 2 - sempre più forte

Dopo l’enorme successo del primo Sing, realizzato dalla Illumination Studios cinque anni fa, ecco arrivare Sing 2 – sempre più forte il nuovo episodio che propone in pratica la stessa formula vincente inserendola in quelle che sono le coordinate maggiormente attese dal pubblico quando si tratta di sequel: visione ingrandita, spettacolo fantasmagorico ed avvincente.

 

I numeri di Sing 2 non gareggiano con quelli del primo film

Sing 2 – sempre più forte riesce soltanto a metà nell’impresa dal momento che se l’estetica viene aggiornata e resa maggiormente sfavillante grazie a una nuova ambientazione, allo stesso modo l’emozione che i numeri musicali con cui l’originale aveva saputo conquistare il cuore del pubblico in questo caso viene a mancare, o almeno appare sviluppata con minore forza propositiva. Il regista Garth Jennings, confermato dopo l’exploit del primo Sing, sembra preoccuparsi maggiormente di inserire i personaggi conosciuti in un nuovo contesto che di approfondire la loro personalità attraverso storie o archi narrativi in grado di raccontarli più in profondità.

Ecco quindi che Buster (Matthew McConaughey in originale), Rosita (Reese Witherspoon), Ash (Scarlett Johansson) e tutte le altre figure principali di Sing 2 non presentano alcun approfondimento rispetto a quanto già sapevamo di loro, e di conseguenza non riescono ad entrare sul serio nel cuore dello spettatore quando devono affrontare gli ostacoli che si propongono loro. Ad aiutarli non contribuisce poi una sceneggiatura che si rivela poco più di un canovaccio, che propone conflitti sia interiori che esteriori ai personaggi piuttosto approssimativi e in alcuni casi neppure veramente risolti.

Manca il coinvolgimento emozionale

Sing 2 si dipana senza che vi sia un vero e proprio coinvolgimento emozionale con quanto accade sul grande schermo. La sottotrama più forte è probabilmente quella che riguarda il nuovo personaggio di Clay Calloway (Bono Vox), ma anche in questo caso si tratta più di una suggestione che di una storia realmente sviluppata (anche se a essere sinceri un’inquadratura nel pre-finale risulta capace di scuotere l’animo e strappare la proverbiale lacrimuccia, vi accorgerete quale è quando la vedrete…). 

La cosa più interessante di Sing 2, alla fine, si rivela proprio l’ambientazione che in un certo qual modo si fa “manifesto” della politica non soltanto del film ma della stessa Illumination. Grandi successi come Cattivissimo Me, Minions, Pets – Vita da Animali o lo stesso Sing sono stati costruiti con intelligenza e una decisa propensione ad andare incontro alla voglia di divertimento del pubblico, in particolar modo quello più giovane.

Rimane comunque impossibile non notare quanto i titoli appena citati lavorino maggiormente in superficie rispetto a molti dei grandi film d’animazione realizzati in questi anni ad esempio dalla Pixar. Non che sia necessariamente un difetto, ma a livello di puro spessore artistico e cinematografico la differenza rimane innegabile. Scegliendo di ambientare quasi tutto il film in una città che è chiaramente una copia animata di Las Vegas – in pratica il tempio dello spettacolo di largo e veloce consumo –  Sing 2 sembra abbracciare metaforicamente tale politica dell’entertainment, “confessando” la propria natura e il motivo intrinseco dell’esistenza stessa del film. Nulla di male come detto, tutt’altro: giocando a carte scoperte il lungometraggio di Jennings risulta in qualche modo più sincero rispetto ad alcuni dei precedenti film della Illumination, maggiormente camuffati da opere in possesso di uno statuto che in realtà non apparteneva loro. 

Uno spettacolo scintillante e una struttura narrativa non soddisfacente

Seguito fiacco di un film d’animazione a nostro avviso già non particolarmente memorabile – seppur efficace – Sing 2 – sempre più forte possiede purtroppo il difetto principale di quei progetti che intendono sfruttare il successo del precedente episodio tentando di amplificare quello che ha funzionato a livello di intrattenimento senza invece provare strade realmente nuove, in grado di fornire prospettive interessanti su personaggi e dinamiche tra essi. Garth Jennings ha confezionato uno spettacolo scintillante il quale si poggia però su una struttura narrativa fin troppo aleatoria perché l’operazione possa dirsi soddisfacente.

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