Dopo la scoppiettante rapina al treno e il finale amaro di Masterclass, Smetto Quando Voglio – Ad Honorem fa scendere di nuovo in campo la squadra, anzi la banda dei ricercatori capitanata da Pietro Zinni (Edoardo Leo), che questa volta deve sgominare un vero e proprio attentato terroristico a opera di Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio), artefice del Sopox.
Masterclass si conclude proprio con la scoperta che la smart drug in questione era la formula del gas nervino, e così, in Ad Honorem, Sydney Sibilia trasforma gli impacciati ma geniali dottori in veri e propri eroi, che vogliono evadere soltanto per sventare un attacco potenzialmente tragico.
Evasione e gesto eroico
Il film si divide così in due blocchi: il primo è ispirato ai prison movie, in cui seguiamo il gruppo di protagonisti che mettono insieme le loro forze per evadere dal carcere di Rebibbia. Si tratta di una sezione corposa e ben strutturata, in cui emerge la forza del gruppo e l’importanza di ogni membro per la riuscita del piano.
Nel secondo blocco, meno coeso ma altrettanto efficace, la banda dei ricercatori si trova sul posto dell’attentato, La Sapienza, per sventare la minaccia. Questa seconda sezione si compone di diversi temi e filoni che mettono in ombra il gruppo in favore dei singoli, in particolare l’eroe Zinni e il villain Mercurio, con tanto di ruolo determinante affidato a Neri Marcorè, che torna a essere Er Murena, il villain del primo film, trasformatosi in aiutante segreto.
Smaltita la scarica di adrenalina che gli aveva dato la “grande rapina al treno” del secondo capitolo, Sibilia torna in sella e confeziona un prodotto più maturo, complesso negli argomenti, in cui la storia trova finalmente il suo compimento e i pezzi, dei personaggi, della narrazione, delle motivazioni, trovano un loro posto.
Smetto Quando Voglio – Ad Honorem, commedia e genere
Merito della saga di Smetto Quando Voglio è quello di aver creato un immaginario, tutto italiano, che pur prendendo a prestito generi che sono prevalentemente utilizzati all’estero, si mescolano con la nostra commedia migliore, ovvero quella fatta di attori, personaggi che nella loro comica impotenza di fronte alle circostanze, si industriano, in questo caso grazie anche altissime competenze accademiche che li caratterizzano. Se all’inizio era un incontro tra Breaking Bad e I Soliti Ignoti, la commedia in tre atti di Sibilia si è mescolata ancora con altri generi, rimanendo sempre profondamente legata all’identità dei personaggi, il vero punto fermo e forte della trilogia.
A livello stilistico, Smetto Quando Voglio – Ad Honorem riprende i colori fluo, la fotografia satura e acida che si intonava, all’inizio, con il giallo limone della smart drug di produzione della banda, creando anche una coerenza stilistica e visiva che rende il progetto immediatamente riconoscibile. Un elemento in più rispetto al capitolo precedente, il più spettacolare ma il meno riuscito narrativamente, è l’umanità dei personaggi, che soprattutto nella caratterizzazione del ruolo di Marcorè e Lo Cascio, prende il sopravvento e arricchisce un quadro già vivace.
Il capitolo migliore della trilogia
Alla luce dell’intera trilogia, Smetto Quando Voglio – Ad Honorem è il capitolo più riuscito, per armonia del racconto e sviluppo dei personaggi. Sydney Sibilia non rinuncia a tutto ciò che ha reso “già visto” i film predenti (dalle caratterizzazioni nerd alle scelte musicali), riuscendo finalmente ad acquistare un’anima propria e a perfezionare la regia. Ammesso che sia possibile smettere di fare qualcosa che ci piace solo perché lo si decide, con la trilogia di Smetto Quando Voglio, Sibilia si è costruito ottime basi per un futuro cinematografico che si spera sarà luminoso.