Sopravvissuti: recensione del film con Denis Menochet

Una storia di sopravvivenza e di viaggi interiori.

Sopravvissuti recensione

Sopravvissuti è il debutto alla regia di Guillaume Renusson. Il film ha più di un collegamento diretto con l’Italia perché arriva nelle sale il 21 marzo come vincitore del RIFF (Rome Indipendent Film Festival 2023) il festival cinematografico indie nostrano che celebra nuovi artisti. Ma per i Sopravvissuti con Denis Menochet c’è anche un collegamento di trama e narrativa con l’Italia poiché il film si colloca tra le Alpi italiane e francesi con anche la collaborazione di Luca Terracciano. Categorizzato nel genere thriller, il film di Renusson racconta uno spaccato di cronaca moderna, un racconto di un viaggio, non solo metaforico, crudo e reale. In 93 minuti la pellicola, porta a compimento quel viaggio fatto di lunghi silenzi.

 

Sopravvissuti, la trama

Distribuito da No.Mad Entertainment, il regista Guillaume Renusson descrive la condizione dei sopravvissuti in un modo crudo e violento. Si scontra con i moti reazionali, con l’odio nei confronti di chi è diverso da noi che si tramuta in collera e vendetta. E poi c’è un altro tipo di condizione quella di Samuel (Denis Menochet, As Bestas) che vive relegato nel lutto e nel senso di colpa per la morte della moglie. Il suo viaggio con Chehreh (Zar Amir Ebrahimi) lo aiuterà ad andare avanti ed espiare in un certo senso il peso sul cuore per questa perdita. Quella di Samuel e Chehreh è una storia di aiuto reciproco: entrambi sono sopravvissuti ma a due dolori diversi.

Il coinvolgimento emotivo che lega entrambi i protagonisti finisce per fare da collante alla storia stessa: Samuel decide di aiutarla, di salvarla da chi non la vuole e la rifiuta, una banda di cattivi cacciatori di immigrati clandestini che insegue i due per tutto i film cercando in tutti i modi di porre fine al loro viaggio, alla loro salvezza. Infatti, in Sopravvissuti avviene il canonico viaggio dell’Eroe, o forse meglio dell’Eroina, dove una serie di pericoli mettono bastoni tra le ruote a Chehreh ma alla fine grazie a Samuel riuscirà a trovare la strada verso la libertà.

Sopravvissuti recensione film

Messaggio politico

Nella trama di Sopravvissuti siamo tutti protagonisti. Magari abbiamo subito un lutto che ci ha segnato come Samuel e la figlia, oppure siamo in fuga da qualcosa (che sia anche da noi stessi) come Chehreh. Il messaggio politico che si cela dietro il film di Renusson è chiaro fin da subito, eppure questo film è stato girato dopo il COVID-19, nel gennaio 2021, quando ancora le guerre erano lontane dalla cronaca. Renusson però porta sul grande schermo il conflitto e un sentimento di repressione, da parte dei tre villain, più attuale che mai. Dall’altro però scopriamo un sentimento più puro: aiutare il prossimo senza riserve.

Samuel vede in Chehreh un po’ di sua moglie, che non è riuscito a salvare. Alla fine, infatti, sarà proprio la moglie a salvare entrambi, come un aiutante nascosto. I documenti trovati da Samuel nella loro baita in montagna saranno fondamentali a Chehreh per attraversare i confini. Scopriamo così anche perché Samuel ha cercato in tutti i modi di aiutarla: c’è una somiglianza lampante tra Chehreh e la moglie che l’uomo portando a compimento la sua missione conclude così il viaggio. Entrambi come sopravvissuti e come esseri umani.

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