As Bestas, recensione del film di Rodrigo Sorogoyen

La recensione di As Bestas, film di Rodrigo Sorogoyen con Denis Ménochet e Marina Foïs, presentato alla Festa del Cinema di Roma.

Presentato fuori concorso a Cannes 2021 e riproposto alla Festa del Cinema di Roma 2022 nella sezione Best of 2022, As Bestas di Rodrigo Sorogoyen è un thriller rurale permeato dal malessere di una Spagna svuotata dell’intelletto e relegata alla brutalità assoluta delle attività ancestrali.

 

As Bestas: tra il neo-western e thriller serrato

As Bestas parte come un western puro, dove due culture e due modi di risolvere i conflitti differenti guidano i capibranco che lottano per il loro spazio vitale. La famiglia dei fratelli Anta (Luis Zahera e Diego Anido) vive in Galizia da tempo immemorabile e si considera la vera e più pura anima della Comunidad spagnola. Non possono accettare che sia proprio un francese, Antonine (Denis Ménochet), a portare quella che concepiscono come un’innovazione pericolosa in paese. Con il suo piccolo progetto di orto biologico, che condivide con la moglie Olga (Marina Foïs), e impegnandosi nella ricostruzione delle case abbandonate, Antonine spera di riportare nel villaggio la parte di popolazione che è emigrata in città. Ma la lotta ideologica contro i fratelli Anta farà sì che la tensione nel villaggio raggiunga un punto di non ritorno.

As Bestas non è un film in cui la violenza fisica diventa necessariamente sfogo prediletto di due schieramenti agli antipodi; piuttosto, quella che si prefigura una vera e propria guerra tra latifondisti, avviene anzitutto a livello verbale e gestuale, canali primari per la creazione di un clima di insopportabile ansia e paranoia che invade la struttura narrativa.

Microcosmi inconciliabili

In As Bestias, il conflitto tra chi si stablisce in Galizia con i più nobili degli intenti – lavorare la terra e restaurare case per gli abitanti – e i locali che percepiscono l’intralcio di questo nuovo assetto territoriale è portato al parossisimo, diviene la spina dorsale di un film in cui è proprio la costruzione della tensione a innervare sceneggiatura e regia.

Il primo microcosmo a cui siamo introdotti è quello di chi c’è sempre stato, i fratelli Anta. Sono nati accanto alle loro mucche, hanno perso la testa cercando di domare cavalli selvaggi e vivono nella paura dell’alterità. Sono quelli che hanno trasformato il loro piccolo mondo nell’unico mondo possibile e che, per la loro stessa miseria morale e umana, si sentono intrappolati in un terreno senza orizzonti. Dall’altra parte ci sono i neo-rurali, Antonine e Gloria, quelli che credono nell’utopia che la campagna sia l’unica vestigia possibile di paradiso terrestre e che si congedano dalla vita frenetica per il bene di se stessi e del prossimo.

Neanche il femminile è immacolato

Dagli antieroi puntellati di estrema mascolinità tossica di Que Dios nos perdone e El Reino, passando per l’inquietande indagine psicologica di Madre, Sorogoyen unisce due punti di vista diversi in As Bestas, due storie separate da un’ellissi narrativamente perfetta e che le fa percepire come quasi completamente a se stanti. È infatti soprattutto nella seconda parte del film che Sorogoyen si supera, portando avanti un conflitto irrisolto e che a malapena ha più a che fare con sguardi e male parole, anzi, si adagia nel silenzio angosciante di un paesaggio che ha assorbito il marcio dei suoi abitanti.

As bestas finisce per essere un film in cui è il femminile a cercare di porsi molte domande sulle bestie umane e nel farlo non solo mette in discussione la placidità della campagna ma anche a nudo le miserie di un mondo in cui, forse, l’unica donna che ha visto tutto ha scelto di appropriarsi della più misera delle strategie di questi uomini beffardi: il silenzio.

- Pubblicità -