Stars at Noon, recensione del film di Claire Denis

Protagonista assoluta, la giovane Margaret Qualley, già vista in Leftovers e in C'era una volta a Hollywood.

Vincitore del Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival Di Cannes, Stars at Noon, l’ultimo film di Claire Denis, è stato tra i primi presentati alla stampa accreditata alla 60a edizione del New York Film Festival, dopo il successo ottenuto sempre alla kermesse della Grande Mela con High Life. Abbiamo citato non a caso lo sci-fi che vedeva protagonisti tra gli altri Robert Pattinson e Juliette Binoche in quanto presenta alcuni punti in comune con il nuovo, riuscito Stars at Noon. In particolar modo si rivela immediatamente all’attenzione dello spettatore la volontà di adoperare il cinema di genere per inserirvi al proprio interno una visione personale dello stesso.

 

Stars at Noon, la trama

Ispirato da un romanzo di Denis Johnson che vuole rimandare in maniera quasi esplicita alle atmosfere e ai personaggi del miglior Graham Greene, Stars at Noon è a tutti gli effetti un noir che vede come protagonisti una giornalista inesperta trattenuta suo malgrado in Nicaragua – a causa di un articolo che denunciava la corruzione e la violenza del governo – e un elegante inglese venuto in Centro America per affari piuttosto misteriosi. Insomma, gli ingredienti per una storia d’amore e spionaggio, di emozioni e tradimento ci sono tutti, e la Denis fin dalle prime scene dimostra di volerli amalgamare a modo suo.

L’autrice francese sta continuando negli anni e nei lungometraggi a trovare un equilibrio instabile tra un tipo di narrazione strutturata e la visceralità spesso torrenziale del suo modo di far cinema. Denis mette in scena i due protagonisti, sia i loro volti che i corpi invadenti, attraverso un’immediatezza spesso trascinante: Stars at Noon si fa tanto più coinvolgente quanto più la macchina da presa si avvicina agli attori, un po’ alla maniera – prendete ovviamente il paragone secondo le giuste proporzioni – del John Cassavetes di Faces o Una moglie.

C’è una spontaneità quasi snervante nel cinema di Claire Denis, e lo scriviamo nel senso migliore del termine: lo spettatore deve accettare di essere trascinato non soltanto dentro la storia ma anche, anzi forse prima di tutto, dentro il turbine umano rappresentato da Stars at Noon. Il che non significa necessariamente entrare in alcun tipo di connessione empatica con le psicologie dei personaggi, non è questo che la regista vuole ottenere con il suo stile di ripresa. Il fatto è che non si può comunque restare “fuori” da quasi ogni suo lungometraggio, osservarlo in maniera empirica e distaccata, e quest’ultimo non fa eccezione, tutt’altro.

Uso corrosivo dell’ambientazione

Altro fattore importante che rende Stars at Noon notevolmente efficace è l’uso corrosivo dell’ambientazione: il film si poggia su un naturalismo dei setting che scena dopo scena diventa sempre più brutale nella sua semplice decadenza, un altro punto in comune con le scenografie scarne e angosciose di High Life. Stars at Noon non “mette in scena” la povertà economica, il disagio sociale, lo squallore politico del Nicaragua: mentre la narrazione e il rapporto sentimentale tra i due protagonisti si sviluppa il contesto sembra quasi tirarsi indietro volontariamente, asciugandosi per lasciare spazio alla necessità di respirare dei personaggi. Con pochissimi tratti la Denis tratteggia un universo preciso ma mai invasivo, che non distrae nei momenti in cui la tensione sale di tono. 

Se Stars at Noon non ottiene un voto più alto è principalmente perché, e siamo ben consci di quanto questo possa rappresentare un paradosso, la coppia di attori protagonisti non convince fino in fondo: Joe Alwyn rimane sempre un po’ troppo “pulito” e trattenuto per restituire la necessaria ambiguità alla figura di Daniel. Quando infatti arriva in scena il più ambiguo e scoppiettante Benny Safdie, il confronto tra i due attori risulta quasi immediatamente impari, soprattutto riguardo lo charme e l’energia che sanno imprimere dentro i rispettivi ruoli.

Margaret Qualley, un’interprete dalle potenzialità enormi

E questo porta al discorso della prova della protagonista assoluta Margaret Qualley: partendo con lo scrivere che a nostro avviso si tratta di un’interprete dalle potenzialità enormi, che recita apparentemente lavorando su un istinto e una presenza scenica fuori dal comune, in questo caso dimostra di non essere ancora in grado di lavorare in sottrazione. La sua Trish infatti quasi mai cambia tono o linguaggio del corpo, il che avrebbe dovuto succedere quando la storia si fa maggiormente tesa o drammatica. Sia ben chiaro, la prima a non lavorare quasi mai in sottrazione nei suoi film è proprio Claire Denis, ed è probabilmente questo che ha chiesto alla sua attrice.

Rimane comunque il fatto che in alcuni momenti Qualley pare portare il suo personaggio verso toni altri rispetto a quelli che la storia sta raccontando. Poco importa comunque, poiché Stars at Noon rimane un lungometraggio che bisogna “vivere” prima che ragionarci sopra, come il miglior cinema prodotto dalla Denis. Se si ha voglia di immergersi anima e corpo in questa spy-story insieme datata e contemporanea, il piacere cinematografico è garantito.

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