The Adam Project, la recensione del film con Ryan Reynolds

Il film è disponibile su Netflix dall'11 marzo.

The Adam Project

Esce oggi direttamente su Netflix, The Adam Project, diretto dal canadese Shawn Levy, che vanta la paternità di una filmografia piuttosto nutrita, tra cui spicca La Pantera Rosa del 2006 con Steve Martin, la serie di Una notte al museo, il recentissimo Free Guy – Eroe per gioco con protagonista Ryan Reynolds (proprio come nella pellicola in questione), e This is where I leave you del 2014, con Jane Fonda, Jason Bateman e Adam Driver, tratto da un romanzo di Jonathan Tropper, che anche per The Adam Project ha curato la stesura della sceneggiatura, insieme a Jennifer Flackett, Mark Levin e T.S. Nowlin. Da quest’ultimo era iniziata la prima scrittura del soggetto nel 2012, che in origine aveva il titolo di Our name is Adam, e avrebbe dovuto avere nel cast Tom Cruise. Gli anni sono passati e nel 2020 è stata Netflix a riavviarne l’idea con, appunto, Ryan Reynolds al timone dell’astronave.

 

La trama di The Adam Project

La storia inizia con Adam Reed (Reynolds) che varca un tunnel spazio-temporale trasferendosi dal 2050 al 2022, anche se in realtà stava puntando al 2018. “Gimme some lovin’” è in sottofondo mentre in orbita c’è un inseguimento serrato con annesse sparatorie laser tra la navicella del protagonista e un’altra. Subito dopo facciamo la conoscenza di un delizioso bimbo biondo (Walker Scobell), che ha dodici anni ma ne dimostra molti meno: è sveglio, simpaticissimo ed è un discolo a scuola. La sua mamma affannata e che non si sente mai all’altezza, è una sempre splendida Jennifer Garner e il suo papà è Mark Ruffalo.

Tutto è intriso di implacabili atmosfere anni ’80, con Spielberg che trasuda da ogni luce, colore e raggio che attraversa nella notte gli alti alberi della foresta che circonda l’abitazione dei Reed. E ogni fotogramma fa sentire come a casa, ritrovando un’aria che così bene abbiamo imparato a ri-osservare nei suoi tratti estetici dell’ultimo decennio.

The Adam ProjectEd è proprio di casa che vuole parlare The Adam Project: accostando una storia familiare dolce, seppur piuttosto immaginabile, ma mai condotta con scontatezza, all’inarrestabile recitazione di Ryan Reynolds che ha ormai fatto del suo stesso essere attore un personaggio consolidato e che ripropone sempre in modo ben posizionato. Il tutto insieme all’encomiabile performance del giovanissimo Walker Scobell, a sua volta a sfiorare il prodigio nel tenere testa al temperamento del carattere di Adam Reed.

In coppia, facendosi l’uno lo specchio dell’altro, compiono una missione che dovrà fargli compiere viaggi nel tempo: alla ricerca del papà, dell’amore, di loro stessi, e per salvare tutto dalla deflagrazione globale, ovviamente.

Una miriade di riferimenti

La narrazione di Shawn Levy è continuamente in un adorabile sfondo di continui rimandi e citazioni dei capisaldi dell’universo cinematografico, a partire da Ritorno al Futuro, arrivando fino a Star Wars passando per Terminator e i Goonies. È naturale che non ci sia nulla di avanguardistico in questo, piuttosto anche i richiami stessi son già verso prodotti comunque più recenti: da Guardiani della Galassia in poi. Ma la bravura di Shawn Levy sta nel riuscire a confezionare una storia che porta avanti con ritmo perfetto, inserendo i giusti elementi metacinematografici, autoironici e cinici, sfruttando quindi l’immaginario di quando eravamo giovinetti che ci fa tanto battere il cuore, rimescolandolo con lo smarrimento dei giorni nostri, e la tenerezza delle relazioni messe in piedi dai protagonisti.

Un gustoso racconto d’azione inzuppato di quella soffice malinconia d’infanzia, con le migliori canzoni che si possano immaginare, chiaramente, battute brillanti e ottimamente assestate e attori che sanno esattamente cosa fare e come farlo, sempre. Un prodotto Netflix degno di nota e serata revival, con qualche piccola riflessione su una delle cose della vita che più diamo per scontata e che invece è d’inestimabile valore: il tempo.

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