In The great wall in un passato non ben definito, in Cina, due cercatori di polvere da sparo, provenienti dal vecchio continente, si ritrovano nel mezzo di un assedio che ha luogo sulla Grande Muraglia.
Il muro fuori misura più importante d’Oriente è stato eretto per tenere fuori dall’impero delle creature dell’inferno che ogni sessant’anni riemergono per ricordare agli uomini a quale devastazione possa portare l’ingordigia. A prepararsi per affrontare questo nemico è l’Ordine senza nome, un esercito di impavidi guerrieri, quasi tutti destinati alla morte e che ha tra le sue fila un consistente numero di donne guerriere. In The great wall William e Tovar, rispettivamente interpretati da Matt Damon e Pedro Pascal prima sono prigionieri, poi ospiti dell’Ordine, incontrano nei corridoi interni alla Muraglia un altro viandante anglofono alla ricerca di polvere nera, interpretato da Willem Defoe, che li convincerà ad abbandonare la Muraglia prima del prossimo attacco dei mostri, ma non tutto andrà secondo i piani.
The great wall, il film
Si fa tanto parlare, da alcuni mesi a questa parte, soprattutto relativamente all’uscita di Ghost in the shell, adattamento live action di un famoso anime giapponese, di “whitewashing”. Il termine indica la prassi di inserire un attore occidentale nel ruolo che sarebbe più adatto ad un attore orientale o di altra etnia comunque diversa da quella caucasica.
Nel caso dell’anime, ha fatto discutere la scelta per il ruolo di protagonista di Scarlett Johansonn, nel caso del film di Zhang Yimou, lo stesso effetto si è avuto per la presenza di Matt Damon come protagonista. Questa tesi decade nel momento in cui si vede il film. La pellicola è infatti la più costosa coproduzione cinese con una parte di investimento americano, si tratta di una storia legata a quel territorio non è un adattamento occidentale di una storia orientale.
Per rendere tutto più chiaro, qui non siamo dalle parti di 47 Ronin fallimentare adattamento di una tradizione giapponese per il pubblico americano. Qui si tratta di un film cinese che racconta un’epica cinese, con un paio di attori occidentali che ne permettano la comprensione anche da questa parte del mondo e la vendita globale.
Zhang Yimou è poi il regista di Lanterne Rosse, Palma d’oro a un festival di Cannes di alcuni decenni fa, ora regista che ha visto nel cinema d’azione un nuovo terreno di sperimentazione. Ultima sua esperienza la storia di stampo wuxia La foresta dei pugnali volanti. E’ un professionista che sa come rendere importante un’inquadratura e soprattutto rendere bene le scene d’azione, e sa dosare le lungaggini di scrittura. L’aspetto più macchinoso è infatti la continua ripetizione del dialogo, che passa, con le battute di poco diverse, dal cinese alla lingua parlata dai viandanti. Obbligo narrativo che rallenta il passo di questa storia, che invece cattura ogni attenzione nel momento in cui si sviluppa nelle coreografie di battaglia e di azione.
Matt Damon, così come lo spettatore, si trova ad avere a che fare con persone che non conosce e di cui non capisce la lingua, ma rimane affascinato dalla storia che si sviluppa davanti ai suoi occhi, con un esercito fedele al proprio paese pronto ad immolarsi contro delle forze sconosciute e ultraterrene. Forse questo film, aldilà della resa cinematografica, imponente come il muro che dà il titolo al film, è un primo esperimento di prodotto meticcio tra l’action orientale e Hollywood che per una volta parte da Oriente verso Occidente. Un tentativo simile si era già avuto per una pellicola più di nicchia, realizzata da Johnnie To che aveva come protagonista del suo film Vendicami Johnny Hallyday, killer in pensione richiamato all’azione da un efferato omicidio commesso contro la famiglia di sua figlia. Anche il quel caso l’incomprensione linguistica veniva superata dall’azione. The great wall, disponibile anche in 3D è in sala a partire dal 23 febbraio.