The Offering, la recensione del film di Oliver Park

Alla sua opera prima, il regista porta sul grande schermo una storia in cui a dominare sono le tradizioni della religione ebraica

The Offering recensione film

Entità sinistre, fantasmi, una casa. Sono alcuni degli elementi tipici che accompagnano il cinema dell’orrore oramai da decenni, e da cui Oliver Park attinge per costruire il suo personale e inquietante The Offering. Per rappresentare il suo cinema, il regista decide di abbandonare i tabù e le paure intorno alla religione cristiana su cui tanti prodotti del genere si basano, per porre l’attenzione sulla fede ebraica ed esplorarne le credenze e le relative derive orrorifiche. La pellicola approfondisce la figura maligna del dybbuk, lo spirito disincarnato di una persona defunta. Un’anima, quindi, alla quale è stato vietato l’ingresso nel Sheol, il mondo dei morti.

 

Nel 2019 Keith Thomas aveva già raccontato le tradizioni del giudaismo con The Vigil, analizzando la figura dello Shomer, persona incaricata di vegliare sul corpo di un defunto. Park per la sua opera prima ne riprende il discorso, con l’intento di sciorinare i riti di un’impresa di onoranze funebri chassidica, su cui verterà tutta la storia orrorifica. The Offering è in sala dal 23 febbraio.

The Offering, la trama

Arthur (Nick Blood) è un uomo i cui debiti rischiano di mandarlo in rovina. A causa della sua precaria situazione, decide di tornare dal padre Saul (Allan Corduner) insieme alla moglie incinta Claire (Emm Wiseman). L’intento di Arthur è di riconciliarsi con il genitore per un suo tornaconto personale: cercare di convincerlo a vendere l’agenzia di onoranze funebri di famiglia. Quando arriva dal padre, tutti i dissapori passati sembrano essere svaniti.

Nel frattempo nella casa ebraica arriva un defunto con indosso uno strano amuleto. Nessuno sa che questi è posseduto dallo spirito di Abyzou, la ladra di bambini, imprigionata dallo stesso in quel corpo con un pugnale. Nel ripulirlo, Arthur rompe accidentalmente la pietra contenente l’essenza dell’entità, liberando quest’ultima nell’abitazione. A quel punto l’obiettivo del dybbuk diventa proprio la gravida Claire…

Dentro il folklore ebraico con Abyzou

Iniziamo col dire che The Offering si compone di tutte le caratteristiche dell’horror vecchia scuola: la casa come unico e solo topos capace di terrorizzare a dovere; un demone che si insidia nelle menti e nelle vite degli inquilini facendoli impazzire; lo jump scare accompagnato da una colonna sonora grave e tetra, che si accentua nell’esatto momento in cui la scena si prepara a spaventare. Il tutto condito dall’atmosfera funerea di un obitorio ebraico ortodosso, scolpito dalla fotografia fredda e minimalista di Lorenzo Senatore. Quello che cambia nell’opera di Park è l’entità “disturbatrice”: a possedere l’abitazione è Abyzou, che nell’incipit ci viene presentata come la ladra di bambini. Un’entità femminile proveniente dal folklore ebraico, per l’appunto un dybbuk, già incontrato nel The Possession di Ole Bornedal, e che in questo film assume le sembianze di una capra.

Sin dalle prime sequenze Park ci introduce nel tono sinistro di The Offering, dando allo spettatore un’anteprima della follia a cui andrà incontro nei prossimi 93 minuti. Riti, fantasmi e una bambina dallo sguardo agghiacciante sono l’antipasto di un menù ricco di suspense e salti di paura, e in cui fin da subito capiamo che il racconto non si baserà sull’espulsione del demone dal corpo, come accade per esempio nel cult L’esorcista (o in genere in tutti i film a sfondo cristiano), ma del suo imprigionamento nel corpo, tipico della religione ebraica.

Cambia così la prospettiva, scritta a quattro mani da Hoffman e Younger e formalmente ben rappresentata dal regista con un montaggio pulito e un’estetica definita. Un film dalla buona fattura, in cui è evidente la passione di Park per l’esoterismo e per l’oscurità legata all’ignoto, tematiche capaci di tenere alta l’attenzione dello spettatore. Unica pecca l’uso smodato del jump scare che, se nella prima parte serve per agganciare il pubblico, nella seconda appesantisce un po’ la narrazione, rendendo l’artificio prevedibile e quindi non più spaventoso.

Questa leggera incrinatura non priva però Oliver Park del merito di aver messo in piedi un film di tutto rispetto, la cui fruizione risulta ad ogni modo piacevole. The Offering può perciò considerarsi per il novello regista un buon trampolino di lancio nei lungometraggi dell’orrore. Prestando più attenzione a non abusare della tecnica e garantendo più spazio alla conoscenza dei suoi protagonisti, egli ha tutte le carte in regola per rientrare nella categoria di cineasti abili a confezionare prodotti sia sorprendenti che originali.

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Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
the-offeringPer la sua opera prima Oliver Park struttura una storia interessante, nella quale è data massima visibilità alla cultura ebraica e alle loro tradizioni. Pur rimanendo fedele alle formule canoniche dell'horror vecchia scuola, il regista confeziona un prodotto tecnicamente valido con una storia originale. Prestando più attenzione a non abusare del jump scare, il regista ha tutte le carte in regola per rientrare nella categoria di cineasti abili a confezionare prodotti sia sorprendenti che originali.