The Palace: recensione del film di Roman Polanski #Venezia80

Polanski torna alla satira, realizzando però un film che sembra avere ben poco da dire.

The Palace recensione

Reduce dalla vittoria del Gran Premio della Giuria alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con L’ufficiale e la spiaRoman Polanski torna al Festival, stavolta fuori concorso, con The Palace. Il film segna inoltre il suo ritorno al genere della commedia satirica e dissacrante, da cui sostanzialmente mancava dal 2011, anno di Carnage. Questo nuovo lungometraggio, da Polanski scritto insieme a Jerzy Skolimowski (regista del recente EO) e Ewa Piaskowska, va dunque a riunire un gruppo di ricchi viziati all’interno di un unico ambiente, con l’intento di portare alla luce tutto il loro squallore.

 

Benvenuti al The Palace

Il racconto si svolge dunque all’interno del Palace Hotel, uno straordinario castello progettato all’inizio del 1900 che si trova nel bel mezzo di una valle svizzera innevata, dove ogni anno convergono da tutto il mondo ospiti ricchi e viziati, in un’atmosfera gotica e fiabesca. La festa di Capodanno 2000 li ha ora riuniti tutti in un evento irripetibile. Al servizio delle loro stravaganti esigenze c’è uno stuolo di camerieri, facchini, cuochi e receptionist. Hansueli (Oliver Masucci), zelante direttore dell’albergo, passa in rassegna lo staff prima dell’arrivo degli ospiti, ribadendo che, pur essendo l’alba del nuovo millennio, non sarà la fine del mondo, nonostante le paure nei confronti del Millennium Bug.

The Palace Fortunato Cerlino John Cleese Oliver Masucci
Fortunato Cerlino John Cleese Oliver Masucci in una scena di The Palace. Foto di M. Abramowska.

Un film dalle buone premesse…

C’era grande attesa per questo nuovo film di Polanski, capace come pochi di mettere davvero alla berlina i suoi personaggi e l’umanità tutta. Le premesse di questo The Palace facevano inoltre immaginare una nuova cinica rappresentazione di un’alta società ultimamente molto spesso posta in ridicolo (si veda ad esempio Triangle of Sadness, con cui certamente The Palace dovrà scontrarsi in un insensato paragone). Probabilmente nessuno si aspettava però di trovarsi di fronte ad un film così spiazzante, purtroppo in senso negativo. Perché The Palace non ha per nulla l’aspetto di una pungente satira, bensì di un’opera che non sa sfruttare il proprio potenziale.

Perché va riconosciuto che l’idea alla base del racconto è del tutto propria del cinema di Polanski, con questo luogo chiuso che impedisce ogni contatto con l’esterno e costringendo quanti all’interno a relazionarsi con sé stessi e con gli altri con cui non vorrebbero avere a che fare. Diversi sono inoltre i personaggi che sfoggiano da subito un certo fascino e potenziale comico, basti pensare al ricco Bill Crush di Mickey Rourke o al direttore dell’albergo Hansueli, per non dimenticare il Tonino di Fortunato Cerlino o l’Arthur William Dallas III di John Cleese, protagonista probabilmente del segmento narrativo più divertente.

Ciò che poi va riconosciuto a Polanski è la capacità di tenere in equilibrio questa grande varietà di protagonisti, passando dall’uno all’altro con grande disinvoltura ed eleganza. Polanski si aggira quasi con fare documentaristico tra i corridoi e gli spazi del Palace Hotel, indagando quanto avviene ai suoi ospiti. Assistiamo così ad una serie di microepisodi dai quali è intenzione del regista far emergere tutta una serie di sfumature sull’umanità alla fine del millennio, che tramontando sembra portare la notte anche su un’intera generazione, le sue paure e i suoi vizi.

The Palace Roman Polanski
Milan Peschel in una scena di The Palace. Foto di M. Abramowska.

… che non vengono però mantenute

Che Polanski si sia divertito a realizzare The Palace si percepisce ed è sempre bello vedere un regista che, anche a 90 anni da poco compiuti, sa infondere una tale passione nel proprio lavoro. Qualcosa deve essere andato storto in fase di produzione, tuttavia, poiché il film inizia, si svolge e finisce senza che vi sia stato un arco evolutivo particolarmente significativo, senza che si sia proposta una reale critica nei confronti di quanto vediamo. Certo, Polanski non è sguaiato come lo è Ruben Östlund, regista appunto di Triangle of Sadness, e dunque il suo messaggio può presentarsi in modo più tacito. Ma in questo caso, tuttavia, questo manca proprio di arrivare a destinazione.

Più che una satira nei confronti di questa classe sociale, del film si potranno ricordare una serie di gag piuttosto grottesche, che stanno già portando a definire The Palace come il cinepanettone di Polanski”. Se fare tale accostamento risulta davvero facile, più difficile è capire cosa possa essere accaduto ad un regista sempre così attento a ciò che avviene sul proprio set. Ciò che è certo, è che The Palace manca nel far ridere, manca nel riuscire a dire qualcosa di nuovo sull’argomento trattato e manca di dotarsi di una messa in scena che si possa dire memorabile. Il risultato è dunque un film molto sottotono, che si spera possa venire rapidamente messo in ombra dall’arrivo di un nuovo lungometraggio del Polanski che tutti conosciamo e amiamo.

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RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
the-palace-roman-polanskiIl nuovo film di Polanski aveva tutte le carte in regola per essere un nuovo grande lungometraggio del regista premio Oscar. Sfortunatamente, The Palace si svela essere un'opera sottotono, che non riesce a trovare qualcosa di nuovo da dire né a rendere giustizia a personaggi e premesse promettenti.