The Piper: recensione dell’ultimo film di Julian Sands

È il pifferaio magico il protagonista dell'horror in sala, ultimo esempio della passione del genere per le favole.

The Piper recensione

Gli ultimi beniamini dei più piccoli a esser passati la lato oscuro sono stati Winnie the Pooh e Topolino, ma da sempre favole e racconti popolari sono una fonte inesauribile per il cinema horror. Dopo Babbo Natale a Cappuccetto Rosso, stavolta il punto di partenza è il celebre pifferaio di Hamelin (o pifferaio magico), antecedente persino ai fratelli Grimm, sul quale Erlingur Thoroddsen costruire il suo The Piper, nelle sale italiane dal 18 gennaio distribuito da Vertice 360. Un film dedicato al grande – purtroppo scomparso – Julian Sands, che nei panni di un tormentato direttore d’orchestra rende qui l’ultima interpretazione di una lunga carriera costellata di successi, da Urla del silenzio e Camera con vista, a Il pasto nudo e molti altri.

 

The Piper, la trama

Proprio l’orchestra guidata dal direttore Gustafson è al centro delle angosce e delle brame di una serie di personaggi che vediamo nel film. Sin dal prologo, che ci presenta l’anziana Katherine ossessionata da una melodia incalzante e disperatamente impegnata a cercare di bruciare una misteriosa scatola che sembra tormentarla. Invano. Senza la composizione alla quale la donna stava lavorando, e con la sua scomparsa, ora il concerto in programma al Virgil Hall Auditorium è a rischio. Nel tentativo di entrare nelle grazie del direttore, è la giovane flautista Melanie – madre single che aspira a diventare compositrice – a promettere di completare il concerto al quale stava lavorando la sua vecchia mentore. Ma la melodia incompleta cui sta lavorando ha il potere di risvegliare forze malefiche e di scatenare mortali conseguenze, una scoperta che si accompagna a quella delle inquietanti origini della musica in questione e della malvagia entità che ha risvegliato: il Pifferaio Magico.

L’addio a Julian Sands in The Piper

È indubbiamente un valido motivo di interesse quello di poter ammirare lo scomparso Julian Sands (almeno in attesa del The Last Breath che potrebbe essere il suo ultimo film in assoluto, se e quando uscirà), anche se non l’unico, ché la premessa di questo Piper è intelligente e suggestiva. Almeno la premessa. Unire musica e una fiaba delle più tradizionali e meno sfruttate è davvero un punto di partenza da non sottovalutare in un panorama horror che non fa che replicare sempre gli stessi modelli e figure. Soprattutto quando ad occuparsi della parte sonora c’è un compositore come Christopher Young, già autore delle colonne sonore di The Grudge, The Exorcism of Emily Rose e Sinister, tra i vari.

Scelta dettata dal dover dare alla storia qualcosa di più di un commento musicale, vista la centralità della “melodia maledetta” in una vicenda che rilegge la fiaba evidenziandone e potenziandone gli aspetti più oscuri, dando corpo al terrore che ne deriva e che travalica abbondantemente la drammaticità insita nel testo originale, e il valore pedagogico proprio delle favole classiche. Che in passato non era stata raccontata spesso al cinema (dal Der Rattenfänger von Hameln muto del 1918 a Il pifferaio di Hamelin di Jacques Demy, fino al The Fluteman australiano del 1982), ma che l’horror aveva già fatto sua in diverse – sempre poche – occasioni (dall’animazione del 1985 alla versione coreana del 2015 e al recentissimo Piper con Elizabeth Hurley).

The Piper 
Un Pifferaio che non ipnotizza

Ma si sa quanto sia difficile rendere reali certi incubi, tradurre in immagini la paura che nasce dalle giuste sollecitazioni del nostro inconscio, tanto più se oggetto di una narrazione che ha regole proprie e obblighi nei confronti della forma scelta e dello spettatore. E così, al promettente incipit e colpevole una costruzione dei personaggi piuttosto superficiale, la vicenda si evolve in maniera piuttosto deludente. La – troppo – lunga attesa per una manifestazione del maligno si risolve in una esplosiva e divertente (almeno per gli amanti di certo horror classico, quasi vintage, considerata anche la povertà della resa) ‘emersione’, ma la sensazione di una gestione insufficiente di prostetica e digitale, soprattutto nei momenti migliori, si accompagna a quella di aver dilapidato una materia in sé molto ricca di potenziale.

Presentati in maniera adeguata e con una regia che a tratti sembra in grado di colmare le lacune della storia, sono comunque gradevoli i riferimenti a un cinema d’epoca, anche al limite del gore, e noi italiani potremmo trovare qualcosa del vecchio e tanto amato Dario Argento proprio nelle musiche e nella rivelazione finale della melodia incompiuta dalla povera Katherine, ma non fanno che aumentare la frustrazione per le tante incongruenze del tessuto generale.

Molti elementi importanti restano sullo sfondo, in primis quello delle piccole vittime ridotte a poco più che apparizioni e che avrebbero potuto regalare momenti inquietanti (più dell’insistenza su una palla ‘telecomandata’ che avremmo lasciato ad altri film), mentre gli incomprensibili comportamenti di alcuni protagonisti (spesso la vera cartina di tornasole di un horror ben costruito) danno la misura di quanto la seconda parte del film viva solo della necessità di avanzare nella vicenda. Fino a una conclusione sulla quale evidentemente si puntava molto – anche a ragione, per diversi motivi – ma che prima del finale potenzialmente aperto regala un paio di perle sconcertanti, dalla goffaggine del pifferaio stesso, poco a suo agio negli spazi stretti, alla miracolosa rivelazione del talento della piccola protagonista con il flauto dolce.

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RASSEGNA PANORAMICA
Mattia Pasquini
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the-piper-julian-sandsMolti elementi importanti restano sullo sfondo, in primis quello delle piccole vittime ridotte a poco più che apparizioni e che avrebbero potuto regalare momenti inquietanti, mentre gli incomprensibili comportamenti di alcuni protagonisti danno la misura di quanto la seconda parte del film viva solo della necessità di avanzare nella vicenda.