Uccisa due volte – Il caso Pomarelli, recensione del documentario

Da stasera su Crime+Investigation, Uccisa due volte - Il caso Pomarelli vuole fa rivivere la verità di Elisa

Uccisa due volte - Il caso Pomarelli

Piacenza è una città di provincia, ma anche di confine. Al senso di appartenza e comunità che evoca, può dunque associarsi l’idea di un equilibrio precario, di una condizione indefinita tra l’abitare un territorio conosciuto e il volersi spingere verso l’ignoto. Il documentario Uccisa due volte – Il caso Pomarelli, in onda su Crime+Investigation dal 28/6, ripercorre la tragica storia di Elisa Pomarelli proprio partendo dal senso della città di provincia, dove anche la più fidata delle amicizie può tramutarsi in orrore inaudito. Si tratta di una produzione Indigo Stories per A+E Networks Italia. Prodotto da Alessandro Lostia per Indigo Stories, con produttore esecutivo Ariens Damsi, il documentario è scritto da Matteo Festa e diretto da Alessandro Galluzzi.

 

Un lesbicidio reso invisibile

La lucidità di Emanuela Gatti, giornalista de IlPiacenza.it cerca di fare chiarezza su un terribile lesbicidio rimaneggiato dalla stampa e dai media. Massimo Sebastiani ed Elisa Pomarelli, grandi amici che condividono la passione per la natura e la campagna, scompaiono il 24 agosto del 2019 tra le colline piacentine, dopo essere stati avvistati l’ultima volta insieme in una trattoria. I telefoni dei due risultano irraggiungibili e, verso le 23:00, la famiglia inizia a chiedere aiuto ai carabinieri. Si teme il peggio, perfino che l’amico Massimo l’abbia sequestrata, pensiero inconcepibile fino a pochi minuti prima dai genitori di Elisa, che conoscevano bene lo stretto rapporto tra Massimo e la figlia. Dopo tredici giorni, la Polizia riesce a rintracciare l’uomo, che confessa di avere strangolato Elisa, vittima di un amore non ricambiato. La giovane aveva infatti dichiarato a Massimo il proprio orientamento sessuale, mai accettato pienamente dall’amico, che presentava agli amici Elisa come la propria ragazza ed era perfino convinto che sarebbero andati a vivere insieme.

Quello di Elisa è dunque allo stesso un femminicidio e un lesbicidio, per cui Massimo Sebastiani è stato condannato a 20 anni di carcere. L’accusa aveva chiesto in realtà una condanna più dura, di 24 anni ma, trattandosi di rito abbreviato, all’imputato è stato concesso uno “sconto” di un terzo sulla pena. Secondo i genitori di Elisa, giustizia è stata fatta solo a metà. L’assassino ha infatti chiesto e ottenuto il rito abbreviato e quindi lo sconto di pena che, nei casi riconosciuti come femminicidi, non viene concesso. Anche l’aggravante della lesbofobia non è stata rilevata, in assenza, ad oggi, di una legge specifica. L’omicidio di Elisa non può quindi essere riconosciuto né come femminicidio né come lesbicidio, un crimine d’odio di matrice lesbofobica, quando è in realtà entrambe le cose.

Caso Pomarelli

Il caso Pomarelli: la verità di Elisa

Elisa non è stata uccisa solo in un modo. Nei giorni successivi al suo femminicidio, i media italiani avevano ipotizzato una possibile relazione tra lei e il suo assassino, parlando di “gigante buono”, “gioco pericoloso”, “amore non corrisposto”. Poi, quando è stato reso pubblico il suo orientamento sessuale, si è improvvisamente detto che la vita privata della vittima doveva essere protetta, che non si doveva presumere o etichettare Elisa che aveva solo 28 anni e che forse avrebbe potuto anche cambiare idea, cosa che aveva sempre sperato Massimo Sebastiani. La voce dei giornalisti de IlPiacenza.it vuole evidenziare come crimini del genere siano l’espressione più intollerabile di una violenza sistemica che colpisce ogni giorno donne e lesbiche, alle quali non viene garantita un’adeguata protezione.

Assente dalla maggior parte delle narrazioni e degli articoli sul caso Pomarelli è Elisa. Si parla di Massimo, di come in preda a un “raptus passionale” abbia compiuto un gesto orribile, che per nulla combacia con la sua natura “buonissima”. Ma da tre anni Elisa era amica di Massimo, non un amante. Una persona che, di fronte a un uomo socialmente impacciato e rifiutato da molti, era pronta a ricercare gli aspetti più positivi della sua personalità. Eppure, questo atteggiamento amichevole è stato ricambiato con l’ossessione. Secondo la sorella, “Elisa divenne la ragione di vita di Massimo e, quando lei decise di porre fine all’amicizia, lui ha risposto con violenza omicida”.

Le immagini sorridenti dei due hanno accompagnato dozzine di articoli sul caso Pomarelli, che hanno tentato di legittimare un amore inconsistente, la fantasia deviata di chi vede l’orientamento sessuale come un qualcosa di transitorio, “una malattia da cui guarire”, una condizione che scegliamo di imporci ma da cui gli altri possono dissuaderci. Pochissimi articoli hanno ritratto la vicenda di Elisa con il lessico adeguato. La parola “femminicidio” sembrava non accordarsi a dovere con la sensibilità di Sebastiani, e alle opinioni di amici e parenti è stato affidato il compito di convalidare questo delitto d’amore, un errore all’interno di un rapporto buono, in cui Elisa è sempre stata tutelata.

Il caso Pomarelli vuole contrastare la risonanza mediatica di questo omicidio, facendo luce sulle lacune del nostro sistema giudiziario, sulla necessità di proteggere la sfera Lgbtq+ in una società che invisibilizza l’omosessualità e non riconosce l’omotransfobia come violenza.

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