UTAMA – Le terre dimenticate, la recensione del film di Alejandro Loayza Grisi

Il regista porta al cinema, attraverso la vita di un'anziana coppia quechua, una Terra in ginocchio a causa del cambiamento climatico

UTAMA - Le terre dimenticate, recensione film

Il 13 ottobre arriva UTAMA – Le terre dimenticate, lungometraggio del regista Alejandro Loayza Grisi che affronta i problemi derivanti dal cambiamento climatico. Il film è distribuito al cinema da Officine Blu, prodotto da tre paesi differenti: Bolivia, Francia e Uruguay.

 

Attraverso la sofferenza di una terra arida, con una patina giallastra che ne rimarca la siccità, il giovane Grisi porta al cinema una storia comune a tutti e su cui tutti dovrebbero riflettere: i rischi e le conseguenze irreversibili del cambiamento climatico.

UTAMA- Le terre dimenticate, la trama

Nella terra secca dell’Altiplano boliviano, vivono Virginio (José Calcina) e Sisa (Luisa Quispe), due anziani quechua la cui vita sembra essersi fermata in quella routine che tutti i giorni, accuratamente, ci tengono a rispettare. Lui porta al pascolo i suoi lama, lei va a prendere l’acqua al villaggio e si occupa delle faccende domestiche.

Ma quando quel bene primario, l’acqua, viene a mancare, la coppia si ritrova alle prese con la più grande piaga del mondo: il cambiamento climatico. L’arrivo del nipote Clever (Santos Choque) che invita i suoi nonni ad abbandonare il villaggio per trasferirsi in città, innesca una serie di scontri fra lui e Virginio, legato alla sua terra e alle origini.

L’urlo di una terra che soffre

In UTAMA- Le terre dimenticate viene restituita in termini filmici sia la denuncia che il grido assordante di un pianeta che fatica ad andare avanti. Che arranca. Soffre. Chiede di essere aiutato. Il cambiamento climatico è la più grande sconfitta della società e Loayza Grisi la mostra con una macchina da presa che non si permette di filtrare la realtà in nessun modo. Ce la restituisce nuda e cruda, senza inganni ma con scene dall’impatto visivo forte, che non lasciano scampo alla durezza di un luogo abbandonato e privo di vita. Gli abitanti del villaggio disperso nel nulla sono soli, come sola è la coppia di indigeni, Virginio e Sisa, in luogo desolato e dai tratti aridi, senza alcun segnale di ripresa.

Non c’è speranza, solo il vuoto di quelle immagini spente (che molto ricordano i film western) enfatizzato da un montaggio classico attento ai dettagli, talmente intenso da lasciare inermi. Quello che si fa strada è il tormento. Scava in profondità, nei meandri dell’anima, e lo fa per punire lo spettatore e ricordargli che la colpa non è del luogo, ma dell’uomo che di esso se ne è impossessato con imprudenza mosso solo dalla brama di potere.

Il rifiuto della modernizzazione

In uno scontro fra “vecchio” e “nuovo”, fra mondo arcaico e industrializzato, si erge la storia di UTAMA – Le terre dimenticate contrassegnata dalla sofferenza di un uomo, Virginio, disposto a morire pur di non concedersi all’urbe e a ciò che non conosce. Rifiuta di aggregarsi alla massa che volta le spalle, per necessità, al proprio villaggio. Lotta con le unghie e con i denti pur di rimanere fedele alla sua casa. Al suo posto sicuro. Alla sua cara vecchia amica, la terra, che seppur si sia trasformata a causa della siccità, non vuole tradire. Lei è già stata tradita e massacrata. Virginio non vuole che la storia si ripeta. Non vuole essere come tutti gli altri.

La partita si gioca proprio qui, diventando questo il corpus di tutto il film fino al climax finale: un uomo che crede nel suo rapporto con la natura, di cui si fida ciecamente, e un giovane ragazzo fermamente convinto che sia il mondo industrializzato a costituire l’unico presente e futuro in cui davvero si possa vivere bene. Non considerando che è proprio quest’ultimo il carnefice, responsabile della rovina di quel posto tanto amato da suo nonno.

UTAMA – Le terre dimenticate mette in scena due generazioni che si scontrano. Una che vuole progredire nella modernizzazione, l’altra che invece è attaccata alle tradizioni, alla cura delle piccole cose e a ciò che resta semplice. Un film che tocca le corde del cuore e le strappa di proposito, con l’ultima scena dal silenzio assordante che richiama all’attenzione per un ultimo avvertimento: bisogna invertire la rotta subito. Dopo potrebbe essere troppo tardi per rimediare.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
utama-le-terre-dimenticateIl giovane regista Grisi porta al cinema, con attenzione, premura e scene dall'impatto visivo tanto forte da rompere lo schermo, il problema del cambiamento climatico che affligge, giorno dopo giorno e sempre di più, il pianeta.