È uscito su Netflix Mr. Harrigan’s Phone, l’adattamento cinematografico del racconto di Stephen King “Il telefono del signor Harrigan”, diretto da John Lee Hancock e prodotto (anche) dal poliedrico Ryan Murphy. Una combo perfetta fra scrittore (King) e produttore (Murphy) di quel genere tanto affascinante quanto macabro: l’horror.
La pellicola si presenta come un horror-movie, in cui – in teoria – l’elemento chiave è il paranormale e gli eventi sinistri, con uno smartphone, oggetto simbolo dell’attuale generazione – che unisce il vecchio e il nuovo.
Mr. Harrigan’s Phone, la trama
Il giovane Craig (Jaeden Martell), dopo l’incontro in chiesa con il multimilionario signor Harrigan (Donald Sutherland), inizia a lavorare nella villa dell’uomo come suo lettore di libri. Mentre l’adolescenza – e la crescita – del ragazzo, vanno di pari passo con l’invecchiamento del suo “datore di lavoro”, fra i due si instaura un forte legame.
Non appena Craig arriva al liceo, il padre gli regala uno smartphone, novità fra i giovani, e il ragazzo decide di fare lo stesso dono al signor Harrington. Quando quest’ultimo muore, Craig decide di infilare il telefono nella sua bara, come ultimo atto d’affetto. Quello stesso oggetto continuerà ad essere il mezzo con cui i due amici si sentiranno, seppur l’anziano sia sepolto sotto terra…
Il coming of age in una trama non strutturata
Mr. Harrigan’s Phone non è il tipico film di Ryan Murphy, padre di American Horror Story e del più recente Dahmer. E non è neppure la tipica short-story del maestro del brivido Stephen King. La sua impronta si vede semplicemente nella base della storia, un coming of age simile a quello di IT, che però non si erge su una trama lineare. Il filo conduttore del film è un telefono su cui si mantiene in piedi tutto lo scarso world-building. Craig lo usa per parlare con il signor Harrigan sia prima che dopo la morte. E poi? Poi il nulla. Manca di profondità. Manca di esplorazione dei contenuti e delle dinamiche.
L’unico elemento positivo, che si rifà a quelle pellicole sinistre tratte dai libri di King, è questo: morte e vita che si incontrano, si sfiorano e poi si mescolano, invadendo l’una la sfera dell’altra. Momenti brevi, ma essenziali. La suspense è debole, ma è l’unica che rimane. Il resto cade – purtroppo – nell’abisso del vuoto.
La storia manca di trama solida, di turning point decisivi e soprattutto di un climax nel terzo atto, perdendosi nelle sequenze e nelle scene che si sbriciolano in quanto struttura. Il finale di Mr. Harrigan’s Phone sembra arrivare all’improvviso, ma alla base non ha delle progressioni logiche per cui comprenderlo a pieno. Mancano le legature fra un atto e l’altro, i fili conduttori reali che sorreggono una sceneggiatura in quanto tale. C’è solo il testo e il sottotesto: quello che si vede nelle immagini e quello che non si vede, quello che Craig non dice. Ma neanche questo è forte.
Il leitmotiv di Mr.Harrigan’s Phone, ossia il contatto di Craig con Harrigan, è talmente debole da incepparsi come un nastro della pellicola. Non c’è ritmo calzante, c’è solo una lentezza di eventi talmente estenuante da perdere sin da subito la concentrazione. L’unica cosa che rimane da dire è che si poteva sicuramente sviluppare meglio la trama. E che non è stata resa giustizia al racconto breve di Stephen King.