Ritorno al cinema per uno dei grandi maestri viventi, Roman Polanski, regista che ha segnato la storia del cinema con opere come Il pianista, L’inquilino del terzo piano e Chinatown. Con Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure, 2013), Polanski firma un film piccolo nella forma ma vastissimo nei temi, un’opera che sintetizza in modo quasi perfetto le sue ossessioni narrative: il desiderio, il dominio, la follia, la sottile linea che separa realtà e rappresentazione. Liberamente ispirato all’omonima pièce teatrale di David Ives (a sua volta tratta dal romanzo di Leopold von Sacher-Masoch, da cui deriva il termine “masochismo”), il film si rivela una riflessione acuta e ironica sulla natura del potere e sull’ambiguità dei rapporti tra uomo e donna, regista e attrice, autore e creatura.
Un duello psicologico tra palco e realtà
La storia si apre in un teatro vuoto, dove il regista Thomas (interpretato da Mathieu Amalric) sta disperatamente cercando l’interprete giusta per la sua nuova produzione, tratta proprio da Venere in pelliccia. Quando tutto sembra perduto, irrompe Vanda (Emmanuelle Seigner), un’attrice sfrontata e apparentemente inadeguata, che insiste per sostenere l’audizione nonostante il suo ritardo e la sua irriverenza. Inizia così un gioco di potere serrato e seducente, in cui le identità dei due protagonisti si confondono progressivamente fino a dissolversi: l’audizione diventa performance, la finzione si trasforma in verità, e il teatro si muta in un labirinto psicologico di desiderio e dominio reciproco.
Polanski costruisce il film come un duello mentale e sensuale, fatto di sguardi, parole e cambi di ruolo. Con un uso magistrale dello spazio — un unico teatro — e due soli interpreti, riesce a mantenere una tensione costante, scandita da ritmi precisi e da un linguaggio visivo rigoroso. Ogni movimento di macchina, ogni mutamento di luce, ogni dettaglio scenico contribuisce a trasformare il palcoscenico in una trappola claustrofobica, in cui i confini tra realtà e rappresentazione si fanno sempre più labili.
La fotografia di Pawel Edelman gioca con contrasti morbidi e ombre sensuali, mentre la musica di Alexandre Desplat sottolinea il crescendo emotivo con eleganza e ironia. È un film essenziale eppure densissimo, dove la parola diventa azione e il teatro si fa specchio dell’animo umano.
Polanski, Seigner e Amalric: anatomia di un’ossessione
Venere in pelliccia rappresenta, nella filmografia di Polanski, un ideale proseguimento di Carnage: anche qui, il regista si confronta con la dimensione teatrale, concentrando la narrazione in un unico luogo e pochi personaggi per esplorare le dinamiche di potere. Ma mentre in Carnage dominava la satira sociale, qui emerge un erotismo intellettuale, una riflessione quasi metafisica sul rapporto tra creatore e creatura.
Emmanuelle Seigner, moglie e musa di Polanski, offre una delle interpretazioni più convincenti della sua carriera. La sua Vanda è magnetica, imprevedibile, capace di passare dalla leggerezza alla crudeltà in un istante. È allo stesso tempo vittima e carnefice, attrice e regista della propria messa in scena. Mathieu Amalric, con la sua somiglianza fisica con lo stesso Polanski, diventa alter ego del regista: il suo Thomas è un uomo di potere apparentemente saldo, ma progressivamente disarmato e sedotto dal gioco che lui stesso ha creato. La dinamica tra i due è di rara intensità e si traduce in un equilibrio perfetto di ironia, sensualità e ambiguità.
Polanski utilizza la pièce come un dispositivo metacinematografico, una riflessione sul suo stesso mestiere di regista e sulla natura del cinema come strumento di manipolazione. L’intera pellicola è un dialogo tra autore e interprete, tra chi dirige e chi si ribella alla direzione, in una danza di controllo e abbandono che richiama tanto Luna di fiele quanto L’inquilino del terzo piano.
Conclusione
Con Venere in pelliccia, Roman Polanski firma uno dei suoi film più personali e affilati. Pur sviluppandosi come un esercizio di stile teatrale, l’opera vibra di vitalità e intelligenza, e dimostra come il regista riesca ancora a trasformare la limitazione in potenza narrativa. Il film è un piccolo gioiello di messa in scena, capace di fondere eros e ironia, gioco e crudeltà, realtà e illusione. È, in ultima analisi, un’opera che parla del potere del cinema stesso: quello di trasformare il desiderio in racconto, e il racconto in un atto di seduzione perpetua.
Venere in pelliccia
Sommario
Un duetto psicologico raffinato e perverso: Venere in pelliccia è Polanski allo stato puro, un film teatrale, erotico e autoironico che ipnotizza fino all’ultimo fotogramma.
