The Endless River: recensione del film di Oliver Hermanus #Venezia72

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Ricordate i titoli di testa di un capolavoro immortale come Via col Vento? Le scritte dal carattere enorme, i campi sterminati sullo sfondo, i puntini fra i nomi del cast tecnico e la loro mansione? The Endless River inizia praticamente allo stesso modo, con la medesima patina fine anni trenta, tanto da sembrare un vecchio film restaurato. Siamo però in Sud Africa nella cittadina dal nome quasi impronunciabile di Riviersonderend, che significa appunto Fiume Infinito. Sono tempi molto difficili, nei quali la delinquenza scorrazza impunita per le strade, senza che le forze di polizia abbiano le risorse (e forse nemmeno la voglia) di reprimerla. I giovani del luogo entrano ed escono di prigione, ogni quartiere ha la sua gang e ogni squadra ha il suo personalissimo rito di iniziazione. E niente che si fermi al furtarello, sulla terra vi è un’autentica scia di sangue, frutto di efferati omicidi senza movente, compiuti per il gusto di farli. Proprio il triplice omicidio di una giovane madre e dei suoi due figli innesca un meccanismo di vendetta nel padre di famiglia, che va a sommarsi alla già dilagante violenza del posto.

 

The Endless RiverOliver Hermanus con The Endless River dirige un lavoro confuso, diviso a capitoli (dunque una forma narrativa non proprio innovativa) e caratterizzato da una regia statica che condiziona l’intera esperienza. Risulta infatti difficile appassionarsi al progetto, rimanere incastrati negli ingranaggi della storia, con tanti personaggi tratteggiati e una sceneggiatura che percorre sentieri diversi senza che nessuno venga approfondito. Il contrasto dei due protagonisti, che paradossalmente finiscono per legarsi, è interessante e curioso, resta però sullo sfondo di una relazione travagliata, creata soltanto dalle ceneri del dolore e null’altro. Come se la solitudine e la rabbia ci rendessero spiriti vuoti, incapaci a reagire; una chiave di lettura legittima, peccato solo che gli elementi di trama, i vari twist abbandonati sul percorso come sassi di Pollicino, vengano lasciati al loro destino.

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Linee circolari che non si chiudono mai esplicitamente, che mettono lo spettatore nella scomoda posizione di chi non riesce a capire tutto fino in fondo, di chi resta col dubbio. Difetti che rendono l’intero progetto trascurabile, la prova generale di un concerto sinfonico eseguita con strumenti scordati e gestita da un direttore d’orchestra con la mente altrove, non ancora pronto al debutto.

Sommario

Linee circolari che non si chiudono mai esplicitamente, che mettono lo spettatore nella scomoda posizione di chi non riesce a capire tutto fino in fondo, di chi resta col dubbio.
Aurelio Vindigni Ricca
Aurelio Vindigni Ricca
Fotografo e redattore sul web, caporedattore di Cinefilos Games e direttore editoriale di Vertigo24.

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Linee circolari che non si chiudono mai esplicitamente, che mettono lo spettatore nella scomoda posizione di chi non riesce a capire tutto fino in fondo, di chi resta col dubbio.The Endless River: recensione del film di Oliver Hermanus #Venezia72