La morte arriva su tacco 12

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Caro amico lettore,

che mi mandi sms gioiosi, uozzap curiosi, o che semplicemente voi sape’ gossip su ospiti, party, glamour e che chiosi con ‘beata te!’.

Segui il mio ragionamento.

L’ abituale permanenza al Lido di un povero criticocinematograficodemmerda si svolge così:  la mattinata la passi a vedere film impronunciabili, o che durano inspiegabilmente quanto Saturno nel mio segno,  in sale gelide -pare- per tonificare il corpo e ritemprare lo spirito (anche se noi sospettiamo per creare tipo una calotta glaciale isolante quelli che la mattina non se lavano, ma nel dubbio devono annà random e gelano tutti, stanno sperimentando dei sensori comunque, abbiate fede). Segue una fase di incomprensibili corse in sala stampa, in preda a un’urgenza dal sapore autolesionista, spesso per metterti nuovamente in una fila abominevole e seguire le conferenze stampa, rigorosamente ad ora di pranzo  (te pare che puoi magnà?). Se ti dice male e hai bisogno del traduttore, segue anche momento assalto alle cuffie + momento restituzione, per cui in sostanza passi ‘na mattinata in fila peggio che ai saldi di H&M, e non compri manco niente, anzi ci guadagni al massimo qualche calcio negli stinchi, borsate in faccia, piedi pestati. Io giuro che dopo un pò di giorni così torno a casa e me metto in fila pure per andare a farmi la doccia a casa mia, anche se vivo da sola. Il pomeriggio se non hai convegni o film da vedere muori di morte lenta in sala stampa, dove il massimo del comfort è il tè thai del quale vi abbiamo raccontato, che secondo me è bromuro per sedare impulsi sessuali, nsiamai ‘na botta d’ormone da ste parti. Vai avanti per un po’, fino a esaurimento recensioni o/e esaurimento nervoso. Tutto questo se non hai interviste, roundtable, radio o video da fare. Siccome le distanze tra le varie location sono abbastanza impegnative per i tempi stretti, la sera per levarti le scarpe serve un esorcismo. Io che naturalmente giro in tacco 12 ho sfiorato la morte non so quante volte, destreggiandomi in un percorso degno di giochi senza frontiere sotto temperature che oscillano tra quella di un abbattitore per tonni a quella della superficie del Sole. Poi ovviamente ariguardi film e torni a scrivere: tutto questo se riesci a uscire incolume, abbiamo visto gente spiaccicarsi letteralmente faccia a terra per questa meravigliosa usanza del posto che è accendere le luci solo quando la sala sì è svuotata. Se sei gran culo finisci intorno alle 22. Poi dovrai pure magnà visto che non tocchi cibo dalle sette del mattino.

Ma con che coraggio dopo una giornata così, dopo che se so fatte minimo le 24, si può andare tutte le sere a una festa la cui location non è ovviamente al lido (qua non c’è niente da festeggià) e per andarci te devi mette con la carta geografica a fa l’itinerario marittimo tipo Magellano.

 E come sono le feste a Venezia? Dell’altri.

(Vì)

 

Se esco vivo di qui devo ricordarmi cosa comporta accettare un invito a un pranzo ufficiale durante un Festival. Come un moderno Prometeo ho peccato di hybris pensando di poter mantenere un regime dietetico semi-salutare, evitando l’alcool e l’eccesso di carboidrati. Mica per niente, è che c’ho una certa e se non mi do una regolata qua si rischia di schioppare prima della premiazione. E la prima settimana ero stato pure bravo, spesetta tranquilla al supermarket di proteine e verdure, un paio di giorni fa mi sono ritrovato anche nella busta una fetta di Asiago e delle ciriole non previste dal programma, segno che il Demonio ci voleva già mettere lo zampino. Mi sono limitato a tenerle nel frigo per collezione, giuro che se avessi tempo le riporterei anche indietro.

Un primo cedimento l’ho avuto un paio di sere fa, a una festa.

C’era una barista impanicata che tentava di aprire una bottiglia da un quarto d’ora, fronteggiando orde di ubriaconi molesti e così ho pensato di renderle onore, ma era più per cortesia che per reale desiderio, lo giuro. Ma oggi, oggi, è stato il giorno della disfatta.

Ho molto da fare, ma c’è un evento con pranzo allegato e dire di no mi pare brutto, anche nei confronti dei colleghi che vanno avanti a acqua e salatini degli sponsor. Come dì, non poi dà un calcio in culo alla miseria. Ma pensavo si trattasse di un pranzetto veloce a buffet, di quelli che puoi fare la comparsata, prendere una fetta di breasaola e defilarti facilmente dichiarando ‘scusate, ma ho un altro impegno’. Che in effetti nemmeno è una scusa, perché la giornata è fittissima. E invece, è un pranzo seduti, in terrazza.

Mi vedo perso e vengo attaccato da una serie di portate aggressive che sembrano preparate da un ibrido tra Gordon Ramsay e Dimebag Darrel dei Pantera quando si cimentava col barbecue, per lo più servite a un ritmo lentissimo come se fossimo tutti a fare festa durante una tranquilla domenica pomeriggio. Dribblo la cesta del pane ma vengo colpito in pieno da un piatto di tagliolini mari e monti, in cui, preso dai morsi della fame,  affondo la faccia come un maiale in un trogolo. Un tiramisù all’arancia mi dà il colpo di grazia. Mi alzo caracollando con un netto ritardo rispetto alla tabella di marcia, impossibilitato a una qualsivoglia forma di recupero (leggasi pennichella) a causa dei numerosi impegni successivi.

Quello che mi preoccupa è che anche stasera ho una cena programmata. E una vecchia inviperita sta insistentemente bussando alla mia porta reclamando la sua fetta di Asiago.

(Ang)

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