West Side Story, la recensione del film di Steven Spielberg

Dal 23 dicembre arriva in sala il film che segna l'esordio di Steven Spielberg nel musical, il remake del classico del genere di Robert Wise.

West Side Story recensione

Comincia tra le macerie di vecchi palazzi in procinto di essere abbattuti, la nuova versione di West Side Story diretta da Steven Spielberg. Ripercorrendo la filmografia dell’autore la mente torna al realismo dei set di Salvate il soldato Ryan, opera a nostro avviso spartiacque nella carriera di Spielberg molto più di quanto lo era stato Schindler’s List cinque anni prima.

 

West Side Story, la trama

Una coincidenza? Difficile crederlo, perché anche in questo caso la trasposizione cinematografica del leggendario musical di Stephen Sondheim è, a modo suo modo, un film di guerra. Le battaglie sono stavolta combattute da “soldati” che si battono per la propria identità sociale e culturale, anche se probabilmente sanno già che vi saranno soltanto sconfitti: sul “territorio” che Jets e Sharks si contendono tra risse da strada e balli entusiasmanti sta per essere infatti edificato il complesso del Lincoln Center, il quale trasformerà l’Upper West Side nel quartiere agiato dei nuovi benestanti di New York.

Ed ecco allora che il musical, seppur ambientato nel passato, diventa specchio metaforico del nostro presente: Spielberg ci ricorda che a battersi per difendere la propria identità razziale, culturale o sociale sono le classi meno agiate, mentre chi detiene potere economico (e quindi politico) non ha alcun problema a radere tutto al suolo in nome del progresso. E ovviamente dei dollari…

West Side Story è un remake contemporaneo

Bastano dunque i primissimi minuti del lungometraggio per comprendere chiaramente quanto West Side Story sia lontano anni luce dall’essere un’operazione nostalgica, mentre si dimostra fin da subito un film contemporaneo se non addirittura necessario. Non resta allora che procedere nel tessere le lodi della messa in scena organizzata da Spielberg e dal suo cast tecnico: una volta stabilito che questo è un film di “fantasmi”, un film sull’eco dell’illusione di un’integrazione che non è diventata realtà – e in questo senso l’arco narrativo del personaggio di Anita è emblematico al punto da farsi politico nel senso più ampio del termine – Spielberg realizza la propria visione di conseguenza, attraverso una coerenza estetica degna dei suoi capolavori.

La fotografia del fido Janusz Kaminski abbraccia scenografie, costumi e personaggi avvolgendoli in un’aura cinematografica che fonde con pienezza la dimensione onirica della visione con il sostrato realistico delle ambientazioni. In questo modo West Side Story si sviluppa su un equilibrio estetico che da solo arriva a emozionare lo spettatore, immergerlo in uno spettacolo di densità emotiva a tratti sorprendente, soprattutto nella prima metà del lungometraggio.

West Side Story cast
Ansel Elgort as Tony and Rachel Zegler as Maria in 20th Century Studios’ WEST SIDE STORY.

A questo si aggiungono ovviamente i fenomenali momenti musicali creati da Stephen Sondheim, a cui Spielberg rende omaggio attraverso un uso perfetto di montaggio e sonoro: le note classiche che tutti conosciamo diventano così ancora una volta moderne, tangibili, a noi vicine anche più di quanto credessimo.

Gli ottimi protagonisti di West Side Story

Altro grande pregio del musical sono gli attori, tutti sconosciuti al pubblico fatta eccezione per Ansel Elgort. Spielberg non cade nel tranello in cui spesso sono inciampati molti prodotti di questo genere, soprattutto in tempi recenti, e tratta i giovani talenti prima di tutto come attori, non risparmiando primissimi piani che permettono loro di sviluppare la dimensione emotiva dei rispettivi personaggi. In questo modo quando partono i numeri musicali siamo già affezionati ai ruoli, capiamo la loro situazione interiore, e questo rende ancora più entusiasmanti performance coreografiche e canore di fattura artistica cristallina.

Merito primario di Sondheim ovviamente, ma la mano di Spielberg è tangibile e preziosa, ed eleva lo spettacolo a livelli che trascendono il genere stesso. Se Elgort e l’esordiente Rachel Zegler convincono in pieno nelle vesti dei due protagonisti la scena viene comunque spesso dominata dai comprimari Ariana DeBose, David Alvarez e Mike Faist, i quali si dimostrano esplosivi, carichi di un’energia che esplode straripante nei momenti più conosciuti del musical.

Con West Side Story Steven Spielberg ha aggiunto un altro tassello prezioso alla sua incredibile capacità di storyteller: il suo film possiede una vena malinconica soffusa ma tangibile, scandita da una messa in scena capace di renderla preziosa senza lasciare che sovraccarichi l’operazione stessa. Un po’ alla maniera del miglior Clint Eastwood, quello de Gli spietati, Mystic River o I ponti di Madison County. E ciò dimostra che, quando sei un cineasta incommensurabile come Steven Spielberg, anche l’età può diventare strumento per ottenere grandi risultati.

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