Oliver Stone

Oliver Stone

Oliver Stone è tra i pilastri della cinematografia americana: regista pluripremiato, ma anche capace di suscitare coi suoi film aspre controversie e dibattiti. La sua produzione è ricca – documentari, film, sceneggiature – e le sue esperienze di vita gli hanno spesso fornito spunti per le opere cinematografiche. Ma, andiamo per ordine.

 

William Oliver Stone nasce a New York il 15 settembre 1946, figlio di un agente di borsa ebreo e di una francese. Si iscrive all’università di Yale nel ’64, ma l’anno dopo la abbandona e parte alla volta del Vietnam, dove insegna inglese. Tornato in patria, nel ’67 si arruola nell’esercito e presta servizio militare proprio in Vietnam. La sua esperienza della guerra inizia il giorno dopo il suo 21° compleanno e termina nel novembre ’68. Il giovane Oliver Stone è ferito due volte e si guadagna due medaglie sul campo. Questa esperienza lo segnerà profondamente e lascerà una marcata impronta sul suo cinema. Al ritorno in patria, Oliver Stone riesce infatti ad elaborare il trauma dell’esperienza vietnamita proprio dedicandosi al cinema. Si forma alla New York University Film School, dove ha tra i suoi insegnanti Martin Scorsese. I primi frutti del lavoro svolto vedono la luce nel ’74 con l’horror “Seizure” e con il cortometraggio “One Year in Viet Nam”. Nel ’76 si trasferisce a Hollywood e inizia la sua attività come sceneggiatore, facendosi subito notare con l’adattamento cinematografico di “Fuga di Mezzanotte”, che gli vale il Premio Oscar per la sceneggiatura e segna la sua affermazione in questo campo. Seguono, nei primi anni ’80, altre sceneggiature importanti: su tutte “Scarface” di Brian De Palma (1983) e “L’anno del dragone” di Michael Cimino (1985). Nel frattempo, Oliver Stone continua il suo lavoro di regista: prima con il thriller “La mano” (1981) e poi con “Salvador” (1986), pellicola con James Woods sulla guerra in Salvador.

La produzione successiva del regista americano verte su quattro grandi temi, che mostrano il suo attaccamento all’America, la sua passione per i temi caldi della storia del paese, la sua finalità etica e il suo amore per la magniloquenza espressiva. Oliver Stone si occupa di Vietnam con una trilogia che comprende “Platoon” (1986), “Nato il quattro luglio” (1989) e “Tra cielo e terra” (1993). Si dedica poi ai presidenti Usa con “JFK – Un caso ancora aperto” (1991), “Gli intrighi del potere – Nixon” (1995) e “W.” (2008). Ha poi a cuore il tema del ruolo dei mass media nella società e il loro rapporto con la violenza, di cui si occupa in “Talk Radio” (1988) e in “Assassini nati” (1994). Infine, altro tema a lui caro è quello dei meccanismi che governano il mondo della finanza e le loro distorsioni, oggetto di “Wall Street” (1987) e “Wall Street – Il denaro non dorme mai” (2010).

Per quel che riguarda i film sul Vietnam, i più significativi sono senza dubbio i primi due. La fama internazionale come regista arriva infatti nel 1986 con “Platoon”, considerato tra le migliori pellicole sulla guerra del Vietnam, insieme ad “Apocalypse now” di Coppola e “Full metal jacket” di Kubrick. L’opera ottiene 7 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior regia. In parte ispirata dall’esperienza personale del regista, la pellicola mostra le vicende di un plotone in Vietnam, protagonisti Charlie Sheen nei panni del giovane volontario, Tom Berenger in quelli del sergente senza scrupoli e Willem Defoe nel ruolo del sergente con scrupoli. Racconta un Vietnam  senza filtri, per ciò che è stato, per come il regista stesso l’ha vissuto,  e ne evidenzia l’assurdità, di cui la perdita di riferimenti e valori è conseguenza. Tre anni dopo arriva “Nato il quattro luglio”, ovvero, illusione e disillusione del giovane Ron Kovic (Tom Cruise) che, arruolatosi nell’esercito animato da autentico spirito patriottico, in Vietnam sperimenta l’orrore e l’abiezione umana. Tornato in patria su una sedia a rotelle si scontra con l’indifferenza di un’America che, dopo averli mandati a morire, non si cura dei suoi reduci, per non essere costretta a guardare in faccia la sconfitta subìta. Kovic sopravviverà a tutto questo trovando un altro ideale per cui combattere, non con le armi: quello pacifista. Il film, ispirato alla vera storia di Ron Kovic, è condotto in maniera appassionata da Stone e attira su di lui le prime critiche negative da parte dell’estabilishment, ma gli vale il secondo Oscar alla regia.

In quella che potremmo definire una “trilogia sui presidenti” è notevole il primo film: il discusso “JFK”. Il dibattito è molto acceso, trattandosi di una delle pagine più oscure della storia americana. Stone sfodera un cast assai corposo, con Kevin Costner protagonista nel ruolo del procuratore Garrison – ma ci sono anche Kevin Bacon, Donald Sutherland, Gary Oldman, Jack Lemmon, Walter Matthau. E si impegna in una ricostruzione minuziosa dell’intera vicenda dell’omicidio di John Kennedy, con piglio d’inchiesta. Ma soprattutto, ancora una volta, ci mette la faccia, si espone, si appassiona, sostenendo apertamente la tesi del complotto, in contrasto con le conclusioni raggiunte dall’inchiesta ufficiale, che avevano individuato Lee Oswald come unico responsabile. Il film dunque divide e ha senz’altro il merito di portare alla luce le incongruenze della versione ufficiale. Qui inoltre, Stone fa uso di pellicole di diverso tipo, utilizza colore e bianconero, altra caratteristica del suo cinema. La pellicola ottiene tre premi Oscar per fotografia e montaggio. Da ricordare, quattro anni dopo, il film su Nixon, altra figura controversa della storia americana recente (il presidente dello scandalo Watergate). Per l’occasione dirige Anthony Hopkins, dando anche qui un’interpretazione controcorrente dell’uomo politico: al centro di intrighi e vittima delle proprie debolezze, ma a cui Stone ascrive qualche merito e alcune qualità, sforzandosi di evitare riduzioni troppo semplicistiche.

Non solo la politica, però, è sinonimo di potere. Lo sono anche, a loro modo, i mezzi di comunicazione, sebbene in maniera più subdola e sottile. Stone ne aveva indagato i meccanismi fin dal 1988, con Talk Radio, sempre con un occhio al rapporto tra questi e la collettività e tra questi e violenza. Torna a farlo nel ‘94, su soggetto di Quentin Tarantino, e ne nasce “Assassini nati”. Protagonisti una coppia di pluriomicidi (Juliette Lewis e Woody Harrelson), i cui crimini vengono spettacolarizzati da Tv e media dagli scarsi scrupoli. Nel film convivono l’aspetto splatter – la ferocia, il sangue che scorre a fiumi – e la critica all’”intellighenzia” dei media, che danno inopinatamente popolarità ai due criminali. Il tutto è presentato in una veste nuova, che mescola linguaggi visivi disparati, alterna colore e bianconero, utilizza la chiave grottesca e parodica, in un turbinio delirante che fagocita lo spettatore. Accompagnano il film polemiche inesauribili (a partire da Tarantino, che accusa Stone di aver stravolto a tal punto il suo soggetto da non voler comparire nei credits del film) riguardoalla spettacolarizzazione della violenza e se sia corretto o meno esporla per criticarla, soprattutto perché si pensa che gli aspetti di critica non vengano colti dal pubblico più giovane. Il film finirà per essere vietato ai minori di 14 anni in molti paesi, ai minori di 18 in qualche caso.

Infine, il capitolo finanziario della filmografia del nostro si apre nell’87 con Wall Street. L’argomento, ben conosciuto da Stone, essendo il padre agente di borsa a Wall Street, gli ispira questa pellicola, nella quale Michael Douglas interpreta lo squalo della finanza Gordon Gekko, facendo incetta di premi: Oscar, Golden Globe, Nastro d’Argento e David di Donatello. Accanto a lui nei panni del giovane compagno di malefatte Charlie Sheen. Anche questo potrebbe essere semplicisticamente definito come un film a tesi, che si scaglia con furore contro le storture del mondo finanziario americano, i danni generati da un capitalismo distorto e malato, le speculazioni e l’avidità. Il personaggio di Douglas è però indubbiamente affascinante nella sua spregiudicatezza cinica e vincente, così come poi, nell’epilogo, nell’affrontare la giusta punizione per quella spregiudicatezza. Stone trattava il tema allora, a ridosso del crollo delle borse e torna a farlo adesso, dopo la crisi finanziaria più pesante dal ’29, sempre con Gekko/Douglas, affiancato stavolta da Shia LaBeouf, nei panni del giovane broker in Wall Street-Il denaro non dorme mai.

Il nostro vulcanico regista non si è fatto mancare, poi, pellicole che esulano dalla categorizzazione fin qui esposta, come “The Doors” (1991), in cui ripercorre la storia del gruppo rock americano e la vicenda umana del suo leader, Jim Morrison, anch’esso amato e odiato, considerato da alcuni il miglior tributo possibile alla figura di Morrison (Val Kilmer), da altri un film riduttivo, che scivola nello stereotipo della rock star maledetta e dissoluta per far presa sul pubblico senza rendere giustizia al genio creativo e alla sensibilità di Jim. Gli ex membri dei Doors, tra i secondi, presero decisamente le distanze dal film.

Nel ’99 ha diretto Al Pacino nel fortunato “Ogni maledetta domenica”, nel 2004 ha realizzato “Alexander”, sulla figura di Alessandro Magno, esplorandone le contraddizioni. Nel 2006 è tornato a parlare della sua America con “World Trade Centre”, omaggio alle vittime dell’11 settembre. Da segnalare anche la sua opera di documentarista, concretizzatasi soprattutto negli ultimi anni, con due documentari su Fidel Castro, “Comandante” (2003) e “Looking for Fidel” (2004) e uno sul presidente venezuelano Chavez, “South of the border” (2009).

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