Money Monster: recensione del film di Jodie Foster – Cannes 2016

Money Monster

Come già visto nel folle Nightcrawler di Tony Gilroy (con Jake Gyllenhaal), l’ambiente dello show business ritorna in Money Monster, quarto film da regista di Jodie Foster: ci troviamo a New York, chiusi tra le mura di uno studio televisivo dove ogni settimana il giullare Lee Gates intrattiene gli spettatori con uno show che offre consigli finanziari a chi vuole investire del capitale. Piccole somme, grandi aspettative, la base dell’intramontabile sogno americano. L’equilibrio è destinato a rompersi con l’arrivo di un elemento di disturbo, un giovane ragazzo che ha perso ogni centesimo per colpa di un investimento andato male.

 

Meravigliarsi o preoccuparsi delle disgrazie altrui è cosa ormai lontana dalla prassi odierna. Questa strana tendenza sembra aver contagiato tutti i rami dell’informazione pubblica, un organo che dovrebbe partecipare agli eventi della società con un ruolo super partes e che invece si presta con sempre più vigore alle nuove politiche di comunicazione che lucrano sulla disperazione, creando lo spettacolo dove l’economia ha causato danni irreversibili alle vite della povera gente.

Money Monster

Scritto con intelligenza e precisione, Money Monster mette in piedi un affascinante quanto ritmato spettacolo della disperazione, nello stesso identico modo con cui gli antichi romani provavano attrazione per la morte negli anfiteatri: è tutto davanti a noi, estremamente macchinoso, ma è un’esperienza totale, quasi ab-soluta dal resto. L’uomo è un animale perverso che ama assistere alle tragedie del sangue gettato perché più il dramma è amplificato (dalle telecamere, dai microfoni, dalle luci), più siamo in grado di stabilire la giusta distanza emotiva e di non sentirci responsabili.

Money Monster allora assume il punto di vista degli autori dello show che invece di curare, assecondano la tragedia, invece di illuminare i “mostri”, mettono a fuoco le vittime del sistema; insieme alla corrente narrativa e morale, la tensione viene poi incanalata in tre interpretazioni perfette, di George Clooney (il buffone), Jack O’Connell (il martire) e Julia Roberts (la burattinaia, e che personaggio meraviglioso..). In un finale da teatro greco, con tanto di palcoscenico e colonne doriche, gli attori recitano il loro ultimo atto, intrappolati da una riflessione che abbiamo già fatto in passato e che, nonostante il trascorrere del tempo e delle crisi, pare immutata. I mostri non pagheranno mai.

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