Self/Less: recensione del film di Tarsem Singh

Self/Less

In Self/Less Il miliardario Damian Hale è un potente leader industriale affetto da un devastante cancro ai polmoni e pieno di rimpianti nei confronti della giovane figlia. Con l’aspettativa di pochi mesi di vita dinnanzi a sé, l’uomo decide di affidarsi ad un’occulta organizzazione biogenetica sperimentatrice dello “shedding”, un rivoluzionario processo che permette di installare la memoria e la coscienza di un individuo in un organismo creato ex-novo. Dopo essersi risvegliato in un corpo giovane e forte, Damian inizia la sua nuova esistenza, ma la comparsa di strane allucinazioni gli fa capire ben presto che le cose non sono per niente come sembrano.

 

Lo stile visionario e psichedelico del cinema di Tarsem Singh torna a farsi sentire, e dopo la discreta parentesi fantasy di Biancaneve e lo sfortunato esperimento mitologico in 3D Immortals, ecco che con Self/Less il regista indiano dal cuore americano ci catapulta all’interno di un thriller fantascientifico al sapore di una futuribilità incuneata verso una profonda quanto primordiale domanda: che cosa succederebbe se il genio umano potesse perpetrarsi al di là dei limiti di un corpo in decadenza? Rinunciando (purtroppo!) a quell’estetica surreale e destabilizzante che, fin dai tempi di The Cell e The Fall avevano reso il suo cinema originale e subito inconfondibile, Tarsem opta questa volta per una narrazione che si muove su solidi e consolidati binari dell’high concept da blockbuster, preferendo abiurare eccessivi barocchismi visivi in favore di una storia lineare ma efficace allo stesso tempo, un perfetto e sicuro prodotto studiato a puntino nei minimi ingranaggi.

Self/Less, il film

Self/Less

La sceneggiatura di Self/Less scritta a quattro mani dai fratelli David e Alex Pastor, pur senza nascondere i numerosi debiti derivanti da opere cult come Operazione diabolica di Frankenheimer e il più recente Source Code di Duncan Jones, sa muoversi agilmente e senza infamia né lode nei madri di un’idea sicuramente interessante ma alla fine forse troppo appiattita dalle sporadiche voragini di scrittura e dalle numerose sequenze al gusto di “dejà vu” e dunque ampiamente prevedibili, così come il grande segreto su cui l’intero film si regge risulta a conti fatti già intuibile ai più scafati dopo i primi dieci minuti.

Ben Kingsley, malgrado permanga sullo schermo per meno di venti minuti, riesce a regalare nuovamente un’interpretazione intensa e camaleontica nei panni del vecchio Damian, così come anche Ryan Reynold, qui chiamato a reggere oltre cento minuti di fughe roccambolesche e intrighi nelle vesti del Damian giovane, mentre Matthew Goode impersona splendidamente un conturbante ricercatore dal sapore di un vero villain in stile Marvel.

Self/Less

Tutto perfetto, tutto in ordine, tutto tranne il tanto atteso, e purtroppo assente, “tocco alla Tarsem”, di cui si possono notare solo pallide e brevi tracce nelle poche sequenze i-tech di un film che per il resto cammina sulle tracce di un sano racconto di action senza troppo osare ma sicuramente sapendo intrattenere.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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