Con Leila e i suoi fratelli, Saeed Roustayi ci aveva presentato la storia di una donna dalla schiena ricurva che porta su di sé il peso di una famiglia di soli fratelli maschi. Leila si scontrava a gran voce con questi, tentando di risvegliarli dal torpore di una società patriarcale che li aveva privilegiati fin dalla nascita. Ora, il regista iraniano porta sulla Croisette un altro carattere femminile forte, ma ancora più controverso: si chiama Mahnaz, ed è la protagonista di Woman and Child, in concorso a Cannes 78.
Chi è la madre e chi il figlio?
Mahnaz (in una straordinaria interpretazione di Parinaz Izadyar) è la madre del titolo, una donna che si prende cura dei suoi due figli dopo la morte del marito. La sua routine quotidiana consiste nell’alternarsi tra casa e lavoro come infermiera, incontrare un potenziale nuovo compagno, Hamid (interpretato da Payman Maadi), e tornare ad accudire la sua famiglia. A darle una mano c’è sua madre, perennemente irritata per qualcosa, la sua adorabile figlia più piccola e, naturalmente, il figlio citato nel titolo. Aliyar (Sinan Mohebi) è un adolescente ribelle che sembra attratto dai guai: come se cercasse attivamente il caos per poi tuffarcisi dentro anima e corpo. I suoi insegnanti, i dirigenti scolastici e molti compagni non lo sopportano – anche se alcuni lo seguono, attratti dalla sua capacità di fomentare il disordine e persino il bullismo. È facile intuire che il suo comportamento sia, almeno in parte, una reazione alla perdita del padre, ma ciò non lo rende meno ingestibile. La situazione degenera al punto che un professore, Samkhanian (Maziar Seyedi), decide di sospenderlo.
Quel che accade dopo è tragico, violento e del tutto inaspettato, scatenando una catena di conflitti, incomprensioni, litigi e accuse all’interno della famiglia. Mahnaz cerca risposte dalla scuola, dagli avvocati, dalla giustizia e dai suoi stessi parenti, ma riceve solo porte sbattute in faccia e una vaga empatia che non si traduce mai in vero sostegno. Le cose peggiorano quando, a causa di alcune decisioni drastiche prese dalla sorella, Mahnaz comincia a essere vista come una squilibrata, quasi una nemica. Sempre più sola, senza nessuno che le dia ascolto o creda alla sua versione dei fatti, la donna finisce per compiere azioni via via più assurde, tanto da incarnare – paradossalmente – ciò che gli altri pensano di lei.
Una furia femminile rara nel cinema iraniano
Aliyar sale e scende per le case, gioca d’azzardo, salta ovunque, marina la scuola. È un ragazzo spigliato, che porta il caos ovunque vada e sembra attratto dai guai come da una calamita. In famiglia gli chiedono sempre di fare i compiti altrui, ma nessuno sembra capace di arginare la sua inquietudine. È facile pensare che il suo comportamento sia anche una reazione alla perdita del padre, ma ciò non lo rende meno problematico. Dopo un tragico evento che coinvolge proprio il ragazzo, la donna si rivolge alla scuola, agli avvocati, alla giustizia e alla propria famiglia per ricevere risposte. Quello che ottiene, al contrario, sono solo porte sbattute in faccia, parole vaghe e accuse. Le cose peggiorano quando, a causa di decisioni drastiche prese dalla sorella, Mahnaz comincia a essere percepita come squilibrata, quasi una minaccia. Nessuno le dà ascolto, nessuno le crede davvero. Anche la madre la rimprovera: “se non torni a lavorare, vedrai cosa farò” e la accusa di non prendersi abbastanza cura della figlia: “l’hai fatta invecchiare, ha i capelli grigi”.
Il rapporto con l’uomo che frequenta è altrettanto carico di tensione: le ha chiesto di nascondere la sua vita precedente, lei ha accettato, ma poi non si assume le responsabilità. Il problema, come lei stessa ammette, è che i suoi figli capiscono troppo. E quando in un ribaltamento inaspettato delle dinamiche, Hamid, che ha voluto restare al di fuori della loro esistenza, sarà costretto a diventare parte della famiglia, la situazione peggiorerà rovinosamente.
Parinaz Izadyar, una performance devastante
Roustayi ci regala un’opera di una ferocia implacabile, che farà molto discutere e già lo ha fatto al Festival, e che riflette sul vittimismo come piaga della società moderna. Si muove costantemente sul filo del melodramma, ma riesce a restituire una rabbia femminile raramente vista in un film iraniano. È una storia di donne contro donne: contro la madre, contro la sorella, contro sé stessa. Mahnaz è un personaggio respingente, che cerca disperatamente di restare in piedi mentre tutto attorno a lei crolla: la sua è una parabola di disintegrazione, emotiva e sociale, che non cerca giustificazioni né assoluzioni.
La performance di Parinaz Izadyar è devastante: il film si apre con lei in un centro estetico, intenta a prepararsi per un incontro con il suo uomo, ma col passare del tempo la vediamo imbruttirsi, dentro e fuori, fino a consumarsi. La sua Mahnaz è una donna che si è uccisa ma non è morta. In un passaggio del film, accusa bruscamente Hamid: “Tu non volevi una donna e un bambino, volevi una donna bambina“. Forse, nella sua solitudine, Mahnaz si allontana dai figli per diventare lei stessa figlia di sé stessa, nel disperato tentativo di trovare un senso a quanto di tragico accaduto.
Il regista iraniano costruisce un film furioso, che grida e urla, dove i personaggi si insultano costantemente – come già accadeva in Leila e i suoi fratelli, ma qui con un’intensità ancora maggiore. È un’opera che divide e fa discutere, e che mostra senza filtri il peso dell’incomprensione e dell’abbandono. In questo senso, la fragilità di Mahnaz non è il punto di partenza, ma l’esito finale di una società che non prevede spazio per donne così arrabbiate.
Womand and Child
Sommario
Con Woman and Child, Saeed Roustayi racconta la discesa agli inferi di una madre sola e frustrata, incapace di contenere il dolore proprio e quello dei figli. Un film durissimo, ambiguo e implacabile, che mostra una donna iraniana raramente vista sullo schermo: arrabbiata, respingente, reale.