Con House of Guinness, disponibile su Netflix dal 25 settembre, Steven Knight torna a confrontarsi con il genere che lo ha reso celebre, quello del drama storico corale. Dopo il successo mondiale di Peaky Blinders e l’esperimento di A Thousand Blows, lo sceneggiatore britannico mette in scena una saga ambientata a Dublino nella seconda metà dell’Ottocento, incentrata sulla famiglia Guinness e sull’impero della birra che porta il loro nome.
La trama di House of Guinness
La serie si apre in medias res: il patriarca Benjamin Guinness è morto, lasciando dietro di sé un impero tanto solido quanto fragile. La sua figura, per gli abitanti della città, non era motivo di orgoglio, bensì di rancore. Le strade di Dublino si infiammano, i feniani celebrano la sua scomparsa e il funerale si trasforma in un campo di battaglia simbolico, in cui le tensioni sociali e politiche dell’Irlanda colonizzata emergono con forza.
È in questo contesto che i figli di Benjamin si trovano costretti a confrontarsi non solo con l’eredità economica, ma soprattutto con il peso di un nome che significa potere, privilegi e nemici. Proprio come in Peaky Blinders, Knight intreccia la Storia con la storia privata, mostrando come i grandi mutamenti collettivi passino sempre attraverso le crepe intime delle famiglie.
Il cuore della serie è il conflitto tra i fratelli Guinness. Arthur (Anthony Boyle), il primogenito, appare insofferente, più attratto dalla mondanità londinese che dal dovere familiare. Edward (Louis Partridge), il più giovane, è l’unico ad avere una vera visione per il futuro del birrificio, ma deve fare i conti con la propria posizione subordinata. Accanto a loro ci sono Anne (Emily Fairn), esclusa dall’eredità perché donna, e Ben (Fionn O’Shea), incapace di affrancarsi dai suoi vizi.
La lettura del testamento paterno non solo divide, ma cementa un legame di dipendenza reciproca: Arthur e Edward devono gestire insieme il patrimonio, pena la perdita totale. Da qui nasce la tensione che sostiene gran parte degli episodi, tra rivalità fraterna, responsabilità economiche e ambizioni personali. Ma forse meglio di tutti li descrive Anne, la sorella: Arthur è così frivolo perché spaventato dalla sua oscurità e Edward così serio perché spaventato dal suo buon cuore.
Parallelamente, la ribellione dei feniani — guidata da Ellen (Niamh McCormack) e Paddy Cochran (Seamus O’Hara) — rappresenta il contrappunto politico e sociale al dramma familiare. Le lotte di potere all’interno delle mura del birrificio risuonano con quelle che si combattono per le strade di Dublino, mettendo in evidenza il contrasto tra chi accumula ricchezze e chi lotta per la propria sopravvivenza e libertà.
La messa in scena, come da tradizione knightiana, è sontuosa: fotografia cupa e barocca, una ricostruzione storica che mescola fedeltà e licenze drammatiche, una colonna sonora portentosa che mette insieme Fountaines DC e musica classica. Tuttavia, nonostante l’evidente cura estetica, la narrazione rischia di perdere mordente a metà stagione. A partire dal quinto episodio, il ritmo si appesantisce e le dinamiche familiari iniziano a ripetersi, rendendo meno incisiva una storia che avrebbe forse giovato di un formato più compatto.
Tra storia e leggenda: luci e ombre di un dramma solido ma imperfetto
House of Guinness non pretende di essere una ricostruzione storica rigorosa. Piuttosto, sceglie di muoversi nel territorio del mito, trasformando la dinastia della birra in una sorta di tragedia shakespeariana. In questo senso, Knight conferma la sua abilità nel rendere universale una vicenda profondamente locale: il conflitto tra fratelli, il peso del potere, la tensione tra tradizione e modernità diventano temi che travalicano i confini dell’Irlanda ottocentesca.
Il punto di forza della serie sta soprattutto nelle interpretazioni. Anthony Boyle regala ad Arthur un misto di fragilità e brutalità, mentre Louis Partridge costruisce un Edward idealista ma non ingenuo, pronto a scontrarsi con un mondo che non lo prende sul serio. Ottima anche la performance di James Norton nei panni del fedele Sean Rafferty, figura ponte tra il popolo e i padroni.
Eppure, qualcosa manca. Se Peaky Blinders riusciva a tenere lo spettatore incollato allo schermo, qui la trama appare meno incisiva, quasi diluita. Gli otto episodi sembrano voler includere troppi elementi senza dare a ciascuno lo spazio necessario. Il risultato è una serie piacevole e visivamente affascinante, che riesce a catturare per la forza della sua ambientazione e per la potenza di alcune scene, ma che difficilmente rimarrà nella memoria come il capolavoro che Knight ha già saputo realizzare in passato.
House of Guinness è un dramma storico solido, capace di intrattenere e affascinare chi è attratto dalle saghe familiari e dall’Irlanda vittoriana. Non è il miglior lavoro del suo autore, ma resta una testimonianza della sua capacità di trasformare vicende reali in narrazioni cariche di tensione e simbolismo. Un bicchiere di Guinness, forse non il più frizzante, ma comunque degno di essere assaporato.
House of Guinness
Sommario
House of Guinness si muove nel territorio del mito, trasformando la dinastia della birra in una sorta di tragedia shakespeariana.