Martin Scorsese racconta la sua passione per il cinema #RomaFF13

Uno degli eventi più attesi della Festa del Cinema di Roma ha avuto luogo nella giornata del 22 ottobre. Dopo essere stato ospite durante la prima edizione della Festa, nel 2006, il regista premio Oscar Martin Scorsese è tornato per un incontro ravvicinato con il pubblico e per ricevere il premio alla carriera. Per questo speciale incontro, il regista newyorkese ha selezionato nove film italiani, quelli che più lo hanno ispirato prima di diventare regista. Attraverso la visione di ben precise scene di questi, Scorsese ha come sempre dimostrato un profondo amore per il cinema, ripercorrendo allo stesso tempo la sua lunga carriera.

 

Al suo ingresso, Scorsese viene accolto da una standing ovation dell’intera Sala Sinopoli, dove si trovavano tra gli altri il regista Giuseppe Tornatore, e i suoi collaboratori Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. A riempire la sala anche numerosissimi ragazzi e studenti universitari, a dimostrazione dell’influenza che questo gigante della storia del cinema riesce ad avere anche sulle nuove generazioni.

Dal momento in cui Scorsese prende il microfono per dare inizio all’incontro, questo si trasforma ben presto in una vera e propria lezione di cinema. I film italiani da lui scelti sono compresi in un periodo di tempo che va dal 1952 al 1962, e sono i titoli che più di altri hanno avuto un impatto e un’influenza nella sua formazione, prima che Scorsese iniziasse a sua volta ad essere un regista. Dalla lista sono rimasti fuori la maggior parte dei film del neorealismo, considerati dal regista newyorkese non dei film ma realtà.

Il primo film che Scorsese presenta è Accattone di Pier Paolo Pasolini. “Vidi questo film per la prima volta durante il New York Film Festival, nel 1963, e fu un’esperienza fortissima per me. – dichiara il regista – Io sono cresciuto in quartiere difficile, e questo è stato il primo film in cui sono riuscito ad identificarmi con i protagonisti. All’epoca non avevo idea di chi fosse Pasolini, però capivo quei personaggi, e più di tutto mi colpi la santità del film. Trovo meraviglioso il finale, dove si accostano personaggi popolari e infimi ad una spiritualità più alta. Accattone è un pappone, ma Pasolini lo fa morire in mezzo a due ladri, con uno dei due che si fa il segno della croce al contrario. Ho appreso moltissimo dalla combinazione che Pasolini fa di questi elementi, e anche dall’uso che fa della musica. Egli usa una composizioni sacre, usa Bach, per descrivere i suoi personaggi, e questa è una cosa che ho riportato in Casinò. Tutto ciò per me implica che le persone di strada, attraverso la propria sofferenza, sono più vicine a Cristo di quanto non lo siano coloro che stanno più in alto.”

Si passa poi a parlare di un altro dei grandi registi della storia del cinema italiano, Roberto Rossellini, con il suo film per la televisione dal titolo La presa del potere da parte di Luigi XIV. “Arrivato ad un certo punto della sua carriera Rossellini ha avuto la percezione che l’arte fosse troppo rivolta verso sé stessa, verso l’interno. Egli voleva farne altro, usando il valore del mezzo per realizzare film didattici, per insegnare. Di questo film in particolare sono stregato dalla composizione. C’è una grande ispirazione pittorica, da Velázquez a Caravaggio. Egli riduceva tutto all’essenziale, come aveva fatto in Paisà, e questo stile mi ha spinto verso nuove riflessioni sulla natura del cinema, decidendo poi di riutilizzarlo in film come Toro Scatenato, ma anche nei miei più recenti.”

È poi la volta di Umberto D. di Vittorio De Sica. “Questo film è l’apice del neorealismo, dopo non sarà più lo stesso. La cosa interessante di questo film è che non è affatto sentimentale. Certo, la musica ha un crescendo emotivo, ma il film parla sempre e solo di un uomo anziano che ha bisogno di mangiare. È così sinceramente umano che è impossibile non riconoscersi in questa umanità.”

Il posto, di Ermanno Olmi, è un film veramente speciale. – continua Scorsese – Questo film, insieme a I fidanzati, ha questo suo stile “sottomesso”, economico, scarno, che è un po’ lo stile documentaristico alla John Cassavetes, ed è per questo che lo sento così vicino a me. Ammiro il modo in cui Olmi ci parla della progressione dell’industrializzazione e della conseguente perdita di umanità.”

“Il primo film di Michelangelo Antonioni che vidi fu L’avventura. – dichiara il regista – Dovetti imparare come leggerlo. L’ho guardato ripetutamente, studiando il suo ritmo e l’utilizzo dello spazio. Questa sua narrazione ottenuta attraverso lo spazio, la composizione, la luce, l’oscurità, sembra per certi aspetti analitica. Ma uno dei finali più belli in assoluto è quello de L’eclisse. In questo film c’è un passaggio dove prima vediamo Monica Vitti camminare per strada, poi si allarga all’intero paesaggio, e lì la composizione è utilizzata come narrazione, facendoci capire l’alienazione, la mancanza di spirito, la mancanza d’animo. Antonioni ha ridefinito il linguaggio cinematografico. Egli prende i canoni della narrazione e dei personaggi e se ne libera, proprio come avviene a Lea Massari in L’avventura. Un po’ come fa Alfred Hitchcock in Psycho con Janet Leigh, ma almeno che fine fa lei lo sappiamo.”

Scorsese passa poi a presentare tre film ambientati in Sicilia, che era la terra dei suoi nonni prima che questi emigrassero a New York in cerca di fortuna. Il primo di questi film è Divorzio all’italiana di Pietro Germi. “Quando preparavo Quei bravi ragazzi, ho studiato questo film per prepararmi. Adoro come i movimenti della macchina da presa riescano a generare un umorismo genuino. Ogni volta che lo guardo mi colpisce poi particolarmente il bianco e il nero, e l’uso che si fa di questo.”

Il secondo dei film ambientati in Sicilia è invece Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, di cui viene  mostrata la scena della madre che piange il figlio morto. “La madre che vediamo non è una madre, è la madre. Quando vidi questo film per la prima volta, e questa scena in particolare, mi cambiò la vita. Rosi ti mostra i fatti, eppure i fatti non sono la verità, e le radici della corruzione vanno sempre più in profondità. I miei nonni si trasferirono a New York nel 1910, e mi sono sempre chiesto perché non si fidassero delle istituzioni. Vedendo questo film ho realmente capito tante cose della mia famiglia.”

Per il terzo film sulla Sicilia Scorsese non poteva che aver scelto Il Gattopardo, di Luchino Visconti. “Le opere di Visconti hanno avuto una grande influenza sul mio film L’età dell’innocenza. Quello che mi interessa qui è l’aspetto antropologico, l’antropologia di quella vita. Egli raccontava le cose dal minimo dettaglio al macrocosmo. L’opera di Visconti sembra combinare l’impegno politico con il melodramma più sfrenato. Ma ciò che più mi emoziona dei suoi film è il passaggio del tempo, il modo in cui il principe Salina capisce che i vecchi valori lasceranno il posto a qualcosa di nuovo che però non porterà a nessun cambiamento, e che quindi è arrivato per lui il momento di andarsene, fondamentalmente di morire.”

L’ultimo film italiano presentato da Scorsese è Le notti di Cabiria, di Federico Fellini. “Il finale di questo film è sublime. Una vera e propria rinascita spirituale. Ho sempre ammirato Fellini, con tutte le sue particolarità che lui sapeva far funzionare. Ho avuto il piacere di incontrarlo più volte, e verso gli anni novanta stavamo anche lavorando al progetto di un documentario insieme, purtroppo però lui scomparse poco dopo e la cosa non si fece più. Ad ogni modo, il suo modo di raccontare i personaggi e di catturarne l’essenza è inarrivabile.”

L’incontro si chiude poi con il conferimento a Martin Scorsese del premio alla carriera, consegnatogli come da lui richiesto da Paolo Taviani. Quest’ultimo ringrazia Scorsese per il suo omaggio al cinema italiano, e per l’amore che ha saputo trasmettere agli altri riguardo questi film. Scorsese appare visibilmente commosso, e dopo aver tenuto tra le sue mani il premio, prende un’ultima volta il microfono, per ringraziare l’Italia per i suoi capolavori cinematografici, senza i quali lui oggi non sarebbe quello che è. Dimostrando un’umiltà di cui solo i grandi sono capaci, Martin Scorsese ottiene in cambio il calore di un pubblico che da tempo vede in lui uno dei più grandi maestri della storia del cinema mondiale.

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