Eccoci qua, versione supereroi, pronti a battere in lungo e in largo sto postaccio per raccontarvi la verità, vi prego, su questo Festival (anzi Festa. ‘Tacci loro e a quando hanno cambiato la dicitura), a portarvi dietro le quinte del mondo del giornalismo cinematografico, a mettere in questione il potere, a rovistare in ciò che c’è di marcio, di corrotto, a servirvi anche se è il caso qualche testa su un piatto d’argento.
Ad esempio, tenetevi
pronti perché stiamo per sganciare una bomba che rovinerà forse la
carriera di qualcuno. Fonti AUTOREVOLISSIME (il
palato della Carducci. Dai, ogni volta che dite ‘chi è la
Carducci?!? La sellerona di Cinematografo, ve
l’abbiamo già detto. Mica ce vorrete dì che la notte invece de
guardà Marzullo dormite?!?) ci confermano che la notizia che
aleggiava in questi giorni è assolutamente veritiera: la Sacher der
baretto dell’auditorium non è più la stessa. Nel senso che proprio
i gestori del bar hanno deciso di cambiare fornitore. Non volevamo
darvi questa informazione così, senza il diritto al contraddittorio
delle parti chiamate in causa, ma la verità è che non ci serviva.
La Carducci quanno se magna, nun se sbaglia mai.
Va bene, facevo la scemotta. Tutto questo per dirvi che sono io ad aprire la rubrica sui filmetti in programmazione, visto che Ang è Vip e arriva quanno glie pare, per cui giocavo amenamente su Truth, sto film di apertura. Un film drammatico, ambientato nel mondo delle redazioni giornalistiche, che racconta la vera storia di Mary Mapes, licenziata per i documenti utilizzati nella sua inchiesta giornalistica ai danni del presidente Bush, considerati dei falsi.
Ma parliamo del film: c’è Cate Blanchett che non si strucca gli occhi da Blue Jasmine e che, imbottita degli stessi psicofarmaci, continua a interpretare un personaggio mite e stabile, per nulla nevrotico, con cui sedersi in salotto e sorseggiare serenamente del tè coi biscottini. Per tutte le due ore sto film ci racconta, ma virgola pè virgola, la creazione di sto reportage, la messa in onda, il successo, la condanna mediatica, er numero de telefono dell’avvocato della Blanchet, la marca de vino con cui se ciucca la Blanchett. Insomma, va bene che ce voi dì la verità, ma santoddio, ce ne bastava pure meno.
Detto questo smetto di fare l’idiota, il film è ben confezionato e rispetto alle altre boiate che hanno aperto le vecchie edizioni del festival – festa! Cretina!- tutto sommato è pure civile.
Ma andiamo avanti con il nostro servizio pubblico di denuncia, tra le altre nefandezze di oggi scopro con rammarico che in sala stampa non c’è una mazza, credo manco il boccione dell’acqua, almeno non l’ho visto a meno che non se lo sia attaccato qualcuno tipo flebo per riprendersi dalla mattinata.
Però ce so i telefoni, che a chi dovemo telefonà non lo so.
Ah forse è un rebus: volevano dirci che pure quest’anno sarà un’edizione telefonata.
Bene.
Però, e dico però, le ragazzine agli accrediti mi confermano che quest’anno non ci sarà la solita corsa al biglietto per le proiezioni serali in alcune sale, ma ci sarà una fila apposita dedicata. Mo voglio vedè, alla prima occasione ve racconto.
E chiuderei, prima di passare la parola ad Ang, con ‘libertè fraternitè egalitè’: i pass, quest’anno, sono tutti uguali per la stampa. Arancionedemmerda, ma uguali per tutti.
Non importa per chi scrivi, che tu sia un blogger demmerda o Mereghetti. Tutti intubati in un’unica fila, così dalle foto pare che ce stamo a menà per entrare in sala.
(Vì)
E in effetti l’unico
pregio de ‘sti pass arancioni è quello di stare bene col nuovo
colore dei capelli della Carducci (je volemo bene, che dovemo da
fà), che, come ogni bel pezzo di Spritz che si rispetti, passa a
seconda dei gusti dalla variante ‘Campari’ a
quella ‘Aperol’, senza mai perdere di fascino. Io
oggi arrivo più o meno prima di pranzo, giusto in tempo per
ambientarmi e notare i cambiamenti subiti dal comparto gastronomico
dell’auditorium. Della Sacher s’è già detto. Si apra una petizione.
Il chiosco del kebab però ha capito che sto periodo se fanno i
sordi e dunque si è dotato di comodo servizio al tavolo, che
agevola nel non-sbrodolamento del vestito da festival, e dunque è
gradito. Film niente, a parte Street
Opera che ho visto in anticipata e che è un
documentario sul Rap dove spunta fuori Elio Germano, che pare sia
un cantante nei ritagli di tempo. Come dire che fanno un
documentario su di me mentre gioco a Angry Birds
sull’iPad. Però ho un interessantissimo incontro con Joel Coen
(esatto, quello là dei due fratelli) e con sua moglie Frances
McDormand, che è una grandissima attrice e ha fatto degli autentici
capolavori ma per me resterà sempre la fidanzata di
Darkman, quella a cui Liam
Neeson imbestialito porgeva bruscamente in mano un peluche
sbraitando: “Ecco il tuo fottuto elefante!”. Altri
tempi. Che poi l’hanno pure raccontato, di quando si dividevano la
casa nel Bronx coi fratelli Raimi e Kathy Bates per risparmiare
sull’affitto, un po’ come qualsiasi giornalista di cinema al Lido
in quegli appartamenti senza cesso che sembrano delle comuni degli
anni ‘70’. Questa la parte interessante, dopodiché so’ tutti cazzi
loro e schermaglie amorose, su chi dei due sa cucinare, chi lascia
alzata la tavoletta del water, e su quella volta che Frances,
grazie a quel fenomeno di Sorrentino, per poco non si lascia
tentare dalle grazie di Sean Penn in versione ICEFAC (acronimo per
In Culo e Fòco ai Capelli, come appariva nell’iconico
This Must be The Place).
Stasera dicono pure che
c’è Belle e Sebastien 2, dove il colonnello Trautman
ingaggia quel regazzino che pare il Remì dei pauperi e il suo fido
cane culattone per liberare il nonno di Heidi, rapito
dall’Isis.
Se mi ubriaco capirete.
(Ang)