Dirty Dancing: dove andiamo non ci servono strade

venezia 74

Varie volte, in questo spazio e in altri, ho spiegato perché spesso marino le feste durante i festival. Ho detto ‘marino’? Davvero? Deve essere la stanchezza. Intendevo dire ‘piscio le feste’. I soliti: c’ho mal de panza, c’ho sonno c’ho fame, sono stanco e di solito non ho l’invito – grazie ar cazzo, non ce vado mai. Te credo che non mi invitano – il che non sarebbe un problema perché tanto mendicando da una parte all’altra a entrare si riesce. Solo che se dovevo andare a fare il mendicante me mettevo all’angoletto della fermata Vittorio Emanuele e facevo pure più soldi che a venì ai Festival. Tra l’altro, una delle poche cose che mi piace fare alle feste, non essendo un buon ballerino e non volendo perdere la voce per fare rapporti di pubbliche relazioni urlando come un’aquila per sovrastare la musica demmerda che di solito mettono, è ubriacarmi come un marinaio marsigliese, e visto come sto messo coi reni, meglio evitare.

 

Ieri sera però avevo pensato di affacciarmi alla festa dei ‘Ciak,’ giusto perché ogni tanto vedano che questa faccia dietro alle cazzate che scrivo esiste davvero. Quasi ero pronto a uscire, quando purtroppo mi hanno colto delle gravi allucinazioni che manco Leonardo di Caprio quando si faceva di Quaalude in The Wolf of Wall Street.

venezia 74Mi metto un attimo in balcone, che devo dire la vista della casa che ho qui al Lido non è niente male, dà direttamente su uno dei canali principali – per cui occhio che vi sento, quando parlate male dei colleghi tornando a casa a tarda notte ubriachi come merde, voi non mi vedete ma io, dal balcone, sì – in cerca di ispirazione. Magari mi viene voglia di uscire, hai visto mai.

M’accendo un sigaro. E vedo una barca passare. E che sarà mai una barca al Lido, direte voi. Solo che non è una barca normale. È un’automobile. Con un motore per barca attaccato, che bellamente se ne va in giro sull’acque alla faccia del ‘dove stiamo andando non c’è bisogno di strade’ di zemeckisiana memoria. Sgrano un paio di volte gli occhi, me li stropiccio. E niente. La visione non scompare. Anche abbastanza preoccupato penso che le traveggole mi vengano dall’abuso di Toradol o da una sempre più presente stanchezza (e del resto, oggi si fa il giro di boa della ‘settimana che siamo qui’, ci sta pure) e mi dico che di andare a fare il cazzone a feste dove manco m’hanno invitato, a maggior ragione che sto impazzendo, non è il caso.

La pazzia incombente, però, la prendo con nonchalance, un po’ come il protagonista del film di Aronofsky prende l’orrenda esecuzione del figlio appena nato: come uno scherzo un po’ pesantuccio, ma perdonabile. Ecco, per me la follia non è che una seccatura, in questo marasma di appuntamenti e corse. Quindi mi metto a letto pensando che il giorno dopo, dopo qualche ora di sonno, le allucinazioni spariranno. Stamattina l’auto-barca sta ancora là, attraccata proprio sotto casa mia. O era tutto vero, oppure sto definitivamente dando di matto. Ma non ho tempo per pensarci, devo correre all’alba alla proiezione del film dei Manetti Bros. , che in qualche modo mi rincuora.

Intendiamoci, sto Ammore e malavita che presentano qui non è niente di che. Un musical napoletano misto a Crime Story, come lo era in un certo senso il precedente Song e’ Napule, e come in Song e’ Napule – che, detto per inciso, era molto migliore di questo – ci sono Giampaolo Morelli, Serena Rossi e vari avanzi da ‘Un posto al sole’ che contribuiscono di molto a rendere la vicenda più partenopea possibile, con tanto di volute sceneggiate alla Mario Merola che sono la parte più divertente. Dopo un inizio scoppiettante, però, il film si siede parecchio e si appoggia su un fantastiliardo di citazioni messe lì a cazzo, da Flashdance a 007 a Ritorno al Futuro, che mandano in visibilio la platea manco stessero vedendo la madonna. Io intanto mi appisolo, sereno. Perché evidentemente non sono l’unico che sta impazzendo qua in giro.

Tra la proiezione e la conferenza mi arriva una soffiata su dove si trova Michael Caine, e scatta l’operazione selfie. Più che altro perché è un investimento, dato che lui stesso va in giro a dire “sono malato e tra poco vi lascio”. Michael, ti stimo e non è pé fa il coccodrillo, ma sai com’è. Oggi sì, domani non se sa. Purtroppo l’operazione non mi riesce. Lo portano fuori dalla lounge quattro gorilla grossi il doppio di Vince Vaughn in Brawl in Block Cell 99, perché deve andare in bagno e in effetti molti dei presenti lo hanno beccato proprio al cesso, che è un grande punto di ritrovo che accomuna star, addetti ai lavori e comuni mortali inferiori (ogni tanto i lettori vanno sempre insultati, ricordiamocelo). Dal cesso, tutti ci devono passare. Però io e Michael siamo gentlemen, e tra noi gentlemen vige la regola di non bloccare mai per nessun motivo un uomo che va a pisciare. Quindi niente, me lo vedo passare davanti e basta, anche perché incombono gli impegni di lavoro e mi devo allontanare. Ok, la verità è che dovevo pisciare pure io.

Ang

Ieri ho sentito molto la mancanza di Ang, perché in effetti alle feste ci vado con lo stesso spirito e quindi siamo solidali l’uno con l’altro. Spesso utilizziamo una famosa tattica militare che si trova nei testi di politica internazionale, che si chiama ‘modalità Zoran’, dal luogo in cui questa strategia fu messa in atto da due irredentisti macedoni durante una battaglia. In sostanza questi tipi si fecero vedere mentre brandivano con disinvoltura armi davanti ai loro colleghi combattenti, e appena tutti erano impegnati a menà come in un film con la bonanima de Bud Spencer si sciacquavano allegramente dai coglioni.

Ecco, questa strategia a noi è molto cara. Ma non perché siamo snob, semplicemente perché siamo due amanti delle cose semplici (la famosa triade dormì/magnà/fa pipì), quindi stare a informarci per raggiungere in ginocchio sui ceci un posto che sta in culo ai lupi e forse riesci ad entrare ci sembra davvero un’esagerazione. Invece ieri, dicevo, visto che l’invito lo avevo e visto che per una volta la festa era in un posto comodissimo, ho fatto un salto.

All’ingresso pronunciando la parola magica si sono aperte le acque come se fossi Noè e sono entrata in uno spazio temporale alienante, popolato da gente proveniente da qualsiasi epoca, ricevendo prova che dio esiste, ma non è classista. In tutto questo vorrei ricordarvi una cosa importante, cioè che l’inferno deve essere invece un posto in cui esistono solo open bar e buffet liberi, perché io mi sono sentita dannata. Sarò banale, ma ancora rabbrividisco a vedere la gente che agli open bar fa outing (tacito o palese non importa) sulla propria infanzia agghiacciante, sul proprio lavoro, sul fatto che dorme ancora con l’orsacchiotto de peluche. Così come rabbrividisco a vedere gente normalissima che in quei posti si trasforma.

Per cui ti ritrovi a fare il trenino su A-E-I-O-U-Y con uno che scrive magari accanto a te in sala stampa e ti imbruttisce se ricevi una telefonata mentre lavori,  ti trovi a ballare Flashdance con persone che te urlano dietro se hai il pass in fila ed entri prima di loro. Perché diventiamo solo contatto umano, quello che spesso in dieci giorni di Lido ti manca. Ma di contatto in quei metri quadri ce n’era pure troppo, tanto che a questo punto mi sono chiesta se non fosse un trappolone messo in atto dagli autoctoni o da sedicenti registi di opere prime per fare una marmellata di critici, e riempire i cornetti del Mulino Bianco (no, non dirò i Buondì cazzo, almeno io).

E infatti è così e col terrore negli occhi mi allontano per fumarmi una sigaretta in pace, da sola. A un certo punto mi si avvicina uno, che mi mitraglia di domande. Stringo gli occhi e scuoto leggermente la testa, che universalmente significa: “E’ inutile che ti accolli. Evapora“. Ma lui non batte ciglio, per cui credo di capire di aver risposto di sì a una specie di proposta in linguaggio elfico-lagunare “ofrirajnlaejrvinoohcichetooo?” (ovvero: “bevi?”), e mi ordina un barile di un liquame stranissimo, che considerando che sto fumando e tengo la giacchetta dovrei essere un giocoliere nano scappato dal Circo Togni per farcela, oppure dovrebbe reggere tutto lui ficcandomi una cannuccia in gola. Sto mostro della Laguna. Con i soli muscoli che riesco a muovere gli mimo, diovirzì, che non voglio bere, voglio fumare e possibilmente poi annà a dormì, da sola. Mi guarda incredulo, come se tra i due lui brillasse per fascino e la deficiente fossi io. Decido di evaporare io allora, nel modo più elegante possibile, trattenendo quell’impeto improvviso di fargli il dito medio mi avvio verso le mie amiche, barcollando (niente, la dignità non è più il mio forte già dopo due cocktail) e mi levo dalle palle.

Detto questo visto che continuavo a sentirmi poco a mio agio e pressata come una fetta di lattuga in un hamburger mi guardo intorno con orrore, e a un certo punto ho temuto persino che si fosse imbucato Aronofsky e al suo tre tutta quella gente iniziasse a sbranarmi come un pollo allo spiedo, per cui al minimo cenno delle mie amiche di andarcene scodinzolo come un Labrador. Ci dormo (male) su. Stamattina me facevano male pure le ciglia ma decido di andare comunque a vedere i Manetti, e mentre stavo per rimuovere una frase in particolare mi rievoca l’esperienza carnaio di ieri, fa più o meno così ‘per loro l’umanità è come a pummarola ncopp o spaghetto avvongole. Non conta nu cazz’.

P.S. gli autori ci tengono a sottolineare che i fatti sono spesso (ma non sempre) romanzati a partire da cose realmente accadute, questo per tranquillizzare qualsivoglia fan di qualsiasi attore, regista, organizzatore di party, protettore di morti di fi*a li legga per sbaglio, involontariamente, o mentre è al cesso, compreso Michael Caine.

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