Eternity. La morte è un dandy: la rivendicazione all’assenza di ambizione. Intervista a Alessandro Bilotta

Una Roma futuristica e un dandy che la attraversa senza mai toccarla.

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Eternity nasce da un insieme di idee.” Esordisce così Alessandro Bilotta parlando del suo ultimo fumetto, edito da Sergio Bonelli Editore e tra le novità librarie della collana Audace, che la casa editrice ha presentato al Lucca Comics and Games 2022. 

 

“Da una parte c’erano le idee che riguardano il personaggio, che è a sua volta un’evoluzione dei caratteri che mi interessano e che ho sempre ideato. Un personaggio che si solleva dal livello medio delle persone che lo circondano, molto intelligente, ma allo stesso tempo distaccato e che subisce la solitudine di questo suo essere superiore. Poi si è affacciata in me l’idea che tutto il mondo in cui viviamo sia fatto delle nostre auto-rappresentazioni. Siamo tutti un micro-mondo dello spettacolo e ognuno di noi è un mini spettacolo personale. Lo dico chiaramente nel primo volume di Eternity: alcuni personaggi vogliono avere il massimo da questa vita, convinti che non ce ne sia un’altra. E tutti vorrebbero lasciare il segno e vivere per sempre in questo mondo.” 

Un mondo iper-esposto, una auto-narrazione di sé esasperata, un palcoscenico continuo e, in questo ambiente asfissiante, un personaggio, Alceste, che attraversa la folla con curiosità antropologica, senza mai farsi toccare o attraversare da essa.

Si tratta, effettivamente, di un personaggio superiore a tutto ciò che incontriamo nella storia, ma questa sua superiorità e questa sua distanza dalle cose sembrano nascondere anche una mancanza di comprensione delle cose stesse. Una caratteristica che, spiega Bilotta, “fa parte dell’imperscrutabilità del personaggio. Volevo cercare di costruire un personaggio che rimanesse sempre in parte misterioso, che non facesse mai capire davvero cosa gli passa per la testa. Alla fine della storia sei convinto di cominciare a capirlo, ma ti rendi conto che non è così. Sembra distante anche da se stesso, come fosse un dio indifferente, e questo lo rende un personaggio disconnesso e assente rispetto a ciò che ha intorno.”

La storia sembra ambientata in un prossimo futuro, ma Alceste è un analogico e compra ancora i fumetti di carta che, si dice ad un certo punto, “sta tornando di moda”. In un mondo in cui la carta è diventata bene di lusso, il volume sembra fare un passo ulteriore nel racconto della contemporaneità. Eternity si rivela così essere una di quelle opere che parla con il proprio presente, nonostante sia stato pensato più di qualche anno fa. Come si raggiunge questo dialogo tra opera d’arte e realtà che la fruisce? Per Bilotta, questo dialogo si ottiene “quando i narratori cercano di concentrarsi sui grandi temi e non sul racconto in sé. Quando cerchiamo sempre di leggere, nella storia che vogliamo raccontare, quali sono i temi, gli argomenti che restano universali e che rimangono nel tempo, perché, come diceva Erich Fromm, l’essere umano è l’unico animale per cui la sua esistenza è un problema che deve risolvere. Questo problema che dobbiamo risolvere, dunque, è sempre lo stesso e le domande che ci poniamo per risolverlo sono sempre le stesse.”

Per quello che riguarda nello specifico il discorso sulla carta che “sta tornando di moda”, Alessandro Bilotta spiega: “Ho colto questo aspetto ragionando su una storia che fosse fortemente presente, che contenesse un elemento del presente che è sempre molto persistente: la nostalgia, la malinconia. Tutti noi tendiamo sempre a dare un peso importante a quello che è successo, a quello che abbiamo fatto, passato, attraversato. In Eternity siamo in un mondo in cui sono tornati di moda gli anni ’60, ad esempio. In questo modo di interpretare il comportamento degli umani e i loro desideri, mi immagino che se davvero prendesse piede la digitalizzazione verso cui ci stiamo muovendo, la carta diventerebbe subito un desiderio che l’uomo tornerebbe ad avere, come accaduto con i vinili. A questo è strettamente legata anche la mia convinzione che se sparisse davvero la carta, sparirebbe anche il fumetto.”

Eternity è una storia fortemente ancorata alla città in cui si svolge, Roma, non a caso la Città Eterna, e questa scelta corrisponde a un “giocare in casa” per l’autore, tant’è vero che ad un certo punto, nelle sue peregrinazioni senza meta, Alceste incontra Mercurio Loi, uno dei personaggi più famosi della produzione bilottiana. La scelta si deve alla volontà di rendere manifesta l’idea di una Roma che si costruisce attraverso i suoi stessi racconti. “Quella della mia storia è una città che non esiste. È l’immagine di una Roma ideale, mentre cerco di renderla più realistica del reale. In questa invenzione di Roma piena dei sentimenti che ci ho messo io con le mie storie, Mercurio Loi è un personaggio ricorrente, appartiene al suo immaginario, è un omaggio a me e ai miei lettori. Per cui è ovvio che ci sia, perché ormai fa parte della città, è l’attore caratteristico che sta sempre nello stesso locale.”

Anche i colori, in Eternity, contribuiscono al world building di questa Roma immaginaria, diventando elemento narrativo: “In fase di colorazione avevamo centinaia di migliaia di ipotesi da portare avanti – spiega Bilotta – E dopo tanto pensarci, ho capito che l’idea migliore fosse quella di seguire il senso del fumetto stesso, quindi usare il colore come qualcosa di fortemente attuale, ma allo stesso tempo che contenesse un’idea di antico e retrò. Nel fumetto la colorazione è moderna e ipertecnologica ma che mima alcuni dettagli di tempi passati. Il fuori registro, o la colorazione geometrica, ad esempio. E poi ogni segmento della storia ha delle tonalità precise, dei colori distintivi, perché ogni segmento basta a se stesso e ha una luce e una illuminazione specifica. Alcuni momenti sono molto moderni, altri hanno un sapore più romantico. Una volta elaborate queste idee, le ho sottoposte a Emiliano Mammucari, che ha supervisionato i colori, e a Adele Matera, che li ha materialmente realizzati.” 

Nell’ambito di una Lucca Comics and Games in cui SBE esordisce con le prime due produzioni di Bonelli Entertainment, il film di Dampyr ora al cinema e la serie animata di Dragonero che andrà in onda a dicembre sui canali Rai, è inevitabile immaginare una declinazione multimediale anche per le nuove PI che la casa editrice sta mettendo sul mercato. E anche Eternity ha un potenziale transmediale: “E’ un racconto che usa un linguaggio fortemente fumettistico che avrebbe bisogno di un adattamento intelligente che lo trasformi in altro. Tuttavia, dal tema affrontato, alla scansione del racconto fino ai personaggi, credo che questo fumetto si presti benissimo a una trasposizione cinematografica, nella speranza di fare meglio degli orrori della Marvel.”

“Il dialogo tra cinema e fumetto – continua Bilotta – ha degli esempi nobilissimi nel passato, che negli ultimi anni sono andati completamente perduti. Non c’è più stato l’interesse a riferirsi ai fumetti da cui provengono i personaggi. Il filone è stato così ricco e copioso che ci si è resi conto che si poteva vendere il nulla, come se si trattasse della fortuna che vendeva Wanna Marchi. È sufficiente annunciare un film Marvel con personaggi in costume, ma non ci dobbiamo preoccupare più di costruire la storia, di quello che c’è dentro. Prima di quest’ultima fase nefasta, c’è stato un periodo in cui questi aspetti venivano approfonditi. Ci sono stati degli esempi meravigliosi dal Batman di Tim Burton a Spider-Man 2 di Sam Raimi, film potentissimo che trasuda cultura del fumetto e del personaggio che sta raccontando. Al momento l’unico in grado di poter portare il fumetto popolare sul grande schermo è James Gunn. Per il resto sia l’autore che il fumetto sono del tutto irrilevanti. Ma forse noi alla Bonelli, non avendo conosciuto quel successo, saremo obbligati a prestare più attenzione al materiale di partenza, ai personaggi e alle storie, quindi sono fiducioso.” Conclude.

Dalle pagine di Eternity si avverte l’esigenza dell’autore di raccontare una intimità molto specifica, quella del suo protagonista, Alceste, che però è immersa nell’universalità che lo circonda. Quindi c’è stata la necessità di costruire quel mondo tanto grande perché al suo interno si potesse muovere il protagonista con la sua storia, la sua intimità, la sua individualità. “Il racconto vero e proprio è una storia intimista.” Afferma Bilotta. 

Nel fumetto, il personaggio di Quinto Serafini afferma, citando Seneca, che “non abbiamo poco tempo, è che ne sprechiamo troppo”, un’affermazione immediatamente contraddetta da Alceste, che replica dicendo che in realtà, l’uomo vuole più tempo proprio per poterne sprecare di più. In questo scambio sembra nascondersi la chiave di Eternity, e la chiave del suo protagonista: “Questo scambio è un inno all’essere oziosi e improduttivi. A essere dandy. Nel momento in cui la vita ci opprime e ci costringe a ‘fare’, questo è un invito ad andare nella direzione opposta e scollarsi da qualsiasi ambizione. La citazione di Seneca è sempre stata considerata come un’affermazione positiva, di buona speranza, invece è l’anticamere dell’iper-produttività. Un pericolo spaventoso, un po’ come lo era anche il famoso discorso di Steve Jobs, e nessuno se n’è accorto. Io, a fronte di questa invocazione al bisogno di tempo per lavorare di più, voglio rivendicare il diritto di non avere obbiettivi, di sprecare il tempo, di alternare i desideri, di non dover conquistare il mondo. È questo quello che mi interessa ed è questo che Alceste incarna. Lui è completamente impermeabile a quest’ansia di dover continuamente fare e raccontare.” Un’affermazione che sembra andare contro tutto ciò che la contemporaneità ci suggerisce, e che forse potrebbe salvarci dal mondo.

Eternity. La morte è un dandy – cover volume 1

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