Il personaggio che Stephen Fry interpreta nel sequel di Sherlock Holmes è il fratello maggiore di Sherlock, Mycroft: “Il fratello più intelligente, ci terrei a precisare. Ma è così pigro che non è riuscito a costruirsi una reputazione pari a quella di Sherlock.”
Nuove immagini da Transformers: Dark of the Moon
Si sono appena concluse le riprese principali di Transformers: Dark of the Moon, che erano ancora in corso nei teatri di posa (e nei loro esterni) di Culver City (California).
Nuove immagini da Transformers: Dark of the Moon
Si sono appena concluse le riprese principali di Transformers: Dark of the Moon, che erano ancora in corso nei teatri di posa (e nei loro esterni) di Culver City (California).
Gérard Depardieu
Gérard Depardieu è senz’altro uno dei più stimati attori europei. In quarantacinque anni di carriera (il debutto a soli 17 anni, nel 1965) ha partecipato a più di cento film e opere per la televisione, lavorando con i più grandi registi francesi, con molti cineasti italiani e facendosi apprezzare anche in America. Nel tracciarne un profilo umano e professionale, dunque, non possiamo che intervenire per sottrazione, concentrandoci sui lavori-cardine della sua carriera, che ne hanno prima accresciuto e poi consolidato la fama mondiale.
Nato a Châteauroux il 27 dicembre 1948 da una famiglia di modesta estrazione sociale, Gérard Depardieu a 12 anni la abbandona, insieme alla scuola, per girare l’Europa in cerca di fortuna, vivendo d’espedienti. Scopre il mondo della recitazione grazie a un amico e nel ‘65 esordisce al cinema in Le Beatnik et le Minet. Ma la prima prova importante è, nel ’73, la trasposizione cinematografica del romanzo di Bertrand Blier I due balordi che al cinema, per la regia dello stesso Blier, diventa I santissimi: Depardieu (Jean-Claude) è un giovane emarginato, protagonista assieme al suo amico Pierrot (Patrick Dewaere) di scorribande e malefatte con cui terrorizza la cittadinanza francese. Grazie a questa pellicola, registi francesi di maggior peso lo notano.
Nel ’74 lo vuole Alain Resnais per una piccola parte in Stravinsky il grande truffatore, accanto a Jean Paul Belmondo. Due anni dopo è sul set di Maîtresse di Barbet Shroeder. La sua fama comincia così a circolare a livello internazionale, e arriva anche in Italia. Marco Ferreri sceglie il corpulento attore francese per il suo L’ultima donna (1976) dove, in coppia con Ornella Muti, dà vita a un amaro dramma che riflette sull’alienazione nella società e nella famiglia. A credere nelle potenzialità espressive e nel talento di Depardieu è anche Bernardo Bertolucci, che lo rende protagonista del suo excursus storico-sociale sull’Italia del secolo scorso in Novecento Atto I e Atto II. Qui seguiamo le vicende di Olmo Dalcò (Gérard Depardieu), figlio di contadini a servizio della famiglia Berlinghieri, e Alfredo Berlinghieri (Robert De Niro), figlio del padrone. Dopo un’infanzia trascorsa insieme, vivranno le due guerre e le differenze sociali li divideranno. In quest’occasione, Depardieu fa parte di un nutrito cast internazionale, che vede tra gli altri Burt Lancaster e Donald Sutherland. Ma la sua interpretazione dell’orgoglio contadino non ha nulla da invidiare a quelle dei suoi colleghi più blasonati. Anzi, i lineamenti marcati, il fisico massiccio e la sua intensità espressiva risultano quanto mai efficaci e adatti per il ruolo. Nel ’77 Depardieu torna ad essere diretto da Blier in Preparate i fazzoletti, dove interpreta Raoul in un triangolo amoroso che lo vede insieme con Carol Laure (la moglie) e Patrick Dewaere (l’amante), cui s’aggiunge un adolescente appena 13enne dal quale la donna avrà un figlio. La pellicola ottiene l’Oscar come miglior film straniero nel ’78. Lo stesso anno lo vede di nuovo diretto da registi nostrani: ritrova Ferreri in Ciao maschio, dove recita al fianco di Marcello Mastroianni. E’ poi diretto da Comencini ne L’ingorgo. Una storia impossibile e da Monicelli in Temporale Rosy, dove rivela un sorprendente talento comico nel ruolo dell’ex pugile Raoul, alle prese con una storia d’amore con una campionessa di catch.
La definitiva consacrazione arriva però in patria, con le pellicole dirette dal maestro della Nouvelle Vague François Truffaut: L’ultimo metrò (1980) e La signora della porta accanto (1981). Nel primo, Gérard Depardieu interpreta l’attore Bernard Granger accanto a Catherine Deneuve (Marion), attrice che gestisce un teatro nella Francia del ’42. Il film è una riflessione su diverse tematiche: l’arte e la sua opportunità in tempi straordinari come quelli di guerra; il rapporto tra realtà e finzione; l’omosessualità. Per l’interpretazione di Bernard, Depardieu ottiene il César come miglior attore. La seconda pellicola è invece una tormentata storia d’amore, che lo vede protagonista assieme a Fanny Ardant: i due, che hanno avuto una relazione, si ritrovano vicini di casa dopo otto anni, ormai sposati con i rispettivi coniugi, e riprendono a frequentarsi. Entrambi perfetti nell’interpretare un amore che diventa ossessione e malattia. Nell’82 l’attore francese si aggiudica due National Society of Film Critics Awards con Il ritorno di Martin Guerre di Daniel Vigne e con Danton di Andrzej Wajda. Tre anni dopo, la sua interpretazione del commissario Margin nel film di Maurice Pialat Police gli vale la Coppa Volpi come miglior attore al Festival di Venezia. Nell’’87 lavora ancora con Pialat in Sotto il sole di Satana, che viene premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes come miglior film.
Nel ’90 Depardieu offre una delle sue interpretazioni migliori in Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau, prestando al personaggio non solo il naso importante e la corporatura massiccia, ma anche la vivacità e la forza espressiva. Puntuali arrivano i riconoscimenti: il César e la Palma d’Oro a Cannes come miglior attore e anche una nomination all’Oscar. Lo stesso anno vede la sua consacrazione oltreoceano con Green Card-Matrimonio di convenienza, diretto da Peter Weir, in cui recita accanto a Andie Mc Dowell e ottiene il Golden Globe. Tornerà in America in più occasioni. Gli anni ’90 lo vedono anche approdare di nuovo al cinema italiano. Interpreta per Tornatore lo scrittore Onoff nell’incubo kafkiano Una pura formalità, dove recita accanto a Roman Polanski e a un giovane Sergio Rubini. Poi torna in patria, dove troverà un buon riscontro di pubblico, grazie alla sua interpretazione di Obelix nella saga di Asterix, con Roberto Benigni.
Nel 2000 impreziosisce con il suo personaggio la riuscitissima pellicola di Francis Veber L’apparenza inganna, protagonista Daniel Auteil, nei panni di Francois Pignon, dipendente di una fabbrica di preservativi, che si finge omosessuale per evitare il licenziamento. Gérard Depardieu veste i panni di Felix Santini, collega macho e acerrimo nemico di Pignon, che si troverà a fare i conti con la sua parte femminile. Ancora una volta qui l’attore dimostra di riuscire benissimo anche in ruoli dai risvolti comici e ironici. Veber proverà a bissare il successo nel 2003, affiancando stavolta a Gérard Depardieu Jean Renò in Sta zitto… non rompere, una rocambolesca commedia dal risultato però meno convincente. L’anno dopo lo ritroviamo accanto ad Auteil nel poliziesco 36 Quai des Orfévres, pellicola di buon successo, premiata anche al Festival del Noir di Courmayeur. Un altro poliziesco lo porta a lavorare con il regista Claude Chabrol: interpreta infatti il commissario Bellamy nell’omonima pellicola del 2009. Ed arriviamo così ad oggi. Sono infatti in questi giorni nelle sale italiane Potiche – La bella statuina di François Ozon, che lo vede di nuovo al fianco di Catherine Deneuve, e Mammuth di Benoît Delépine e Gustave Kevern, dove recita accanto a Yolande Moreau. Qui interpreta un operaio francese alle prese con difficoltà burocratiche nell’ottenere la sua pensione, costretto a mettersi in viaggio sulla sua vecchia moto a caccia dei suoi ex datori di lavoro. E, come ha dichiarato lo stesso Depardieu, il personaggio somiglia un po’ a lui, che si sente uno spirito libero, un vagabondo. Lui che di scorribande in moto ne ha fatte molte e sulla moto ha perfino rischiato la vita più volte. Il film è dedicato al primogenito di Gérard Depardieu, Guillaume, amico dei due registi. Anche lui attore dall’esistenza travagliata, segnata dall’uso di droghe, dal carcere e da un incidente in moto, costatogli l’amputazione di una gamba, scomparso due anni fa a causa di una polmonite fulminante. Depardieu ha altri tre figli: Julie, Roxane e Jean.
Torna Woody Allen: Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni
Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni ( you will meet a tall dark stranger) – Le vicende riguardano, due coppie sposate – nella fattispecie quella formata da Alfie (Anthony Hopkins) e Helena (Gemma Jones), e quella della figlia Sally (Naomi Watts) e di suo marito Roy (Josh Brolin), il tutto condito con passioni, ambizioni e ansie che causano un crescendo di guai e follie.
Riparte il remake di Oldboy
Dagli States giungono nuovamente voci che vorrebbero rilanciato e pronto a (ri)partire il remake del film più celebre di Park Chan-Wood, Old Boy.
Christopher Doyle sperimenta la stereoscopia
Il direttore della fotografia Christopher Doyle è noto soprattutto per le sue collaborazioni con Wong Kar-Wai, con il quale ha realizzato quel capolavoro assoluto che è In The Mood for Love, ma ha lavorato anche con registi occidentali come Gus Van Sant, Jim Jarmush, M. Night Shyamalan e molti altri. Ora Doyle si confronterà con la tecnologia del 3D stereoscopico.
Asterix e Obelix ancora al cinema
Il personaggio di Asterix, creato alla fine degli anni Cinquanta da Renè Goscinny e Albert Uderzo, dimostra una grande longevità.
Paul Schrader dirigerà The Jesuit
Paul Schrader torna dietro la macchina da presa per dirigere The Jesuit, prodotto dalla Maya Entertainment e Open Window Films. Nel cast ci saranno Michelle Rodriguez, Paz Vega, Manolo Cardona e Willem Dafoe, con cui Schrader ha realizzato capolavori come Lo spacciatore e Affliction.
Dopo Valentine’s Day arriva New Year’s Eve
Dopo Appuntamento con l’amore (Valentine’s Day) arriva New Year’s Eve. La New Line ha infatto messo in cantiere un ideale sequel del film uscito a San Valentina di quest’anno, che replicherà il cast corale e si spera anche il successo commerciale del precedente.
Cronache di Narnia: Il Viaggio del Veliero full trailer
La Fox ha pubblicato il full trailer delle Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero, il terzo episodio della saga cinematografica tratta dai romanzi di C.S.S. Lewis. Il nuovo trailer, che potrebbe essere inserito davanti alle copie americane di Harry Potter, dura più di due minuti, contiene un mucchio di scene inedite.
Javier Bardem e James Franco in Scontra tra Titani 2
Il secondo episodio di Scontro tra Titani (2009) potrebbe trovare nel suo cast rinnovato James Franco e Javier Bardem. I due attori sarebbero attualmente in trattative per entrare a far parte del cast del film.
Box Office ITA: domina il cinema italiano
Terzetto invariato sul podio del box office italiano, rispettivamente Maschi contro femmine, Benvenuti al Sud e Cattivissimo Me. Esordi molto modesti per le new entry, anche dalle novità presentate al Festival del Cinema di Roma.
Stime (molto) promettenti potevano ipotizzare qualche cambiamento nel terzetto dei film più visti in questo weekend. Invece Maschi contro femmine mantiene la prima posizione raccogliendo 2,5 milioni per un totale di 9,1 milioni: evidentemente la commedia corale di Fausto Brizzi sta godendo di un buon passaparola.
Nuovamente al secondo posto Benvenuti al Sud, arrivato a ben 26,6 milioni complessivi con 1,3 milioni ottenuti negli ultimi tre giorni: la pellicola italiana è seconda (ovviamente dopo l’irraggiungibile Avatar) nella classifica degli incassi italiani del 2010.
Cattivissimo Me conserva la terza posizione con altri 934.000 euro, arrivando a quota 11,2 milioni. Segue Winx Club in 3D – Magica avventura, che ottiene altri 682.000 euro giugendo a 2,2 milioni totali.
La prima new entry a piazzarsi nella top10 è Last Night, che troviamo al quinto posto con 569.000 euro. Film d’apertura all’ultimo Festival del Cinema di Roma, la pellicola si rivolge a un pubblico di nicchia.
Salt scende in sesta posizione sfiorando i 2 milioni complessivi con altri 502.000 euro.
Seguono tre novità del fine settimana: Due cuori e una provetta, l’ennesima commedia con Jennifer Aniston, raccoglie 499.000 euro, mentre L’immortale esordisce con 427.000 euro.
Delude Una vita tranquilla, soltanto nono con 425.000 euro: il film presentato a Roma, e che ha fruttato il premio di Miglior Attore al protagonista Toni Servillo, ha decisamente aperto sotto le aspettative.
Chiude la top10 Il Regno di Ga’ Hoole – La leggenda dei guardiani, arrivato a 1,3 milioni con altri 351.000 euro.
Megamind in vetta al botteghino USA
Settimana del 5/11/2010 – La sfida tra Dreamworks e Pixar è nota a tutti. Due colossi che si contendono lo scettro dell’animazione digitale, sfornando, piu’o meno con costanza piccoli capolavori che sono importanti anche per la storia del cinema. L’ultimo regalo che ci ha lasciato la Pixar è stato Toy story 3, in cui ancora una volta, il discorso si è spostato a livelli piú alti della semplice storia per bambini con i pupazzi parlanti.
Apollo 18: conferme dalla Weinstein Company
Confermato: la Weinstein Company
farà uscire a marzo 2011 Apollo 18, thriller fantascientifico
“paranormale” girato in stile documentaristico e dedicato alla
misteriosa missione spaziale, ufficialmente mai avvenuta. Ecco
nuovi dettagli…
The Adventures of Tintin: Secret of the Unicorn nuove foto!
Sono uscite le scansioni delle altre immagini inedite delle Avventure di Tintin pubblicate su Empire: possiamo vedere le atmosfere noir del film di Steven Spielberg e Peter Jackson…
Iniziate le riprese di The Twilight Saga: Breaking Dawn
Iniziano ufficialmente oggi le riprese di The Twilight Saga: Breaking Dawn, che si svolgeranno tra la Louisiana, Vancouver e il Brasile. E si comincia proprio da Rio de Janeiro, da dove arrivano queste primissime immagini dal set.
Si tratta di una scena che vedremo verso l’inizio della Parte Prima: Edward (Robert Pattinson) e Bella (Kristen Stewart) arrivano in Brasile per la luna di miele e salgono a bordo di un motoscafo per raggiungere Isola Esme.
Le riprese continueranno fino al 22 aprile 2011; sul set con gli attori c’è anche Stephenie Meyer, l’autrice dei romanzi, che per questi ultimi due film si è riservata il ruolo di co-produttrice.
Iniziate le riprese di The Twilight Saga: Breaking Dawn
Iniziano ufficialmente oggi le riprese di The Twilight Saga: Breaking Dawn, che si svolgeranno tra la Louisiana, Vancouver e il Brasile. E si comincia proprio da Rio de Janeiro, da dove arrivano queste primissime immagini dal set.
Ghostbusters 3: tutto quello che sappiamo sul sequel
Dopo oltre vent’anni d’attesa stanno per tornare i Ghostbusters – Le speranze di milioni di fans appartenenti alle generazioni degli anni ’70-’80 sembrano finalmente concretizzarsi: dopo oltre vent’anni dal sequel sta per arrivare sul grande schermo Ghostbusters 3.
Le notizie in merito sono ancora scarne e il progetto più volte è stato sul punto di saltare, partendo proprio dalla messa in discussione del regista Ivan Reitman, il quale ha già diretto i primi due della saga e altri film noti al grande pubblico come: Animal House (suo grande esordio), “I due gemelli”, “Un poliziotto alle elementari”, “Sei giorni sette notti”, “Beethoven”, “Junior”, “Space Jam”, ecc. Poi confermato.
La sceneggiatura è stata affidata ancora alla coppia Gene Stupnitsky e Lee Eisenberg, i quali però hanno subito aspre critiche da colui che ha dato il volto al Dr. Peter Venkman (parapsicologo strambo e scettico dei primi due film): Bill Murray. Quest’ultimo ha infatti affermato che i due sceneggiatori hanno scritto un film orribile come “Year one” – lungometraggio super pubblicizzato dello scorso anno rivelatosi poi un flop – e dunque si è detto molto scettico sulla riuscita di un terzo film sui Ghostbusters.
Ghostbusters 3, una reale possibilità?
Ospite in una puntata del “Late Show”, famoso programma americano irriverente condotto da David Letterman, aveva già confessato che Ghostbusters 3 era il suo incubo e che avrebbe partecipato al film solo se Peter sarebbe morto subito nei primi minuti. Chissà, magari questa cruda ironia è anche un’anticipazione del film, e, stando ad altre indiscrezioni, forse davvero nel III episodio il personaggio di Peter sarà un fantasma.
Al di là dei dubbi e delle feroci critiche di Bill Murray – il cui ruolo resta comunque centrale dovendo interpretare uno degli acchiappafantasmi – a ridare speranze ai fan di questi ultimi ci hanno pensato gli altri due componenti del gruppo: Dan Aykroyd (che interpreta il Dr. Raymond Stantz, o più semplicemente Ray) e Harold Ramis (che interpreta il Dr. Egon Spengler, il cervellone della squadra). I due, che dall’ultimo Ghostbusters del 1989 hanno interpretato e diretto diversi film (separatamente), hanno infatti collaborato alla scrittura della sceneggiatura insieme a Stupnitsky e Eisenberg, e in alcune interviste sul progetto ne hanno parlato entusiasti.
Sempre secondo indiscrezioni, ci sarà anche il quarto Ghostbusters, Ernie Hudson, che interpreta Winston Zeddemore; ci saranno anche le due donne del film, Sigourney Weaver nei panni di Dana Barrett e Annie Potts nei panni della segretaria zitella Janine Melnitz. Gradito ritorno sulle scene quello di Rick Moranis, reduce da un ritiro durato ben tredici anni. Nel film originale, Moranis interpretava il vicino di casa di Sigourney Weaver, Louis Tilly, che tentava buffamente di rimorchiare. Ma in seguito alla morte della moglie, l’attore ha abbandonato quasi del tutto il cinema per concentrarsi sui suoi figli, rifiutando anche di tornare a doppiare il videogioco dei Ghostbusters uscito nel 2008.
Vecchi acchiappafantasmi
I vecchi acchiappafantasmi saranno affiancati da giovani leve; una mossa atta a rendere il film non solo un gradito amarcord per ventenni e trentenni, ma accattivante anche per gli under20. Nella trama figura infatti anche Oscar, che ricorderete nel secondo Ghostbusters essere il figlio di Dana; voci di corridoio danno scritturato per questo ruolo l’attore Michael Cera, brillante attore ventiduenne fattosi notare in “Juno”. Sempre secondi indiscrezioni, gli altri giovani dovrebbero essere le belle Eliza Dushku e Visualizza.
Ma veniamo alla trama, cercando di ricostruirla sempre con le poche indiscrezioni fin qui trapelate. Città scenario delle avventure apocalittiche dei Ghostbusters sarà ancora New York, “grande mela” che nel primo episodio ha dovuto subire le angherie del pur morbido ma cattivo omino mascotte dei Marshmallow preferiti da Ray, mentre nel secondo di Vigo il distruggitore sovrano terribile dei Carpazi in epoca medioevale.
Sotto un capannone della città si è generata una porta spazio-temporale che dà accesso ad un’infernale dimensione parallela. I Ghostbusters saranno dunque chiamati ad accedervi e salvare ancora una volta il Mondo. Ma essendo ormai invecchiati, lo faranno coadiuvati da nuove leve, a cui dovranno trasmettere i trucchi del mestieri. Peter dovrebbe essere morto ma darà il suo contributo (ironia della sorte) da fantasma; mentre Rey, darà soprattutto un contributo intellettuale avendo un ginocchio malconcio e non vedendoci più bene.
Conclusioni
Insomma, dalle scarne informazioni trapelate fin’ora, non ci è dato ancora sapere se questo terzo episodio soddisferà i fan dei Ghostbusters, i quali lo attendono da ormai troppo tempo e non ci speravano più. In effetti è passato troppo tempo da allora (ad oggi 21 anni) ma forse è anche un bene poiché il sequel del 1989 mostrava un’evidente inferiorità rispetto al primo episodio. Il film dovrebbe uscire nel 2012, ma avendo già aspettato ventun’anni, questi altri due anni di attesa passeranno in un lampo.
Captain America mostra i muscoli
Per la gioia dei fan, ma soprattutto delle fan di Capitan America, in esclusiva per voi alcune foto dal set del film del supereroe, la cui uscita è prevista nelle sale la prossima estate con il titolo “Captain America: The First Avengers”. Prima dicevamo “soprattutto delle fan”, giacché da una di queste foto – la seguente – è possibile apprezzare l’attore Chris Evans (che interpreta il supereroe) in splendida forma e con un fisico invidiabile:
Lanterna verde: il supereroe DC interpretato da Ryan Reynolds
Sul grande schermo sta per approdare un altro supereroe: Lanterna verde Dopo i successi pluridecennali di Superman, Batman, Spiderman, o più recenti come quelli di X-Men, I Fantastici 4 e Iron Man, sul grande schermo sta per approdare anche “Green lantern” (Lanterna verde). L’uscita è prevista per il 17 giugno 2011.
Lanterna verde è un
personaggio dei fumetti creato nel 1940 dal genio di Martin Nodell
e Bill Finger per la Dc Comics (numero 16 di “All
american comics). Il fumetto si basa sulla storia del corpo di
polizia spaziale denominato “Il Corpo delle Lanterne verdi”, che ha
il compito di mantenere l’ordine nell’universo e di fronteggiare i
pericoli che ne minacciano l’esistenza. Fondato dal popolo di
immortali che vive sul Pianeta Oa, prende il posto del precedente
organo di controllo, un gruppo di automi denominato “Manhunters”
che ad un certo punto si è ribellato ai Guardiani. Da questa
scissione è nata un’accesa guerra che coinvolge
l’intero universo; il quale nella storia è diviso in settori,
ognuno con propri pianeti membri.
Ogni volta che una Lanterna verde si ritira o perisce, l’anello sonda il Pianeta abitato più vicino alla ricerca di un essere con la determinazione, il coraggio e l’immaginazione necessarie per sfruttare il potere di tale arma. E qui subentra la trama del film: il lungometraggio racconterà di fatto come Hal Jordan sia diventato il primo terrestre a vestire il manto di Lanterna verde del settore 2814, quello in cui è inclusa la Terra, diventando dunque “Green lantern”. Successivamente la sceneggiatura sposta il proprio focus sul corpo delle Lanterne verdi.
Hal Jordan dovrà vedersela con i cattivi Legion e Sinestro. La sua divisa, come da fumetto, è nero-verde. Come tutti i superpoteri, anche quelli prodotti dall’anello hanno però un loro punto debole: il loro potere perde infatti di efficacia contro particolari oggetti.
Il film, prodotto da Warner Bros. e DC Comics – la cui sceneggiatura è stata scritta a “sei mani” da Greg Berlanti, Marc Guggenheim e Michael Green – è diretto da Martin Campbell. Quest’ultimo, neozelandese, vanta all’attivo 15 film e una carriera quasi quarantennale (iniziata nel 1973). Sebbene abbia diretto anche film “impegnati” che raccontano gli orrori delle guerre in Africa, Cambogia e Cecenia, è passato agli onori della cronaca per i due film dedicati a Zorro (“La maschera di Zorro” del 1998 e “La leggenda di Zorro” del 2005) e a James Bond (“007 Goldeneye” del 1996 e “Casino Royale” del 2007).
Nel cast figurano il trentaquattrenne Ryan Reynolds – da poco approdato al Cinema come protagonista di un altro film di successo, “Buried” (Sepolto) – che interpreta Hal Jordan; la bionda Blake Lively che interpreta Carol Ferris; Peter Sarsgaard, già protagonista, tra gli altri, di “Lezioni d’amore” e “Orphan” interpreta il supercriminale Hector Hammond; Mark Strong, (all’anagrafe Marco Giuseppe Salussolia”), scritturato di recente in “Sherlock Holmes” e “Robin Hood” interpreta la lanterna rinnegata Sinestro. Nel cast presenti anche Tim Robbins, attore intenso che spicca in molti film tra cui “Le ali della libertà” e “Mystic River”, e, infine, la brava e sensuale Angela Bassett.
Maggiori informazioni nello nostro speciale.
Transformers: Dark of the Moon
Il terzo episodio dei Transformers, intitolato “Transformers: Dark of the Moon” e annunciato per il primo luglio 2011 in 2D e 3D, comincia ad avere anche qualche immagine. Grazie ad un’esclusiva dell’Entertainment tonight, è infatti possibile visionare un video del backstage del film realizzato durante le riprese a Chicago.
Il cinema di Oliver Stone
Oliver Stone è tra i pilastri della cinematografia americana: regista pluripremiato, ma anche capace di suscitare coi suoi film aspre controversie e dibattiti. La sua produzione è ricca – documentari, film, sceneggiature – e le sue esperienze di vita gli hanno spesso fornito spunti per le opere cinematografiche. Ma, andiamo per ordine.
William Oliver Stone nasce a New York il 15 settembre 1946, figlio di un agente di borsa ebreo e di una francese. Si iscrive all’università di Yale nel ’64, ma l’anno dopo la abbandona e parte alla volta del Vietnam, dove insegna inglese. Tornato in patria, nel ’67 si arruola nell’esercito e presta servizio militare proprio in Vietnam. La sua esperienza della guerra inizia il giorno dopo il suo 21° compleanno e termina nel novembre ’68. Il giovane Oliver Stone è ferito due volte e si guadagna due medaglie sul campo. Questa esperienza lo segnerà profondamente e lascerà una marcata impronta sul suo cinema. Al ritorno in patria, Oliver Stone riesce infatti ad elaborare il trauma dell’esperienza vietnamita proprio dedicandosi al cinema. Si forma alla New York University Film School, dove ha tra i suoi insegnanti Martin Scorsese. I primi frutti del lavoro svolto vedono la luce nel ’74 con l’horror “Seizure” e con il cortometraggio “One Year in Viet Nam”. Nel ’76 si trasferisce a Hollywood e inizia la sua attività come sceneggiatore, facendosi subito notare con l’adattamento cinematografico di “Fuga di Mezzanotte”, che gli vale il Premio Oscar per la sceneggiatura e segna la sua affermazione in questo campo. Seguono, nei primi anni ’80, altre sceneggiature importanti: su tutte “Scarface” di Brian De Palma (1983) e “L’anno del dragone” di Michael Cimino (1985). Nel frattempo, Oliver Stone continua il suo lavoro di regista: prima con il thriller “La mano” (1981) e poi con “Salvador” (1986), pellicola con James Woods sulla guerra in Salvador.
La produzione successiva del regista americano verte su quattro grandi temi, che mostrano il suo attaccamento all’America, la sua passione per i temi caldi della storia del paese, la sua finalità etica e il suo amore per la magniloquenza espressiva. Oliver Stone si occupa di Vietnam con una trilogia che comprende “Platoon” (1986), “Nato il quattro luglio” (1989) e “Tra cielo e terra” (1993). Si dedica poi ai presidenti Usa con “JFK – Un caso ancora aperto” (1991), “Gli intrighi del potere – Nixon” (1995) e “W.” (2008). Ha poi a cuore il tema del ruolo dei mass media nella società e il loro rapporto con la violenza, di cui si occupa in “Talk Radio” (1988) e in “Assassini nati” (1994). Infine, altro tema a lui caro è quello dei meccanismi che governano il mondo della finanza e le loro distorsioni, oggetto di “Wall Street” (1987) e “Wall Street – Il denaro non dorme mai” (2010).
Per quel che riguarda i film sul Vietnam, i più significativi sono senza dubbio i primi due. La fama internazionale come regista arriva infatti nel 1986 con “Platoon”, considerato tra le migliori pellicole sulla guerra del Vietnam, insieme ad “Apocalypse now” di Coppola e “Full metal jacket” di Kubrick. L’opera ottiene 7 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior regia. In parte ispirata dall’esperienza personale del regista, la pellicola mostra le vicende di un plotone in Vietnam, protagonisti Charlie Sheen nei panni del giovane volontario, Tom Berenger in quelli del sergente senza scrupoli e Willem Defoe nel ruolo del sergente con scrupoli. Racconta un Vietnam senza filtri, per ciò che è stato, per come il regista stesso l’ha vissuto, e ne evidenzia l’assurdità, di cui la perdita di riferimenti e valori è conseguenza. Tre anni dopo arriva “Nato il quattro luglio”, ovvero, illusione e disillusione del giovane Ron Kovic (Tom Cruise) che, arruolatosi nell’esercito animato da autentico spirito patriottico, in Vietnam sperimenta l’orrore e l’abiezione umana. Tornato in patria su una sedia a rotelle si scontra con l’indifferenza di un’America che, dopo averli mandati a morire, non si cura dei suoi reduci, per non essere costretta a guardare in faccia la sconfitta subìta. Kovic sopravviverà a tutto questo trovando un altro ideale per cui combattere, non con le armi: quello pacifista. Il film, ispirato alla vera storia di Ron Kovic, è condotto in maniera appassionata da Stone e attira su di lui le prime critiche negative da parte dell’estabilishment, ma gli vale il secondo Oscar alla regia.
In quella che potremmo definire una “trilogia sui presidenti” è notevole il primo film: il discusso “JFK”. Il dibattito è molto acceso, trattandosi di una delle pagine più oscure della storia americana. Stone sfodera un cast assai corposo, con Kevin Costner protagonista nel ruolo del procuratore Garrison – ma ci sono anche Kevin Bacon, Donald Sutherland, Gary Oldman, Jack Lemmon, Walter Matthau. E si impegna in una ricostruzione minuziosa dell’intera vicenda dell’omicidio di John Kennedy, con piglio d’inchiesta. Ma soprattutto, ancora una volta, ci mette la faccia, si espone, si appassiona, sostenendo apertamente la tesi del complotto, in contrasto con le conclusioni raggiunte dall’inchiesta ufficiale, che avevano individuato Lee Oswald come unico responsabile. Il film dunque divide e ha senz’altro il merito di portare alla luce le incongruenze della versione ufficiale. Qui inoltre, Stone fa uso di pellicole di diverso tipo, utilizza colore e bianconero, altra caratteristica del suo cinema. La pellicola ottiene tre premi Oscar per fotografia e montaggio. Da ricordare, quattro anni dopo, il film su Nixon, altra figura controversa della storia americana recente (il presidente dello scandalo Watergate). Per l’occasione dirige Anthony Hopkins, dando anche qui un’interpretazione controcorrente dell’uomo politico: al centro di intrighi e vittima delle proprie debolezze, ma a cui Stone ascrive qualche merito e alcune qualità, sforzandosi di evitare riduzioni troppo semplicistiche.
Non solo la politica, però, è sinonimo di potere. Lo sono anche, a loro modo, i mezzi di comunicazione, sebbene in maniera più subdola e sottile. Stone ne aveva indagato i meccanismi fin dal 1988, con Talk Radio, sempre con un occhio al rapporto tra questi e la collettività e tra questi e violenza. Torna a farlo nel ‘94, su soggetto di Quentin Tarantino, e ne nasce “Assassini nati”. Protagonisti una coppia di pluriomicidi (Juliette Lewis e Woody Harrelson), i cui crimini vengono spettacolarizzati da Tv e media dagli scarsi scrupoli. Nel film convivono l’aspetto splatter – la ferocia, il sangue che scorre a fiumi – e la critica all’”intellighenzia” dei media, che danno inopinatamente popolarità ai due criminali. Il tutto è presentato in una veste nuova, che mescola linguaggi visivi disparati, alterna colore e bianconero, utilizza la chiave grottesca e parodica, in un turbinio delirante che fagocita lo spettatore. Accompagnano il film polemiche inesauribili (a partire da Tarantino, che accusa Stone di aver stravolto a tal punto il suo soggetto da non voler comparire nei credits del film) riguardoalla spettacolarizzazione della violenza e se sia corretto o meno esporla per criticarla, soprattutto perché si pensa che gli aspetti di critica non vengano colti dal pubblico più giovane. Il film finirà per essere vietato ai minori di 14 anni in molti paesi, ai minori di 18 in qualche caso.
Infine, il capitolo finanziario della filmografia del nostro si apre nell’87 con Wall Street. L’argomento, ben conosciuto da Stone, essendo il padre agente di borsa a Wall Street, gli ispira questa pellicola, nella quale Michael Douglas interpreta lo squalo della finanza Gordon Gekko, facendo incetta di premi: Oscar, Golden Globe, Nastro d’Argento e David di Donatello. Accanto a lui nei panni del giovane compagno di malefatte Charlie Sheen. Anche questo potrebbe essere semplicisticamente definito come un film a tesi, che si scaglia con furore contro le storture del mondo finanziario americano, i danni generati da un capitalismo distorto e malato, le speculazioni e l’avidità. Il personaggio di Douglas è però indubbiamente affascinante nella sua spregiudicatezza cinica e vincente, così come poi, nell’epilogo, nell’affrontare la giusta punizione per quella spregiudicatezza. Stone trattava il tema allora, a ridosso del crollo delle borse e torna a farlo adesso, dopo la crisi finanziaria più pesante dal ’29, sempre con Gekko/Douglas, affiancato stavolta da Shia LaBeouf, nei panni del giovane broker in Wall Street-Il denaro non dorme mai.
Il nostro vulcanico regista non si è fatto mancare, poi, pellicole che esulano dalla categorizzazione fin qui esposta, come “The Doors” (1991), in cui ripercorre la storia del gruppo rock americano e la vicenda umana del suo leader, Jim Morrison, anch’esso amato e odiato, considerato da alcuni il miglior tributo possibile alla figura di Morrison (Val Kilmer), da altri un film riduttivo, che scivola nello stereotipo della rock star maledetta e dissoluta per far presa sul pubblico senza rendere giustizia al genio creativo e alla sensibilità di Jim. Gli ex membri dei Doors, tra i secondi, presero decisamente le distanze dal film.
Nel ’99 ha diretto Al Pacino nel fortunato “Ogni maledetta domenica”, nel 2004 ha realizzato “Alexander”, sulla figura di Alessandro Magno, esplorandone le contraddizioni. Nel 2006 è tornato a parlare della sua America con “World Trade Centre”, omaggio alle vittime dell’11 settembre. Da segnalare anche la sua opera di documentarista, concretizzatasi soprattutto negli ultimi anni, con due documentari su Fidel Castro, “Comandante” (2003) e “Looking for Fidel” (2004) e uno sul presidente venezuelano Chavez, “South of the border” (2009).
Labyrinth: recensione del film con David Bowie
Labyrinth è il film fantasy del 1986 di Jim Henson con David Bowie, Jennifer Connelly, Frank Oz, Warwick Davis, Shelley Thomposn e Toby Froud.
- Anno: 1986
- Regia: Jim Henson
- Cast: David Bowie (Jareth), Jennifer Connelly (Sarah), Frank Oz (il saggio), Warwick Davis (Goblin), Shelley Thompson (matrigna), Toby Froud (Toby)
Labyrinth trama
Sarah, adolescente sognatrice e un po’ ribelle, vive in un mondo tutto suo fatto di fiabe e balocchi, digerendo male il nuovo matrimonio del padre e la nascita del fratellino minore.
Una sera, costretta dal padre e dalla matrigna a badare al fratellino, si ribella al suo destino, raccontando al piccolo che non vuole addormentarsi la storia di una ragazza che chiese aiuto al Re degli Gnomi, Jareth, per non dover badare ad un pargolo viziato e farlo rapire. Così accade anche nella realtà e Jareth rapisce il piccolo Toby: Sarah, disperata, lo sfida, decidendo di sfidare il labirinto della città di Goblin entro dodici ore per poterlo riportare a casa.
Sulla sua strada incontrerà gnomi ed elfi buoni e cattivi, come il prode sir Didymus e il timido Bubo, per recuperare il fratellino e nello stesso tempo per crescere senza dimenticare i suoi sogni.
Labyrinth il fantasy che divenne cult
Fiaba con più livelli di lettura, Labyrinth presenta una delle prove più amate e popolari di David Bowie come attore, affascinante e inquietante nel ruolo di Jareth e consacra la quasi esordiente Jennifer Connelly, già ragazzina che dialogava con gli insetti per Dario Argento in Phenomena, nella parte di Sarah, divisa tra realtà e fantasia, infanzia e età adulta, prime pulsioni sensuali e voglia di rimanere in mezzo ai sogni, come è simboleggiato dall’onirica e disturbante sequenza del ballo a palazzo.
Arricchito da una serie di creature magiche non generate dal computer e basate sulle leggende popolari anglosassoni e sull’opera dell’artista Brian Froud, che al Piccolo Popolo ha dedicato varie opere, Labyrinth è una fiaba di iniziazione all’età adulta, la storia della ricerca e del salvataggio di qualcosa di prezioso, morale ma senza facili moralismi, dove Sarah, la protagonista, rievoca Alice e Dorothy del Mago di Oz in una chiave più moderna, all’interno delle famiglie disgregate e allargate in cui gelosia e disorientamento possono obiettivamente farla da padrone e in cui la fantasia e il chiudersi in se stessi possono sembrare le uniche strade, in un momento storico in cui tra l’altro il computer con gli annessi e connessi non avevano ancora lo spazio di oggi.
L’accettazione del diverso, la lotta contro il destino ineluttabile imposto da Jareth, una ricerca di un nuovo sé che non rinneghi il precedente ma lo migliori sono tutte tematiche del film, in cui Sarah diventa amica di gnomi ed elfi anche brutti e deformi, si oppone alle ingiustizie in fondo provocate da lei perché non ha saputo dosare le parole e ha provocato qualcosa che non doveva succedere, cerca una nuova identità di se stessa in cui però sono ancora importanti i sogni, dei quali non bisogna essere schiavi (emblematica a questo proposito la scena con la vecchietta degli stracci), ma che possono aiutare a vivere meglio. In fondo Sarah riesce nel suo intento grazie ad uno dei suoi libri preferiti e nel finale è chiaro che lei ha e avrà sempre bisogno della sua fantasia, per riempire una vita che potrebbe altrimenti diventare insopportabile.
Sotto sotto si potrebbe anche vedere una velata critica al consumismo occidentale che ha riempito le nostre case di oggetti spesso futili ma assurti al livello di totem: certo che la cameretta di Sarah ha riempito non poco i sogni delle sue coetanee dell’epoca, tra romanticismo e peluches, specchi magici e libri, tra cui si vede una rara edizione inglese di Biancaneve e i sette nani ispirata al capolavoro di Walt Disney.
Molto amato dall’autrice di manga dark Kaori Yuki, che l’ha citato nel suo Angel Sanctuary, cult anni Ottanta poi sparito per anni dai nostri schermi per poi tornare di recente grazie ad una buona edizione in dvd, Labyrinth è un film da vedere o rivedere, come fiaba iniziatica o anche semplicemente come oggetto di nostalgia di un decennio che ormai sembra remoto, in cui il cinema di genere fantastico forse era meno schiavo degli effetti speciali di oggi e attingeva al folklore e alle fiabe tradizionali, creando storie interessanti e intriganti, capaci di essere universali ancora oggi.
Lady Hawke, il film culto di Richard Donner
Lady Hawke è il film del 1985 diretto da Richard Donner e con protagonisti Rutger Hauer (Etienne Navarre), Michelle Pfeiffer (Isabeau), Matthew Broderick (Philippe), Leo Mc Kern (Imperius) e John Wood (vescovo).
Lady Hawke, la trama
Francia, Medio Evo: il ladruncolo Philippe scappa dalle prigioni del temibile vescovo di Aguillon e si addentra fuori dalle mura, incontrando il misterioso e taciturno cavaliere Navarre, accompagnato da un falco, che gli salva la vita. Unitosi a lui un po’ per riconoscenza un po’ perché non sa dove andare, Philippe comincia ad intuire che c’è qualcosa di strano nel suo salvatore, oltre la sua evidente ribellione contro l’autorità del Vescovo, soprattutto quando di notte Navarre scompare ed appare una bellissima donna, Isabeau, accompagnata da un fedele lupo.
Sarà Imperius, un monaco eremita presso il quale si rifugierà con Navarre a raccontargli tutta la storia, quella di Navarre ed Isabeau, il cui amore è stato distrutto dai riti malefici del vescovo, che ha condannato entrambi a diventare lei di giorno un falco e lui di notte un lupo, senza potersi mai incontrare, finché ci saranno giorni e notti, finché sarà dato a loro di vivere. Mentre Navarre decide di affrontare definitivamente il Vescovo, Imperius con Philippe scoprono che forse c’è un modo davvero per mettere fine alla maledizione e permettere ai due amanti di poter vivere insieme felici e contenti…
Lady Hawke, l’analisi
Girato tra i dintorni di Parma, Piacenza, Cremona, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e a Campo Imperatore, in provincia dell’Aquila, oggi duramente colpita dal terremoto del 2009, Lady Hawke è una fiaba in costume medievale, con toni da filmone storico, passione, amore, dramma, violenza, duelli e la scelta di assurgere ad eroi di tutto gli outsider, un ragazzo che vive di furti, un cavaliere di ventura rinnegato e desideroso di portare avanti la sua vendetta e un eremita che ha rinunciato ai fasti di una posizione all’interno della Chiesa dell’epoca, le cui gerarchie sono simbolo di corruzione e di ogni tipo di nefandezze.
Non c’è poi nessun tipo di critica sociale o alla Chiesa, e tutto si svolge in un’avventura colorata ed avvincente, tra panorami mozzafiato non ritoccati al computer, antichi borghi con fortezze e chiese, per una storia d’avventura e di magia, più vicina a certi film in costume che al fantasy vero e proprio salvo che per le tematiche di fondo, indubbiamente fantasiose, ma non per questo meno affascinante e intrigante, sfruttando anche il topos antichissimo delle trasformazioni in animali, qui subite ma non scelte.
Bella anche la scelta
di sceneggiatura di far scoprire tutto dagli occhi di Philippe,
ragazzo meno che comune, vicino probabilmente a molti dei suoi
spettatori, che rimarrà coinvolto dalla vicenda, arrivando fino in
fondo e alla fine si allontanerà con il nuovo amico Imperius,
promettendosi di scassinare la porta del Paradiso, per tornare alla
sua vita di sempre, dopo essere stato eroe per qualche giorno.
Matthew Broderick, allora uno degli attori giovani più popolari dopo il cult protoinformatico Wargames è un ottimo Philippe, e la coppia dei due amanti maledetti, interpretata dal Rutger Hauer ex replicante di Blade Runner allora in piena forma e da Michelle Pfeiffer che con questo film si affermò presso il grande pubblico, sa far sognare, coinvolgere e commuovere, facendo anche perdonare il finale da teleromanzo ma alla fine catartico e liberatorio. Ci va, insomma.
Tra i comprimari, dove ci sono parecchi nomi italiani così come nello staff tecnico, spiccano anche i caratteristi John Wood, perfido vescovo, e Leo Mc Kern, caratterista del cinema britannico in decine di film, qui forse in una delle sue più riuscite interpretazioni, a rappresentare il bene disarmato degli animi semplici contrapposto al male del potere.
Molti anni prima del boom del fantasy Lady Hawke seppe raccontare una fiaba per adulti mescolando realtà e magia con sapienza e gusto dello spettacolo: le numerose repliche televisive l’hanno reso uno dei film spesso più visti non solo dai cultori del genere, ma si tratta comunque di un classico da vedere e rivedere, emblema di un cinema che sa parlare di immaginazione e fantasia pur essendo molto realistico, lasciando al minimo gli effetti speciali per narrare una storia magica e eterna come dovrebbero essere le fiabe.
Flash of genius, il film di Marc Abraham
FLASH OF GENIUS di Marc Abraham, USA/Canada 2008
Tratto da una storia
vera, il film propone un ritratto cinico della New York degli anni
’60, del potere delle sue major e degli uomini che ne muovono i
fili. Basato sull’invenzione del tergicristallo automatizzato
mostra come le grandi società di un tempo si sapevano muovere senza
scrupoli assimilando quanto più possibile, distruggendo la
concorrenza e qualunque altra piccola goccia non rientrasse nel
loro oceano.
Robert Kearns, professore universitario cieco da un occhio, dopo una geniale intuizione come il funzionamento di un tergicristallo automatizzato, riesce a proporre il suo brevetto alla grande azienda della Ford. Truffato e derubato della sua idea la multinazionale lancia sul mercato il suo prodotto senza che Kearns abbia il benché minimo merito.
Da qui in poi inizia una lotta legale senza precedenti per inseguire un ideale e ottenere giustizia, per un qualcosa che va al di là dei soldi e dell’aspetto economico, per un qualcosa di più grande. Opera prima (e fin’ora unica) per Marc Abraham molto più noto per la sua proficua attività di produzione (Air Force One e Spy Game solo per citarne alcuni) che per questo progetto dirige un cast di attori non di primissimo piano.
Protagonista Greg
Kinnear che vanta un ampio curriculum ma che ancora non è
riuscito ad ottenere ruoli che lo rendano riconoscibile allo
spettatore medio (“casa nostra” parlando), e che ha offerto le
migliori interpretazioni in
Qualcosa è cambiato (che gli valse
una nomination agli Oscar) e in
Little miss sunshine. In questo caso
si cimenta di nuovo in un film dal tono documentaristico come già
successo nel meno recente Fast food nation, per un ruolo che oramai
sembra essergli stato cucito addosso. Gli altri ruoli sono stati
affidati a Lauren Graham (Lorelai Gilmore in Una mamma
per amica), Dermont Mulroney (Il
matrimonio del mio migliore amico) e Mitch Pileggi
(il vicedirettore Skinner in
X-Files).
Flash of genius, il film di Marc Abraham
Nel complesso il film è senz’altro buono e interessante, anche se si possono incontrare diversi punti lenti ma inevitabili visto che si tratta di una storia realmente accaduta che cerca di ripercorrere passo per passo gli eventi accaduti.
Risultato mediocre ai botteghini americani e un rapido quanto invisibile passaggio in Italia per un film che difficilmente riesce a coinvolgere il pubblico e che trova persino difficoltà a trovare un pubblico a cui rivolgersi. Rimane comunque un film che offre diversi spunti di riflessione sulla società di allora e su quella odierna proponendosi come strumento per poterle paragonare e farsi qualche domanda.
Tokyo Godfathers: recensione del film d’animazione
La recensione del film d’animazione Tokyo Godfathers diretto da Satoshi Kon con le voci di Angelo Nicotra (Gin), Letizia Scifoni (Miyuki), Sergio di Stefano (Hana), Eleonora de Angelis (Sakiko).
Tre senzatetto di Tokyo, Gin, un alcolizzato che ha perso famiglia e lavoro, Hana, un transgender, e Miyuki, ragazzina fuggita di casa, trovano la notte di Natale una neonata abbandonata. Gin e Miyuki vorrebbero andare alla polizia, ma Hana insiste per tenere la piccola, e tutti e tre insieme inizieranno a vagare per Tokyo e dintorni, tra Natale e Capodanno, per ritrovare la vera madre della piccola, tra bande di yakuza, immigrati, depressione degli abitanti sotto le feste, facendo anche i conti con il loro passato che li ha portati, sia pure partendo da premesse diverse, a scegliere la strada.
Sinossi:
Tre senzatetto di Tokyo, Gin, un alcolizzato che ha perso famiglia e lavoro, Hana, un transgender, e Miyuki, ragazzina fuggita di casa, trovano la notte di Natale una neonata abbandonata. Gin e Miyuki vorrebbero andare alla polizia, ma Hana insiste per tenere la piccola, e tutti e tre insieme inizieranno a vagare per Tokyo e dintorni, tra Natale e Capodanno, per ritrovare la vera madre della piccola, tra bande di yakuza, immigrati, depressione degli abitanti sotto le feste, facendo anche i conti con il loro passato che li ha portati, sia pure partendo da premesse diverse, a scegliere la strada.
Tokyo Godfathers: recensione del film d’animazione
Satoshi Kon, regista nipponico scomparso di recente a soli 47 anni stroncato da un male incurabile, preferiva nelle sue opere d’animazione mescolare realtà e fantasia, atmosfere oniriche e cambi di prospettiva temporale, con risultati anche molto intriganti.
Qui invece sceglie di raccontare una favola natalizia urbana, non dimenticando uno spaccato anche molto crudo e duro di realtà, riuscendo a creare quello che può essere considerato il suo film più riuscito se non il suo capolavoro, senza sbavature fantasiose ma riuscendo a raccontare appunto una fiaba moderna con toni che possono rievocare sia Frank Capra che Vittorio De Sica.
Si può scomodare il classico western In nome di Dio di John Ford con John Wayne, che presentava una storia analoga, ma Tokyo Godfathers vuole lanciare anche uno sguardo disincantato sul Giappone contemporaneo, consumistico e che vuole nascondere le realtà scomode, argomento questo praticamente mai trattato nei manga e negli anime che preferiscono rifugiarsi in realtà parallele, a volte anche non idilliache (basti pensare alla Tokyo futuribile di Akira di Katsuhiro Otomo e al mondo distrutto dalla guerra atomica di Ken il guerriero di Tetsuo Hara e Buronson), ma che difficilmente si interroga sulla società giapponese di oggi.
Con i tre antieroi di questa vicenda, un’adolescente ribelle scappata di casa, in una società in cui ci si chiude invece in casa se non si accetta il mondo fuori, un transgender in un mondo in cui il transessualismo e il travestitismo è bene accetto solo appunto nei manga, e un alcolista che ha perso tutto, dramma non solo nipponico, si scopre il Giappone di oggi, in cui convivono suggestioni occidentali e orientali, in cui la yakuza ha un potere sempre più grande, in cui ci sono sempre più abitanti immigrati che non vengono considerati pur producendo ricchezza e dando servizi, e in cui soprattutto ci si dimentica degli esclusi locali, i senzatetto, totalmente invisibili nelle inchieste e ormai massicciamente presenti anche nelle vie nipponiche così come a Londra, Parigi, New York o Milano, dove però esistono progetti per loro e anche un minimo di considerazione in più.
Le nuove povertà sono quindi un argomento importante in un film che vuole essere una fiaba morale ma non moralista, dove alla fine, tra mille peripezie si può riprovare a ritrovare se stessi e una propria strada, non più per strada, per i tre antieroi di questa epopea urbana, in cerca in definitiva di se stessi e di un nuovo senso da dare alla propria vita.
In Italia Tokyo Godfathers ha avuto una limitata diffusione al cinema, prima di approdare al mercato dell’home video, non riuscendo nemmeno questa volta a superare gli stereotipi che vedono l’animazione giapponese come commerciale, dozzinale, poco interessante per i contenuti e che non merita la diffusione nelle sale dell’ultimo Disney, magari fatto tutto in tridimensionale al computer.
Sia per chi segue manga ed anime e sa che non sono solo commerciali e dozzinali, sia per chi vuole cercare nuove strade di raccontare storie reali a fronte appunto di un appiattimento del cinema d’animazione d’oltre oceano verso lì sì la vendita dell’ultimo Happy Meal e dell’ultimo videogioco della Playstation, Tokyo Godfathers è senz’altro un film da scoprire e riscoprire, che dimostra come l’animazione non è e deve essere solo un genere per storielle per bambini, ma un mezzo per raccontare storie a tutto tondo.