Gérard Depardieu è
senz’altro uno dei più stimati attori europei. In quarantacinque
anni di carriera (il debutto a soli 17 anni, nel 1965) ha
partecipato a più di cento film e opere per la televisione,
lavorando con i più grandi registi francesi, con molti cineasti
italiani e facendosi apprezzare anche in America. Nel tracciarne un
profilo umano e professionale, dunque, non possiamo che intervenire
per sottrazione, concentrandoci sui lavori-cardine della sua
carriera, che ne hanno prima accresciuto e poi consolidato la fama
mondiale.
Nato a Châteauroux il 27 dicembre
1948 da una famiglia di modesta estrazione sociale,
Gérard Depardieu a 12 anni la abbandona,
insieme alla scuola, per girare l’Europa in cerca di fortuna,
vivendo d’espedienti. Scopre il mondo della recitazione grazie a un
amico e nel ‘65 esordisce al cinema in Le Beatnik et le
Minet. Ma la prima prova importante è, nel ’73, la
trasposizione cinematografica del romanzo di Bertrand Blier I
due balordi che al cinema, per la regia dello stesso Blier,
diventa I santissimi: Depardieu (Jean-Claude) è un giovane
emarginato, protagonista assieme al suo amico Pierrot (Patrick
Dewaere) di scorribande e malefatte con cui terrorizza la
cittadinanza francese. Grazie a questa pellicola, registi francesi
di maggior peso lo notano.
Nel ’74 lo vuole Alain
Resnais per una piccola parte in Stravinsky il grande
truffatore, accanto a Jean Paul Belmondo. Due anni dopo è sul
set di Maîtresse di Barbet Shroeder. La sua fama comincia
così a circolare a livello internazionale, e arriva anche in
Italia. Marco Ferreri sceglie il corpulento attore francese per il
suo L’ultima donna (1976) dove, in coppia
con Ornella Muti, dà vita a un amaro dramma che
riflette sull’alienazione nella società e nella famiglia. A credere
nelle potenzialità espressive e nel talento di Depardieu è anche
Bernardo Bertolucci, che lo rende protagonista del suo excursus
storico-sociale sull’Italia del secolo scorso in Novecento Atto
I e Atto II. Qui seguiamo le vicende di Olmo Dalcò
(Gérard Depardieu), figlio di contadini a servizio
della famiglia Berlinghieri, e Alfredo Berlinghieri (Robert
De Niro), figlio del padrone. Dopo un’infanzia trascorsa
insieme, vivranno le due guerre e le differenze sociali li
divideranno. In quest’occasione, Depardieu fa parte di un nutrito
cast internazionale, che vede tra gli altri Burt Lancaster
e Donald Sutherland. Ma la sua interpretazione
dell’orgoglio contadino non ha nulla da invidiare a quelle dei suoi
colleghi più blasonati. Anzi, i lineamenti marcati, il fisico
massiccio e la sua intensità espressiva risultano quanto mai
efficaci e adatti per il ruolo. Nel ’77 Depardieu torna ad essere
diretto da Blier in Preparate i fazzoletti, dove
interpreta Raoul in un triangolo amoroso che lo vede insieme con
Carol Laure (la moglie) e Patrick Dewaere
(l’amante), cui s’aggiunge un adolescente appena 13enne dal quale
la donna avrà un figlio. La pellicola ottiene l’Oscar come miglior
film straniero nel ’78. Lo stesso anno lo vede di nuovo diretto da
registi nostrani: ritrova Ferreri in Ciao
maschio, dove recita al fianco di Marcello
Mastroianni. E’ poi diretto da Comencini ne L’ingorgo.
Una storia impossibile e da Monicelli in
Temporale Rosy, dove rivela un sorprendente talento comico
nel ruolo dell’ex pugile Raoul, alle prese con una storia d’amore
con una campionessa di catch.
La definitiva consacrazione arriva
però in patria, con le pellicole dirette dal maestro della Nouvelle
Vague François Truffaut: L’ultimo metrò
(1980) e La signora della porta accanto (1981). Nel primo,
Gérard Depardieu interpreta l’attore Bernard
Granger accanto a Catherine Deneuve (Marion),
attrice che gestisce un teatro nella Francia del ’42. Il film è una
riflessione su diverse tematiche: l’arte e la sua opportunità in
tempi straordinari come quelli di guerra; il rapporto tra realtà e
finzione; l’omosessualità. Per l’interpretazione di Bernard,
Depardieu ottiene il César come miglior attore. La seconda
pellicola è invece una tormentata storia d’amore, che lo vede
protagonista assieme a Fanny Ardant: i due, che hanno avuto una
relazione, si ritrovano vicini di casa dopo otto anni, ormai
sposati con i rispettivi coniugi, e riprendono a frequentarsi.
Entrambi perfetti nell’interpretare un amore che diventa ossessione
e malattia. Nell’82 l’attore francese si aggiudica due National
Society of Film Critics Awards con Il ritorno di Martin
Guerre di Daniel Vigne e con Danton di Andrzej Wajda.
Tre anni dopo, la sua interpretazione del commissario Margin nel
film di Maurice Pialat Police gli vale la Coppa Volpi come
miglior attore al Festival di Venezia. Nell’’87 lavora
ancora con Pialat in Sotto il sole di Satana, che viene
premiato con la Palma d’Oro al Festival
di Cannes come miglior film.
Nel ’90 Depardieu offre una delle
sue interpretazioni migliori in Cyrano de Bergerac di
Jean-Paul Rappeneau, prestando al personaggio non solo il naso
importante e la corporatura massiccia, ma anche la vivacità e la
forza espressiva. Puntuali arrivano i riconoscimenti: il César e la
Palma d’Oro a
Cannes come miglior attore e anche una nomination
all’Oscar. Lo stesso anno vede la sua consacrazione oltreoceano con
Green Card-Matrimonio di convenienza, diretto da
Peter Weir, in cui recita accanto a Andie Mc
Dowell e ottiene il Golden Globe. Tornerà in America in più
occasioni. Gli anni ’90 lo vedono anche approdare di nuovo al
cinema italiano. Interpreta per Tornatore lo
scrittore Onoff nell’incubo kafkiano Una pura
formalità, dove recita accanto a Roman
Polanski e a un giovane Sergio Rubini.
Poi torna in patria, dove troverà un buon riscontro di pubblico,
grazie alla sua interpretazione di Obelix nella saga di
Asterix, con Roberto
Benigni.
Nel 2000 impreziosisce con il suo
personaggio la riuscitissima pellicola di Francis
Veber L’apparenza inganna,
protagonista Daniel Auteil, nei panni di
Francois Pignon, dipendente di una fabbrica di
preservativi, che si finge omosessuale per evitare il
licenziamento. Gérard Depardieu veste i panni di
Felix Santini, collega macho e acerrimo nemico di Pignon, che si
troverà a fare i conti con la sua parte femminile. Ancora una volta
qui l’attore dimostra di riuscire benissimo anche in ruoli dai
risvolti comici e ironici. Veber proverà a bissare il successo nel
2003, affiancando stavolta a Gérard Depardieu Jean
Renò in Sta zitto… non rompere, una
rocambolesca commedia dal risultato però meno convincente. L’anno
dopo lo ritroviamo accanto ad Auteil nel poliziesco 36 Quai des
Orfévres, pellicola di buon successo, premiata anche al
Festival del Noir di Courmayeur. Un altro
poliziesco lo porta a lavorare con il regista Claude
Chabrol: interpreta infatti il commissario Bellamy
nell’omonima pellicola del 2009. Ed arriviamo così ad oggi. Sono
infatti in questi giorni nelle sale italiane Potiche –
La bella statuina di François Ozon,
che lo vede di nuovo al fianco di Catherine
Deneuve, e Mammuth di Benoît
Delépine e Gustave Kevern, dove recita accanto a Yolande Moreau.
Qui interpreta un operaio francese alle prese con difficoltà
burocratiche nell’ottenere la sua pensione, costretto a mettersi in
viaggio sulla sua vecchia moto a caccia dei suoi ex datori di
lavoro. E, come ha dichiarato lo stesso Depardieu, il personaggio
somiglia un po’ a lui, che si sente uno spirito libero, un
vagabondo. Lui che di scorribande in moto ne ha fatte molte e sulla
moto ha perfino rischiato la vita più volte. Il film è dedicato al
primogenito di Gérard Depardieu, Guillaume, amico
dei due registi. Anche lui attore dall’esistenza travagliata,
segnata dall’uso di droghe, dal carcere e da un incidente in moto,
costatogli l’amputazione di una gamba, scomparso due anni fa a
causa di una polmonite fulminante. Depardieu ha altri tre figli:
Julie, Roxane e Jean.