Una famiglia quasi normale – disponibile dal 24 novembre su Netflix – è la nuova serie noir scandinava diretta da Per Hanefjord (Hamilton, The Hidden Child), scritta da Anna Platt (The Congregation, La verità verrà fuori) e Hans Jörnlind (Top Dog) ed è basata sull’omonimo romanzo best-seller del 2019 dell’autore svedese Mattias Edvardsson. “Fin dal primo incontro con questa storia, ho apprezzato il fatto che abbia davvero a cuore un’importante riflessione“. Ha affermato Per Hanefjord a Netflix. “Solleva questioni complesse, offre profondità di carattere e lo fa allo stesso tempo con una suspense avvincente”. Alla luce delle parole del regista, analiziamo allora il finale di Una famiglia quasi normale e la storia vera dietro il racconto.
Di cosa parla Una famiglia quasi normale
Ulrika (Lo Kauppi) e Adam (Björn Bengtsson) Sandell conducono, insieme alla giovane e tanto amata figlia Stella (Alexandra Karlsson Tyrefors), una vita apparentemente perfetta in un elegante quartiere residenziale nella periferia di Lund. Ulrika è un’intelligente e qualificata avvocata e il marito Adam è uno stimabile pastore della Chiesa di Svezia. La diciannovenne Stella, invece, dopo un traumatico episodio di violenza accaduto alcuni anni prima, ha scelto di abbandonare gli studi e lavorare in una piccola pasticceria in città, mentre sogna di poter viaggiare e scoprire il mondo. I Sandell sono, quindi, una famiglia ordinaria come tante altre, finché però una notte il 30enne Christoffer Olsen (Christian Fandango Sundgren) muore a causa di un brutale accoltellamento e Stella è considerata dalla polizia la principale indiziata.
Spiegazione del finale di Una famiglia quasi normale
“Sembra che tu abbia una relazione complicata con i tuoi genitori, Stella. È sempre stato così? Come pensi sarebbe andata se avessero reagito diversamente?”. È con queste domande fatte a Stella dalla psicologa penitenziaria che inizia in medias res il primo episodio di Una famiglia quasi normale. Dopo questa breve scena che anticipa indirettamente allo spettatore il doloroso evento che farà da fulcro dell’intera storia, parte un’analessi che trasporta il pubblico a quattro anni prima: durante un ritiro sportivo, all’età di soli quindici anni, Stella è aggredita sessualmente dall’assistente del coach. Nonostante Stella racconti tutto fin da subito ai suoi genitori, non ha prove dell’abuso. Dunque, Ulrika, credendo di proteggere la figlia da un eventuale processo ancor più traumatico e vano, decide di non sporgere denuncia alla polizia. In fondo, chi crederebbe a una ragazzina? Questa scelta, come si evince episodio dopo episodio, influenzerà profondamente e con grande sofferenza e insicurezza il rapporto di Stella con i suoi genitori, con gli uomini e con sé stessa.
Il racconto ritorna poi a quattro anni dopo, precisamente al giorno del diciannovesimo compleanno di Stella. Quel giorno, dopo aver festeggiato con i suoi genitori, Stella va a ballare con la migliore amica Amina Besic (Melisa Ferhatovic) in un affollato locale in città dove incontra l’affascinante e carismatico trentenne Christoffer Olsen. I due iniziano una relazione romantica che di lì a poco diventerà un’ossessione. Sei settimane dopo, una notte, Chris viene assassinato e Stella, che pare essere stata vista sulla scena del crimine, viene presa in custodia dalla polizia. Ulrika e Adam, sconvolti e ignari di ciò che è realmente accaduto, iniziano a indagare sull’omicidio per poter proteggere la figlia a ogni costo, anche tradendo la propria morale e la fiducia di chi li circonda.
Una famiglia quasi normale si conclude con la sentenza del lungo processo che ha travolto i Sandell. Per riuscire a salvare Stella, Ulrika e Adam mentono, nascondono e intralciano le indagini della polizia fino al punto da inquinare le prove. Per esempio, Ulrika si sbarazza del cellulare di Stella, dei vestiti insanguinati e, addirittura, dell’arma del delitto. Mentre Adam utilizza la sua posizione di pastore per poter ingannare la polizia e mentire sull’ora in cui la giovane è tornata a casa la notte dell’omicidio. Senza parlare l’uno con l’altra né tanto meno accordandosi in alcun modo, i genitori di Stella giocano carte false pur di provare la sua “innocenza”. E tutto questo mentre il loro matrimonio vive una grave crisi di cui è complice l’infedeltà coniugale di Ulrika.
Ma il vero grande punto di svolta si ha quando, nell’ultima puntata, Ulrika convince Amina a testimoniare al processo raccontando ciò che accadde quella notte, omettendo però un dettaglio importante e spostando completamente l’attenzione del giudice su una nuova violenza. Amina lascia i pubblici ministeri senza parole quando spiega come Chris l’aveva drogata e violentata. Aggiungendo poi di essere fuggita appena ha potuto dal suo appartamento e che solo la mattina dopo è venuta a conoscenza della sua morte. La testimonianza della giovane amica acquisisce ancor più valore quando afferma di aver mentito fino a quel momento perché pensava che nessuno l’avrebbe creduta. Così come è successo a Stella alcuni anni prima e anche all’ex fidanzata di Chris, Linda (Emilia Roosmann), che aveva già precedentemente tentato di denunciarlo per abusi. Il processo si conclude come aveva pianificato Ulrika: con la terribile rivelazione di Amina, è introdotto nel caso un sospettato alternativo che distoglie l’attenzione dalla colpevolezza di Stella. E così la giovane Sandell viene liberata.
Ma quella di Amina è una “mezza verità” e, nel corso del finale della serie, ci sono dei flashback che dimostrano ciò che accadde realmente la notte dell’omicidio. Amina è stata drogata e violentata da Chris, ma è riuscita a fuggire solo grazie a Stella che, dopo essersi indispettita dell’assenza dell’amica quella sera, si è diretta verso casa di Chris per poi irrompere e salvare Amina. Le due ragazze sono fuggite via e Chris le ha inseguite fino a quando Stella è riuscita a reagire e lo ha pugnalato a morte.
La storia vera dietro la serie
Una famiglia quasi normale è un brillante thriller psicologico e poliziesco che racconta e affronta le complesse emozioni umane dell’intenso e intricato dramma familiare dei Sandell. Sebbene il romanzo di Edvardsson – da cui trae ispirazione la serie – possa sembrare tratta da una storia vera, durante un’intervista l’autore svedese ha spiegato che tutto è nato durante una notte solitaria. Edvardsson ha raccontato che iniziò per caso a riflettere sul suo ruolo di padre e su come reagirebbe innanzi alle avversità che travolgono i giovanissimi, soprattutto gli adolescenti.
“Ho due figlie, di tre e sei anni, e ho iniziato a pensare a cosa potrebbe accadere tra circa 10 anni, quando le mie figlie saranno, per esempio, fuori in centro con gli amici. Penso che ogni genitore possa identificarsi con quella paura di non sapere quando tuo figlio tornerà a casa. Quella notte ho poi immaginato cosa farei se, per caso un giorno, la mia futura figlia adolescente tornasse a casa dopo mezzanotte nascondendomi qualcosa di grave”, ha affermato lo scrittore. “E cosa farei se mia figlia venisse portata via dalla polizia la mattina dopo, accusata di aver ucciso un uomo? Come reagirei? Fino a che punto mi spingerei a distorcere la verità per proteggerla?”, ha inoltre aggiunto.
Infine, Edvardsson ha raccontato di come la sua esperienza di insegnante liceale gli è stata senz’altro d’aiuto per rendere i personaggi, e in particolare quello di Stella, autentici. Ha detto: “Non credo che avrei mai potuto scrivere questo libro se non fosse stato per il fatto che sono stato un insegnante di scuola superiore per 15 anni. So come interagiscono le diciottenni: conosco il loro mondo e so anche che genitori e adolescenti non sempre condividono tutto l’uno con l’altro. In alcuni casi estremi, sembra persino che non si conoscano bene. Questa è, infatti, una riflessione che volevo approfondire nel mio romanzo: quanto conosciamo davvero i nostri adolescenti?”
Dunque, anche se Una famiglia quasi normale non nasce direttamente da fatti reali, il racconto di Edvardsson è senza alcun dubbio frutto di dure e difficili dinamiche familiari che accomunano tanti genitori e figli. L’inganno, l’omertà, il sentirsi soli e incompresi sono purtroppo gli elementi che più permettono al pubblico di empatizzare con i personaggi, proprio perché sentimenti sentiti così personali e vicini. Il risultato, tanto del romanzo quanto della serie Netflix, è un thriller che rapisce lo spettatore in una vorticosa indagine alla ricerca della verità, in cui la giustizia viene meno per lasciar spazio alla riflessione su quanto in là possa spingersi un genitore per amore dei propri figli.