Io speriamo che me la cavo: recensione del film di Lina Wertmuller

Io speriamo che me la cavo

Io speriamo che me la cavo è il film del 1992 di Lina Wertmuller con Paolo Villaggio, Isa Danieli, Sergio Solli, Adriano Pantaleo e Ciro Esposito.

 

Io speriamo che me la cavo – trama: Per un errore del computer del Ministero della Pubblica Istruzione, il maestro Marco Tullio Sperelli (Paolo Villaggio), viene mandato invece cha a Corsano in Liguria, a Corzano, un paesino in provincia di Napoli. Si trova subito in una condizione piuttosto tragica: la classe assegnatagli sarebbe costituita da una ventina di bambini, ma lui al suo arrivo ne trova solo tre. Deve andare a cercare il quarto a casa, mentre gli altri li trova per le strade della città, tra storie di povertà e di microcriminalità.

Il maestro ha notevoli problemi ad adattarsi alla vita tipica del sobborgo meridionale. Ad esempio, la preside è la moglie di un politico e non fa nulla nel suo istituto; il bidello è il vero capo della scuola e vende agli alunni gesso e carta igienica intascando grosse somme; il sindaco favorisce il lavoro minorile clandestino; i bambini sono totalmente ignoranti e lasciati a se stessi. Dopo un primo naturale astio tra il maestro e i suoi alunni-scugnizzi, le cose tra loro cominciano a funzionare.

Io speriamo che me la cavo (1992) è ispirato a un libro omonimo pubblicato due anni prima, che riporta sessanta temi di bambini di una scuola elementare della città di Arzano, in provincia di Napoli, raccolti dal maestro Marcello D’Orta nella forma di una raccolta di temi. Temi che raccontano con innocenza, umorismo, dialettismi (e infiniti errori grammaticali, appositamente non corretti) storie di vita quotidiana di bambini che vedono in prima persona fenomeni come la camorra, il contrabbando, la prostituzione, tutte situazione che dovrebbero essere tenute lontane dagli occhi dei ragazzini.

Questo libro, anomalo nel suo genere, ha venduto più di un milione di copie diventando un bestseller. Il titolo del libro, e del film, è dato dalla frase con cui un alunno, il più scalmanato di tutti, conclude il tema sulla sua storia evangelica preferita, ossia l’Apocalisse, ribattezzata in quel caso “la fine del mondo”.

Di film sui pregi e i difetti di Napoli ne sono stati girati tanti, specie negli anni ’80, grazie alla splendida messa in scena di personaggi come Massimo Troisi e Luciano De Crescenzo. Questi lavori hanno raffigurato una Napoli dalle tante contraddizioni e difficoltà, ma anche creativa, orgogliosa e ingenua, e anche Io speriamo che me la cavo rientra in questo filone.

Io speriamo che me la cavo  rispecchia in pieno lo stile di Lina Wertmüller, apprezzatissima regista fattasi conoscere grazie ai numerosi film grotteschi degli anni ’70 aventi come attore-protagonista Giancarlo Giannini. Senza dubbio questo lungometraggio estremizza e calca la mano sui problemi di Napoli, portandoli più che al grottesco, alla loro drammatizzazione. Ciò su cui punta la Wertmüller è soprattutto l’ironia, la capacità di sdrammatizzare che caratterizza il popolo napoletano.

Io speriamo che me la cavo

Ad addolcire un’amarissima pillola ci pensano i piccoli protagonisti, gli alunni disastrati del maestro Sperelli. In fondo vittime di un sistema che gli nega quei diritti di cui dovrebbero beneficiare in modo innato.

Tra quei piccoli scugnizzi, così graziosi quanto compassionevoli, spiccano: Vincenzino, interpretato da Adriano Pantaleo, il famoso Spillo della serie Amico Mio, Raffaele, interpretato da Ciro Esposito (altro attore che ha proseguito la carriera con la fiction televisiva), il più turbolento della, piccole bambine ormai già cresciute, come Rosinella e Tommasina, interpretate rispettivamente da Maria Esposito e Carmela Pecoraro, Salvatore, che non sa il suo cognome, interpretato da Salvatore Terracciano. Intorno a loro ruotano altri personaggi che incarnano ottimamente varie sfumature partenopee: la Preside lassiva, interpretata dalla magistrale Isa Danieli; il Custode accattone interpretato da Gigio Morra; il cartonaio, genitore di uno degli alunni, interpretato dal caratterista Sergio Solli.

E poi c’è lui, Paolo Villaggio, il maestro Marco Tullio Sperelli. L’attore genovese, dopo un ventennio passato a interpretare soprattutto il buffo Ragionier Ugo Fantozzi, viene restituito ad un ruolo molto più vicino alle proprie caratteristiche naturali. Villaggio interpreta bene il ruolo dello spaesato maestro del Nord “calato dall’alto” in una realtà così distante dalla propria. Toccante, infine, il finale, nel quale si contrappone la lettera del più discolo di tutti, Raffaele, con le note della famosa canzone What a wonderful world, cantata dall’inconfondibile Louis Armstrong.

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