Doll Syndrome: recensione del film di Domiziano Delvaux Cristopharo

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A cavallo degli anni ’60 e ’70, registi come George A. Romero o Wes Craven si fecero portabandiera di un nuovo modo di utilizzare il gore come linguaggio visivo per raccontare altro, un complesso background nascosto dietro immagini crude e pulp. L’Italia degli anni ’70, quella cinematografica dei generi, ne riprende i codici visivi rielaborandoli e creando un’estetica della contraddizione in alcuni casi più improntata allo shock visivo che al contenuto effettivo.

 

Domiziano Delvaux Cristopharo si colloca nel solco della tradizione inaugurata da Romero e co. e realizza, con il secondo capitolo della sua trilogia sui tre regni ultramondani intitolata Doll Syndrome, una pellicola spiazzante, fastidiosa e disturbante in grado di stupire e shockare lo spettatore, anche il più avvezzo a determinati rituali cinefili dell’ultimo millennio (come la rinascita del genere soprattutto per mano del pupillo di Tarantino, E li Roth).

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Cristopharo sceglie di raccontare una storia di guerra, una storia di inferno e orrore del quotidiano solo attraverso le immagini e con l’ausilio delle suggestive musiche del gruppo Il Cristo Fluorescente: non c’è mai un dialogo, a parte uno solo del quale possiamo leggere i sottotitoli. La solitudine emotiva ed umana del protagonista (Tiziano Cella), un reduce di guerra, si riflette nei rituali quotidiani nel quale si è chiuso, vittima di un’oscura follia lucida; ma quando sulla sua strada incontra la bellezza e la perfezione incarnati da una donna (Aurora Kostova)- che diventa subito il suo ideale- la voglia di avere a tutti i costi quella creatura sfora nella psicosi ossessiva, autolesionista e violenta, soprattutto quando scopre che lei è fidanzata con un uomo (Yuri Antonosante), elemento questo che altera il delicato equilibrio psichico che si è creato nel suo mondo.

Doll Syndrome è un torture Porn, mostra tutto senza fare sconti, ma relegarlo nei limiti del genere è riduttivo. Come nei film di Lynch l’incubo del quotidiano deflagra nel labirinto della mente umana, arma pericolosa e iperattiva che tende a confondere il labile confine tra reale e immaginario fino a creare un cortocircuito; l’inferno siamo noi stessi o forse – come diceva Sartre – l’inferno sono gli altri, la società che ci circonda e nel quale restiamo schiacciati… le “trasformazioni corporali”, il corpo umano mutilato e trasformato, come nel cinema di Cronenberg, è sintomo di un disagio sociale e psichico più profondo che viene comunicato infrangendo quei tabù secolari della società come il sesso: la Doll del titolo è una bambola gonfiabile che il protagonista vede trasfigurata nelle sue fantasie, ma è anche la sindrome che affligge tante, troppe persone che ci circondano… e se i demoni sono in realtà intorno a noi? E se è questo, davvero, l’inferno? Cristopharo solleva questi dubbi cercando di raccontare, attraverso un racconto di sole immagini, una storia di ordinaria follia psichica in chiave gore.

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.

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