
Apparsa su Netflix nel 2017, la serie spagnola de La casa di carta è stato uno dei più grossi successi, e non senza una certa sorpresa. Anche per la capacità di alcuni suoi personaggi di colpire l’immaginario del pubblico, mentre le evoluzioni del colpo alla Zecca di Stato spagnola e delle vicende dei singoli soggetti coinvolti ci accompagnavano fino al dicembre 2021. È quindi una sorta di speciale compleanno, un riallacciare un discorso interrotto, quello che offre la serie prequel/spin-off Berlino. Sulla piattaforma della N cremisi dal 29 dicembre – in tempo per chiudere l’anno in bellezza, e magari con uno binge watching in compagnia – è di nuovo il momento del fascinoso e (non così) algido criminale interpretato da Pedro Alonso, probabilmente il motivo principale per rituffarsi in quel flamenco action-noir che sembrava aver detto tutto quel che aveva da dire.
Berlino è su Netflix, la trama
È ancora lui il protagonista principale, qui sempre più mastermind e – all’epoca – ancora convinto che solo due cose riescano a trasformare una giornata “di M” in memorabile: l’amore e tanti soldi facili. Almeno, questo è ciò che ha sostenuto Berlino nei suoi anni migliori, quando ancora non sospettava di essere malato e non era rimasto intrappolato come un topo in un caveau di formaggio spagnolo. Quando, soprattutto, la sua priorità era portate a termine uno dei suoi colpi più spettacolari, facendo sparire con una magia gioielli del valore di 44 milioni da un altro sotterraneo con l’aiuto di una delle tre squadre con le quali ha lavorato. Ma cosa succede se il “cervello” del piano perde lucidità per questioni personali, se gli ormoni travolgono i giovani componenti della banda e se lo stesso burattinaio sembra aver cambiato le proprie priorità in merito a quel che vuole ottenere dal colpo?
Berlino, cosa aspettarsi dalla serie Netflix
C’è di nuovo Álex Pina dietro gli 8 episodi nei quali si sviluppa la prima stagione (prepariamoci…) di questo prequel/spin-off, emblematicamente negli annali con il titolo completo di La casa di carta – Berlino a rendere incontrovertibilmente chiaro quale sia l’ambito in cui ci si muove e cosa sia bene aspettarsi. Ma soprattutto a identificare – e chiamare a raccolta – un pubblico di fedelissimi che, dopo aver tentato di colmare il vuoto lasciato dal Professore & Co. con il remake coreano, ora potranno contare su una nuova dose di quel mix di dramma, azione e romanticismo, per altro sapientemente affidato a due degli stessi registi dell’originale, David Barrocal e Albert Pintó, con l’aggiunta del quasi esordiente Geoffrey Cowper, e servito dalla co-sceneggiatrice Esther Martínez Lobato.
Nonostante tanta cura – produttiva, in primis – era inevitabile che fosse impossibile replicare la sensazione di novità e il seducente magnetismo di quei personaggi e di quella tenzone intellettuale prima che criminale. Sbagliato aspettarselo, forse, anche se appare un progetto furbo e di comodo (al solito) quello di riproporre ingredienti apprezzati dagli abbonati senza preoccuparsi di dosi e ricetta, con il risultato di avere una presentazione potenzialmente e sicuramente instagrammabile, ma senza una propria originalità e connotazione.
I personaggi di Berlino e l’amore
E così, per quanto i nuovi protagonisti (la doppia coppia Michelle Jenner, Begoña Vargas, Julio Peña Fernández e Joel Sanchez) regalino buoni momenti ed eseguano il compito richiesto loro, a spiccare è più il ‘vecchio’ Tristán Ulloa, anche per il suo farsi carico di dinamiche che fecero la fortuna del Berlino di Pedro Alonso nella Casa di carta che fu… ma solo in parte. O fino a un certo punto. L’abile alternarsi della descrizione della rapina – modellini e ricostruzioni comprese – con le altre linee narrative proposte è una sorta di marchio di fabbrica, ma stavolta la scelta di puntare sull’amore, la passione e la conquista sentimentale come vere chiavi di volta della caratterizzazione dei personaggi (ciascuno con le sue modalità) e motori degli eventi finisce per rivelarsi la principale debolezza del racconto giallo.
Una casa di carta velina
Dal riferimento al colpo alla zecca del primo episodio a quello, più vago, al professore nel terzo, la continua rassicurazione degli spettatori affezionati non va oltre l’ammiccamento, ma soprattutto la scelta di puntare sullo stesso Berlino come narratore non fa che sbilanciare ulteriormente la serie. Che promette più di quanto possa mantenere e a tratti sembra contentarsi di affascinare le proprie vittime in un ininterrotto – anche verboso – flirtare. Da Madrid a Parigi, tra notti brave più pop che punk in localini fumosi o su piste da corsa, poliziotte sopra le righe e una cover live della “Felicità” di Al Bano e Romina, è un profluvio di cliché (donne e uomini, spagnoli e francesi, etc), pose e forzature quello che si sostituisce all’intrigo e a un vero redde rationem. Che rischiamo di non trovare nemmeno nella prossima stagione, che pare abbiano già iniziato a girare a Roma con Berlino a bagno nella fontana di Trevi.