Portobello: recensione della serie di Marco Bellocchio – Venezia 82

Tra cronaca e drammaturgia, Bellocchio mette in scena il caso Tortora come specchio dell’Italia anni ’80

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Marco Bellocchio torna a interrogare la memoria pubblica italiana con Portobello, serie HBO Original presentata fuori concorso a Venezia 82 e attesa su HBO Max nel 2026. Il caso Tortora, uno dei più clamorosi errori giudiziari del nostro Paese, diventa per il regista un laboratorio etico e formale: la caduta di un volto popolarissimo non è solo cronaca, ma il sintomo di un’epoca in cui televisione, magistratura, informazione e politica si sono guardate allo specchio senza più riconoscersi. Bellocchio mette al centro l’uomo Enzo Tortora e, attorno, il sistema che lo ha celebrato il venerdì sera e linciato il lunedì mattina. Ne scaturisce una riflessione lucida sulla responsabilità dell’immagine e sul prezzo che si paga quando la verità abdica al racconto più comodo.

Dal rito pop alla macchina del processo

La struttura alterna l’euforia luminosa dello studio televisivo alla claustrofobia di questure, carceri e aule giudiziarie. La fotografia di Francesco Di Giacomo, calda e satura nei momenti di spettacolo, fredda e livida nelle stanze del potere, disegna un doppio paesaggio morale. La scenografia di Andrea Castorina restituisce con precisione l’Italia a cavallo tra fine Settanta e primi Ottanta: un Paese che rompe il monopolio Rai, scopre la pubblicità invasiva, trasforma il salotto in tribunale. Il montaggio di Francesca Calvelli governa con rigore la dialettica tra mito pop e incubo kafkiano: le manette mostrate alle telecamere, il pappagallo silenzioso, i titoli urlati dei giornali diventano icone di un processo all’immagine prima ancora che alla persona.

Il metodo Bellocchio: cronaca che diventa drammaturgia

Scritto da Bellocchio con Stefano Bises, Giordana Mari e Peppe Fiore, Portobello evita il santino e rifiuta il pamphlet. L’idea di fondo è più sottile: usare gli strumenti del cinema per restituire la complessità di un’odissea giudiziaria maturata per accumulo di certezze presunte, testimonianze inaffidabili, vanità professionali e convenienze mediatiche. La serie insiste sul ruolo della parola come atto performativo (interrogatori, arringhe, titoli), ma anche sull’atto di guardare: la telecamera che chiede spettacolo, l’occhio del pubblico che pretende una narrazione lineare, lo sguardo del giudice che dovrebbe resistere alla semplificazione. In questo scarto si consuma la tragedia di Tortora.

Tortora, la televisione e il Paese

Il protagonista è raccontato come un professionista laico, orgogliosamente «non ricattabile», che ha creduto nella funzione civile del piccolo schermo, dando voce a «umili e bizzarri» nel grande mercato del desiderio chiamato Portobello. La serie mostra quanto rapidamente quello stesso dispositivo di prossimità – entrare nelle case, essere “uno di famiglia” – possa rovesciarsi in esposizione punitiva. La notte del 17 giugno 1983 diventa lo spartiacque: l’arresto, l’esposizione mediatica, l’onda di sospetto che travolge la presunzione d’innocenza. A colpire è la pazienza con cui Bellocchio costruisce il sentimento di smarrimento: il tempo si dilata nelle attese, si contrae nella frenesia del circo mediatico, e l’eroe popolare si ritrova semplice cittadino dentro un ingranaggio che pretende una vittima esemplare.

Il fattore umano: un cast che incide

Fabrizio Gifuni evita l’imitazione calligrafica e compone un Tortora riconoscibile nella postura, nella voce, nella cortesia assorta che si incrina. È un’interpretazione di cesello che restituisce tanto il carisma pubblico quanto la fragilità privata. Lino Musella scolpisce un Giovanni Pandico inquieto e contraddittorio, capace di spostare l’asse del racconto ogni volta che compare; Barbora Bobulova, Romana Maggiora Vergano, Massimiliano Rossi, Alessandro Preziosi e Pier Giorgio Bellocchio abitano con misura le orbite del sistema che stringe il protagonista. Le musiche di Teho Teardo, mai invadenti, pulsano sottopelle e sostengono l’andamento elegiaco di un racconto che parla di ferite non rimarginate.

Tra politica delle immagini e pedagogia del racconto

Portobello è particolarmente forte quando mette in relazione l’evoluzione del sistema televisivo con la mutazione del discorso pubblico: dal rito collettivo del varietà al rito disciplinare della gogna, dalla curiosità alla diffidenza. Bellocchio mostra come la giustizia possa farsi «missionaria» e cieca, come la stampa possa confondere informazione e fiction, come la politica abdichi al calcolo. In alcuni passaggi, però, la serie indulge a spiegare ciò che l’immagine aveva già chiarito: l’insistenza sul rito mediatico, qualche dialogo programmatico, una didascalia di troppo che toglie aria all’ambiguità. È un limite relativo – frutto anche dell’orizzonte seriale, che allarga e ribadisce – ma percepibile.

La forma seriale: respiro e ripetizione

Il formato in sei episodi offre a Bellocchio respiro e profondità: il privato di Tortora, la costruzione degli antagonisti, la cartografia dei poteri che convergono e si contraddicono. Il rovescio è una certa ridondanza, specie nel ribadire la dinamica tra piazza mediatica e aula giudiziaria. Laddove Esterno notte faceva dell’ellisse e del punto di vista un’arma di sorprendente spiazzamento, Portobello preferisce una linearità più accessibile, talvolta pedagogica. Non è un difetto assoluto: rende il racconto più inclusivo, ma attenua la vertigine che l’autore sa evocare nei suoi capitoli più incendiari.

Portobello
3.5

Sommario

Con Portobello, il caso Tortora diventa un dispositivo per ragionare su come nascono e circolano le verità, su quanto fragili siano le garanzie quando il consenso chiede una soluzione rapida, su come il sistema dei media amplifichi e distorca.

Agnese Albertini
Agnese Albertini
Nata nel 1999, Agnese Albertini è giornalista e critica cinematografica per i siti Cinefilos.it, Best Movie e CinemaSerieTv.it. Nel 2022 ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l'Università di Bologna e, parallelamente, ha iniziato il suo percorso nell'ambito del giornalismo web, dedicandosi sia alla stesura di articoli di vario tipo e news che alla creazione di contenuti per i social e ad interviste in lingua inglese.

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